Gentile Dottore, questa tematica è molto complessa. La mia (purtroppo) lunga esperienza processuale, mi ha fatto comprendere (meglio di ogni altra regola processuale) che probabilmente il maggior "scarto" tra le verità, sta negli occhi di chi le dovrebbe" giudicare" ( e mi riferisco anche a chi dovrebbe rappresentarle). Tralasciando le questioni puramente giuridiche (in cui il punto causa verte sulle divergenti tesi di applicazione di una disposizione) i molti casi in cui, invece, le tesi delle parti vertono sul diverso modo in cui vengono rappresentati i fatti, spesso scontano un certo preconcetto. Mi spiego meglio. In sostanza e raramente mi è capitato un Giudice che non si sia fatto (letti gli atti) una propria idea "di partenza sul come sono andate realmente le cose" e spesso questo fatto è alla base delle successive scelte (anche in ordine alla stessa ammissione delle prove). Nelle cause di lavoro, ad esempio, il cosiddetto teste "accompagnatore" spessissimo non viene ammesso ( mi riferisco a colui il quale dovrebbe dichiarare, in tesi del ricorrente, di accompagnarlo in un certo luogo dove si afferma essere in svolgimento un rapporto di lavoro irregolare). Eppure, spesso, è l'unico modo (in prassi) in cui è possibile provare certi fatti (anche di rilevanza sociale importante, come il caporalato o lo sfruttamento). Ora, comprendo, la necessità di limitare al massimo una prova ritenuta (ed ecco il preconcetto) quasi sempre non genuina, tuttavia esistono istituti in materia processuale lavoristica che consentirebbero di andare oltre il limiti del principio dispositivo (istituti, di fatto, mai ammessi o utilizzati) come l'ispezione sui luoghi di lavoro. A memoria d'avvocato, non si ricorda un Giudice del lavoro che abbia mai fatto accesso ai luoghi di lavoro e interrogati in sede testimoni (letteralmente ex art 421 III° comma c.p.c). Eppure sarebbe uno strumento utilissimo (unitamente, ad esempio, all'esatta descrizione dei luoghi da parte del ricorrente che potrebbe fare "presumere" che sui luoghi di lavoro, questi ci sia stato). In sostanza, l'ordinamento ha moltissime regole sulle prove che se esattamente comprese e applicate, potrebbero, a mio avviso, concretamente contribuire a ridurre un "scarto" tra le verità (difficilmente eliminabile totalmente) ma la condizione è che tutti (avvocati e Giudici in primis) ne dovrebbero conoscere il fondamento. E' questo è un fatto, a mio avviso, imprescindibile. Cordiali saluti
Gentile Avvocato, debbo dire che tra le molte funzioni che ho ricoperto non rientra quella di Giudice del lavoro. Quindi su questo aspetto non so quanto sia diffusa la pratica di tagliare i testimoni "accompagnatori". In passato un mio amico Avvocato mi diceva che venivano generalmente ammessi, ma stiamo parlando di Roma e di parecchi anni fa. Non faccio fatica ad immaginare che un'istanza di accesso ai luoghi sia rigettata, dato il tempo che assorbirebbe. In ogni caso, le sue sono tutte considerazioni corrette quanto alle prove. Sul preconcetto basato sulla sola lettura degli atti invece non mi ci ritrovo. Non parlo solo di me, ma anche di tutti i colleghi con i quali ho lavorato. In ogni caso come avrà capito il video non era certo rivolto ai professionisti del settore legale (che queste cose le sanno benissimo), ma ai non addetti ai lavori che tavolta sanno di avere ragione e si trovano con una sentenza di rigetto. O, peggio ancora, sanno di essere innocenti o colpevoli e si trovano rispettivamente con un sentenza di condanna (una tragedia) o di assoluzione (comunque una tragedia).
Vostro onore, nel penale, meglio un testimone o prove come telefonate registrate/messaggi/registrazioni dal vivo? Temo che un testimone lo ascolti velocemente, le tonnellate di registrazioni non le ascolterà mai un giudice nel processo e delegherà un ctp allungando i tempi, corretto? Parlo di registrazioni tra i due soggetti coinvolti e mai fatte da terzi. Grazie.
Grazie dottore, sempre chiarissimo!
Gentile Dottore, questa tematica è molto complessa.
La mia (purtroppo) lunga esperienza processuale, mi ha fatto comprendere (meglio di ogni altra regola processuale) che probabilmente il maggior "scarto" tra le verità, sta negli occhi di chi le dovrebbe" giudicare" ( e mi riferisco anche a chi dovrebbe rappresentarle).
Tralasciando le questioni puramente giuridiche (in cui il punto causa verte sulle divergenti tesi di applicazione di una disposizione) i molti casi in cui, invece, le tesi delle parti vertono sul diverso modo in cui vengono rappresentati i fatti, spesso scontano un certo preconcetto.
Mi spiego meglio.
In sostanza e raramente mi è capitato un Giudice che non si sia fatto (letti gli atti) una propria idea "di partenza sul come sono andate realmente le cose" e spesso questo fatto è alla base delle successive scelte (anche in ordine alla stessa ammissione delle prove).
Nelle cause di lavoro, ad esempio, il cosiddetto teste "accompagnatore" spessissimo non viene ammesso ( mi riferisco a colui il quale dovrebbe dichiarare, in tesi del ricorrente, di accompagnarlo in un certo luogo dove si afferma essere in svolgimento un rapporto di lavoro irregolare).
Eppure, spesso, è l'unico modo (in prassi) in cui è possibile provare certi fatti (anche di rilevanza sociale importante, come il caporalato o lo sfruttamento).
Ora, comprendo, la necessità di limitare al massimo una prova ritenuta (ed ecco il preconcetto) quasi sempre non genuina, tuttavia esistono istituti in materia processuale lavoristica che consentirebbero di andare oltre il limiti del principio dispositivo (istituti, di fatto, mai ammessi o utilizzati) come l'ispezione sui luoghi di lavoro.
A memoria d'avvocato, non si ricorda un Giudice del lavoro che abbia mai fatto accesso ai luoghi di lavoro e interrogati in sede testimoni (letteralmente ex art 421 III° comma c.p.c).
Eppure sarebbe uno strumento utilissimo (unitamente, ad esempio, all'esatta descrizione dei luoghi da parte del ricorrente che potrebbe fare "presumere" che sui luoghi di lavoro, questi ci sia stato).
In sostanza, l'ordinamento ha moltissime regole sulle prove che se esattamente comprese e applicate, potrebbero, a mio avviso, concretamente contribuire a ridurre un "scarto" tra le verità (difficilmente eliminabile totalmente) ma la condizione è che tutti (avvocati e Giudici in primis) ne dovrebbero conoscere il fondamento.
E' questo è un fatto, a mio avviso, imprescindibile.
Cordiali saluti
Gentile Avvocato, debbo dire che tra le molte funzioni che ho ricoperto non rientra quella di Giudice del lavoro. Quindi su questo aspetto non so quanto sia diffusa la pratica di tagliare i testimoni "accompagnatori". In passato un mio amico Avvocato mi diceva che venivano generalmente ammessi, ma stiamo parlando di Roma e di parecchi anni fa. Non faccio fatica ad immaginare che un'istanza di accesso ai luoghi sia rigettata, dato il tempo che assorbirebbe. In ogni caso, le sue sono tutte considerazioni corrette quanto alle prove. Sul preconcetto basato sulla sola lettura degli atti invece non mi ci ritrovo. Non parlo solo di me, ma anche di tutti i colleghi con i quali ho lavorato. In ogni caso come avrà capito il video non era certo rivolto ai professionisti del settore legale (che queste cose le sanno benissimo), ma ai non addetti ai lavori che tavolta sanno di avere ragione e si trovano con una sentenza di rigetto. O, peggio ancora, sanno di essere innocenti o colpevoli e si trovano rispettivamente con un sentenza di condanna (una tragedia) o di assoluzione (comunque una tragedia).
Grazie dottore ha spiegato in modo chiaro e semplice un concetto che spesso il quisque de populo non riesce a capire.
Vostro onore, nel penale, meglio un testimone o prove come telefonate registrate/messaggi/registrazioni dal vivo? Temo che un testimone lo ascolti velocemente, le tonnellate di registrazioni non le ascolterà mai un giudice nel processo e delegherà un ctp allungando i tempi, corretto? Parlo di registrazioni tra i due soggetti coinvolti e mai fatte da terzi. Grazie.