Sulla relazione, e l'interazione, tra "essere" e "avere" è stato detto molto (basti pensare al famoso saggio di Erich Fromm, che ebbe ampia risonanza alcuni decenni fa). In passato si tendeva a contrapporre i due aspetti ("essere" l'autenticità dell'individuo; "avere" un'applicazione estrinseca e contingente) che invece, come dici tu, sono le due facce della medesima medaglia: infatti l'"avere" dovrebbe essere lo strumento e la manifestazione dell'"essere" -così come il "fare"-. Solo chi conosce sè stesso, può capire quello che vuole davvero (sia quello che vuole "avere", sia quello che vuole "fare") per esprimere la sua "essenza" (o "sostanza"? la differenza di significato, e di estensione, tra i due termini è alquanto complicata e sottile, -anche perchè la traduzione latina dei termini greci non è univoca: "ousia", che letteralmente equivale ad "essentia" è stato reso spesso -non sempre- con "substantia", mentre più propriamente la "substantia" dovrebbe esssere quello che Aristotele chiama "hypokeimenon" = sostrato-. Diciamo comunque per semplicità che l'"essenza" è di solito riferita a una specie, e la "sostanza" a un individuo: solo in Dio "essenza" e "sostanza" verrebbero a coincidere). Ma, tornando all'avere e all'essere, moltissimi cercano di acquisire e conquistare cose che in realtà non vogliono davvero, ossia che non sono veramente in sintonia con il loro essere autentico solo per ragioni estrinseche, per influenza dell'ambiente in cui vivono e dei "valori" di esso, o degli amici, o per non sntirsi inferiori ad altri: ma in tal modo anzichè possedere una cosa, o vivere consapevolmente un'esperienza esistenziale, ne sono posseduti e ne divengono dipendenti, -cioè schiavi-.
Wow che bel commento, grazie! Sono totalmente d'accordo sulla prima e ultima parte riguardante l'essere e l'avere, la loro unità e gli effetti del non seguire la propria autenticità a causa di fattori esterni. Non ho capito cosa intendi con l'essenza è riferita a una specie e la sostanza a un individuo
Mi riferisco alle diatribe della filosofia e teologia antica e medioevale in cui gli autori si sono accapigliati per distinguere e definire termini dal significato sottile e sfumato: a mio parere, la sintesi migliore per distinguere "essenza" e "sostanza" (tra l'altro come non bastasse si parla di purr di "sostanze prime" e "sostanze seconde") è quella che ti ho detto. Se prendiamo ad esempio il povero Socrate, chenei manuali di storia della filosofia è sempre citato per spiegare questi passaggi logici, la sua "essenza" dovrebbe essere l'"umanità", la sua "sostanza" la "socraticità", cioè la sua natura individuale.@@simone-capelli
Bravo!
Sulla relazione, e l'interazione, tra "essere" e "avere" è stato detto molto (basti pensare al famoso saggio di Erich Fromm, che ebbe ampia risonanza alcuni decenni fa). In passato si tendeva a contrapporre i due aspetti ("essere" l'autenticità dell'individuo; "avere" un'applicazione estrinseca e contingente) che invece, come dici tu, sono le due facce della medesima medaglia: infatti l'"avere" dovrebbe essere lo strumento e la manifestazione dell'"essere" -così come il "fare"-. Solo chi conosce sè stesso, può capire quello che vuole davvero (sia quello che vuole "avere", sia quello che vuole "fare") per esprimere la sua "essenza" (o "sostanza"? la differenza di significato, e di estensione, tra i due termini è alquanto complicata e sottile, -anche perchè la traduzione latina dei termini greci non è univoca: "ousia", che letteralmente equivale ad "essentia" è stato reso spesso -non sempre- con "substantia", mentre più propriamente la "substantia" dovrebbe esssere quello che Aristotele chiama "hypokeimenon" = sostrato-. Diciamo comunque per semplicità che l'"essenza" è di solito riferita a una specie, e la "sostanza" a un individuo: solo in Dio "essenza" e "sostanza" verrebbero a coincidere).
Ma, tornando all'avere e all'essere, moltissimi cercano di acquisire e conquistare cose che in realtà non vogliono davvero, ossia che non sono veramente in sintonia con il loro essere autentico solo per ragioni estrinseche, per influenza dell'ambiente in cui vivono e dei "valori" di esso, o degli amici, o per non sntirsi inferiori ad altri: ma in tal modo anzichè possedere una cosa, o vivere consapevolmente un'esperienza esistenziale, ne sono posseduti e ne divengono dipendenti, -cioè schiavi-.
Wow che bel commento, grazie!
Sono totalmente d'accordo sulla prima e ultima parte riguardante l'essere e l'avere, la loro unità e gli effetti del non seguire la propria autenticità a causa di fattori esterni.
Non ho capito cosa intendi con l'essenza è riferita a una specie e la sostanza a un individuo
Mi riferisco alle diatribe della filosofia e teologia antica e medioevale in cui gli autori si sono accapigliati per distinguere e definire termini dal significato sottile e sfumato: a mio parere, la sintesi migliore per distinguere "essenza" e "sostanza" (tra l'altro come non bastasse si parla di purr di "sostanze prime" e "sostanze seconde") è quella che ti ho detto. Se prendiamo ad esempio il povero Socrate, chenei manuali di storia della filosofia è sempre citato per spiegare questi passaggi logici, la sua "essenza" dovrebbe essere l'"umanità", la sua "sostanza" la "socraticità", cioè la sua natura individuale.@@simone-capelli