Metafisica, Nichilismo, Tecnica - Carlo Sini

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  • เผยแพร่เมื่อ 30 ก.ย. 2024
  • CARLO SINI
    Metafisica, Nichilismo, Tecnica
    HEIDEGGER NEL PENSIERO DI SEVERINO
    Metafisica, Religione, Politica, Economia, Arte, Tecnica
    Congresso Internazionale - Brescia 13-15 giugno 2019
    «Che ci siano delle ‘verità eterne’ potrà essere concesso come dimostrato solo se sarà stata fornita la prova che l’Esserci [Dasein] era, è e sarà per tutta l’eternità. Fin che questa prova non sarà stata fornita, continueremo a muoverci nel campo delle fantasticherie» (Heidegger, Essere e tempo, § 44, c, trad. it. di Pietro Chiodi). E per Heidegger questa prova manca, anche per tutti gli enti del mondo diversi dall’Esserci.
    Ciò che nei miei scritti è chiamato “la struttura originaria del destino” implica con necessità l’eternità dell’ente in quanto ente, ossia di ogni ente (dove l’eternità è l’impossibilità che un qualsiasi ente che è sia stato nulla e torni a esser nulla).
    L’“essere” di Heidegger è “nulla dell’ente”, ossia non è nihil absolutum. Ma per lui nemmeno l’ente, quando è, è nihil absolutum. Ciò significa che l’“essere” e l’ente hanno in comune il non essere un nihil absolutum e che quindi l’“essere” non può essere il “nulla dell’ente”. Questa dimensione comune include entrambi i termini della “differenza ontologica” (“essere”, ente) e non viene esplorata da Heidegger. È la dimensione dell’essente in quanto essente - che non è nemmeno la dimensione dell’ente in quanto ente aristotelico, ossia dell’ente che è quando è. La struttura originaria del destino è l’apparire dell’esser sé dell’essente, ossia di ciò la cui negazione è autonegazione.
    L’“essere” di Heidegger è svelamento e insieme velamento, nascondimento. Che lo svelamento sia nascondimento non può significare per Heidegger che ciò che rimane nascosto sia nulla, ma che, pur nascosto, esiste. Ma questa esistenza non può essere un contenuto fenomenologico - e nei testi di Heidegger è assente la prova che ciò che è nascosto esiste: essi presuppongono soltanto la tesi che se qualcosa si manifesta deve esistere tutto ciò che non appartiene al contenuto manifesto.
    Si presenti come la libertà dell’Esserci affermata in Essere e tempo, o come libertà dell’“essere”, affermata dopo la “svolta”, nemmeno la libertà - va osservato - può essere un contenuto fenomenologico. In base a che cosa è affermata da Heidegger? Nell’intervista allo Spiegel, parlando del Dio che ci può salvare e aggiungendo che ciò può anche non avvenire, sembra che alluda alla libertà dell’“essere”.
    Ciò da cui solo un Dio ci può salvare è l’annientamento o la tecnica? È tutti e due. Comunque la salvezza viene dalla dimensione ontica, sia pure diversa da quella metafisicamente intesa; e in questo senso resta confermato il progetto iniziale di Essere e tempo che sospende il giudizio sulla configurazione della dimensione ontica (esistenza di Dio, immortalità dell’anima, ecc.).
    Per Heidegger la “filosofia” finisce nella tecnica, vi ha compimento e non può più modificare il mondo e dare salvezza o perdizione: ormai è la tecnica a padroneggiare tutte le cose. Sennonché la tecnica domina perché le forze che si illudono di servirsene rinunciano ai loro valori; e la rinuncia è effettiva quando ciò che nei miei scritti è chiamato “il sottosuolo filosofico del nostro tempo” mostra che quei valori non sono verità assolute, perché la verità assoluta è morta. La “filosofia” (che è l’essenza dell’Occidente) modifica il mondo a tal punto da determinare la dominazione “di diritto” della tecnica.

ความคิดเห็น • 15

  • @ermannovergani3574
    @ermannovergani3574 2 ปีที่แล้ว +2

    L'auto-confutazione in cui s'imbatte Severino può essere mostrata a partire dalla comprensione dell'astrattezza dell'identità dell'esser-sé immutabile così come Severino la intende dalla quale discende un'idea astratta del mutare dell'essere del quale egli ritiene di aver mostrato inconfutabilmente l'impossibilità.
    La totalità delle identità-differenze sincroniche (= non diacroniche = simultanee) che è ed appare nella dimensione che Severino chiama "apparire infinito" (cioè nella verità dell'essere dove tutte le contraddizioni sono risolte) si dimostra infatti insufficiente a determinare in modo esaustivo l'essere e l'apparire degli essenti entro la dimensione che Severino chiama "apparire finito".
    In sostanza, la relazione tra finito e infinito così come è stata posta da Severino presenta ancora un residuo nichilistico che, se non viene debitamente corretto, determina la nullificazione dell'esser-sé della determinatezza di ogni differenza diacronica ( = processuale = non simultanea).
    Se seguiamo Severino infatti mi sembra inevitabile imbattersi nel problema di doversi limitare ad affermare il mero APPARIRE della determinatezza di ogni differenza diacronica, senza riuscire ad affermare (come necessario) anche l'ESSERE della determinatezza di ogni differenza diacronica, ossia di ogni specifica diacronia, ossia di ogni nesso ontologico che correla il prima al poi.
    Sono d'accordo con Severino che l'interpretazione del divenire come "diventare altro" sia una cattiva interpretazione, ma allo stesso tempo se vogliamo comprendere a fondo il divenire non basta fermarsi a mostrare l'incontraddittorietà della totalità delle differenze sincroniche.
    La rimozione di valenza ontologica al divenire (perché essa costituirebbe l'affermazione del "diventare altro" dell'essente) implica a mio avviso di porre l'identità dei non identici in quanto l'esser-sé dell'«apparire non più / non ancora» viene ad essere identificato all'esser-sé del «non apparire» simpliciter cioè prescindente dalla determinatezza della specifica diacronia del poi rispetto al prima e del prima rispetto al poi.
    Se l'esser sé diveniente viene annullato allora il "non più" e il "non ancora" non hanno più alcuna consistenza ontologica, sì che l'esser sé di qualcosa che "non appare" è identico all'esser sé di qualcosa che "non appare ancora" ed è identico all'esser sé di qualcosa che "non appare più".
    Si può ricorrere alla seguente formulazione:
    (1): [A = x(t-1) - x(t)] = [x(t-1) - x(t) = A]
    la quale esprime l'esser sé dell'apparire della differenza diacronica determinata del «non apparire più» di ciò che a x(t-1) conveniva PRIMA del sopraggiungere di x(t) e del «non apparire ancora» di ciò che a x(t) converrà DOPO il suo essere sopraggiunto ad x(t-1).
    Severino, come è noto, nega consistenza ontologica alla determinatezza dell'essere il prima una specifica diacronia rispetto al poi e dell'essere il poi una specifica diacronia rispetto al prima in quanto nell'apparire infinito nulla può sopraggiungere in quanto in esso tutto è già da sempre ed eternamente. La situazione prospettata da Severino nell'apparire infinito può essere indicata mediante la formula che esprime l'esser-sé dell'apparire prescindente da ogni riferimento al tempo (t), ossia eliminando dalla (1) l'essere il prima una specifica diacronia rispetto al poi e l'essere il poi una specifica diacronia rispetto al prima, o, che esprime in altri termini l'esser-sé dell'apparire del «non apparire simpliciter» di un determinato processo diacronico, nel modo seguente:
    (2) [A = x] = [x = A]
    Ora: per Severino, la "differenza di essere" della (1) dalla (2) non può sussistere in quanto tra la (1) e la (2) può sussistere SOLTANTO UNA DIFFERENZA DI APPARIRE. Infatti nella (2) la soppressione della "t" che compariva nella (1) sta a indicare che la processualità diacronica nell'orizzonte immutabile dell'apparire infinito non soltanto non deve apparire, ma soprattutto deve essere priva di consistenza ontologica in quanto è necessario che nell'infinito sia nulla la differenza DIACRONICA tra ciò che non appare ancora e ciò che non appare più, laddove invece la (1) esprime l'esser sé dell'apparire della determinatezza del «non apparire più» di ciò che a x(t-1) conveniva PRIMA del sopraggiungere di x(t) e del «non apparire ancora» di ciò che a x(t) converrà DOPO il suo essere sopraggiunto ad x(t-1).
    Alla luce delle considerazioni svolte si comprende perché l'ontologia severiniana sia impossibilitata a porre nell'apparire infinito la distinzione tra la (1) e la (2) che QUANTO AL LORO ESSERE consistono nel medesimo, proprio in virtù del senso dell'immutabilità dell'identità severiniana che è del tutto indifferente al tempo, non essendo riconosciuta al divenire (in quanto diacronia) alcuna concreta consistenza ontologica, ma solo il suo apparire astratto nel finito.
    Per ricorrere ad un esempio che era assai caro al maestro Severino, poniamo che la (1) si riferisca all'esser sé dell'apparire (A) del differire diacronico determinato tra la legna x(t-1) e la cenere x(t) che conviene alla determinazione del processo di combustione (x) considerato.
    Sì che la (1) significa l'esser sé dell'apparire (A) della differenza diacronica fra il «non apparire più» di ciò che alla legna conveniva PRIMA del sopraggiungere della cenere e il «non apparire ancora» della cenere che alla legna converrà DOPO il suo essere sopraggiunta alla legna.
    La (2) significa l'esser sé dell'apparire (A) del «non apparire simpliciter» del processo di combustione (x).
    Stante il senso dell'identità severiniana che si riferisce all'essere immutabile (non diveniente nel tempo) nell'apparire infinito non è consentita ALCUNA DIFFERENZA DI ESSERE tra la (1) e la (2) che quindi sono il medesimo.
    Stante inoltre che nell'apparire infinito essere ed apparire sono il medesimo, ne segue che l'interpretazione non nichilistica del divenire, da ultimo, per Severino deve concludere non soltanto che l'essere-sé diveniente non appare, ma che propriamente non è.
    Questa conclusione tuttavia si regge sull'insolubile aporia in cui si chiude l'ontologia severiniana, poiché essa, da un lato, non può negare l'apparire del divenire processuale e, dall'altro, in quanto esso è necessariamente un nulla ontologico, a rigore, non potrebbe neppure venire affermato come apparire del divenire processuale, in quanto è lo stesso Severino a sostenere (in Essenza del Nichilismo) che il nulla non può apparire.
    Concludendo, Severino non riesce a porre la negazione di valenza ontologica al divenire poiché tale negazione subisce la sorte di auto-negarsi per via di confutazione elenctica, stante la necessità che ad apparire sia sempre ed inevitabilmente un esser-sé e quindi tale negazione si auto toglie in quanto negazione della necessità che il sopraggiungente includa l'esser sé che compete alla propria determinatezza diacronica (= diveniente).

  • @miriamcip
    @miriamcip 5 ปีที่แล้ว +6

    Professor SIni un maestro insostituibile. Grazie.

  • @giulioferrari8486
    @giulioferrari8486 5 ปีที่แล้ว +7

    Un gigante il Prof. Sini

  • @francescodamele5226
    @francescodamele5226 3 ปีที่แล้ว +3

    19 minuti di parole straordinarie

  • @mariellagalvagno51
    @mariellagalvagno51 3 ปีที่แล้ว +2

    Sì, un gigante, Carlo Sini!

  • @francescodamele5226
    @francescodamele5226 3 ปีที่แล้ว +2

    19 minuti di parole eccezionali

  • @francescodamele5226
    @francescodamele5226 3 ปีที่แล้ว +2

    Eccezionale Carlo Sini

  • @tonimanubrio9918
    @tonimanubrio9918 ปีที่แล้ว

    Mi sento come un pesce dento a un acquario in cui altri pesci molto capaci mi spiegano cos'è un acquario

  • @ermannovergani3574
    @ermannovergani3574 4 ปีที่แล้ว +5

    Un intervento magistrale che ci mette sulla strada per l'oltrepassamento di Severino il quale, a sua volta, da grande maestro ci ha mostrato cosa non è più possibile pensare restando inscritti nella tradizione metafisica. Grazie

  • @davidechersini9965
    @davidechersini9965 ปีที่แล้ว

    Banale, diseducativo.

  • @rv706
    @rv706 3 ปีที่แล้ว +3

    Severino = come crearsi un "brand" fondato su un paio di sofismi e giochi di parole

  • @antoniogiordano3470
    @antoniogiordano3470 ปีที่แล้ว

    È normale piangere?

  • @carlo_nd
    @carlo_nd 5 ปีที่แล้ว +2

    Vi arrampicate nei cieli e brancolate in terra.

  • @danieleferroni7690
    @danieleferroni7690 ปีที่แล้ว

    Possiamo chiamare vita soltanto ciò che appare, e morte o nulla, ciò che non appare? Il pensiero, che appare attraverso il linguaggio o un'azione, appare dal nulla, è destinato al nulla?
    Citando Severino, " ci dice la volta celeste (l'esperienza umana) che ne è del sole (noi e tutte le cose) prima dell'alba o dopo il tramonto? Ci mostra la sua meraviglia nel sorgere e la sua agonia nel tramonto, ma non che ne è prima e dopo l'apparire.