Maria Valtorta - Quaderni - 30 marzo 1944: Morte di Maria Maddalena
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- เผยแพร่เมื่อ 28 ม.ค. 2025
- Maria Valtorta - Quaderni - 30 marzo 1944:
Morte di Maria Maddalena
Vedo una spelonca rocciosa in cui è un giaciglio di foglie ammassate su un rustico telaio di rami intrecciati e legati da giunchi. Deve essere comodo come uno strumento di tortura. La grotta ha inoltre un pietrone che fa da tavola e uno più piccolo che fa da sedile. Contro il lato più fondo ve ne è un altro: uno scheggione sporgente dalla roccia che, non so se naturalmente o con paziente e faticosa opera umana, è stato tratto a pulimento e presenta una superficie abbastanza liscia. Su questo, che pare un rustico altare, è posata una croce fatta di due rami tenuti insieme da vimini. L’abitante della grotta ha inoltre piantato in una fessura terrosa del suolo una pianta di edera e ne ha condotto i rami a incorniciare la croce e ad abbracciarla, mentre in due rustici vasi, che paiono modellati nella creta da mano inesperta, stanno dei fiori selvatici colti nelle vicinanze, e proprio ai piedi della croce, in una conchiglia gigante, è una pianticella di ciclamino selvatico con le piccole foglie ben nette e due bocci che sono prossimi a fiorire. Ai piedi di questo altare vi è un fascio di rami spinosi e un flagello di corde annodate. Nella grotta vi è inoltre un rustico orciolo con dell’acqua. Null’altro.
Dall’apertura stretta e bassa si vede uno sfondo di monti, e per una luminosità mobile che si intravvede lontano si direbbe che da questo punto sia visibile il mare. Ma non lo posso assicurare. Dei rami penduli d’edere e caprifogli e di rosai selvatici, tutta la solita pompa dei luoghi alpestri, pendono sull’apertura e fanno come un velo mobile che separa l’interno dall’esterno.
Una donna scarna, vestita di una rustica veste scura sulla quale è posata una pelle di capra come mantello, entra nella grotta smuovendo i rami penduli. Pare esausta. La sua età è indefinibile. Se si dovesse giudicare il volto appassito, le si darebbero molti anni: oltre sessanta. Se si dovesse giudicare la chioma ancor bella, folta, dorata, non più di un quaranta. Essa le pende in due trecce lungo le spalle curve e magre, ed è l’unica cosa che splenda in quello squallore. La donna sarà stata certo bella perché la fronte è ancor alta e liscia, il naso ben fatto e l’ovale, per quanto smagrito dall’estenuazione, regolare. Ma gli occhi non hanno più fulgore. Sono fortemente affondati nell’orbita e segnati da due bistri bluastri. Due occhi che denunciano il molto pianto versato. Due rughe, quasi due cicatrici, si sono intagliate dall’angolo dell’occhio lungo il naso e vanno a perdersi in quell’altra caratteristica ruga di chi molto ha sofferto, che dalle narici scende come un accento circonflesso agli angoli della bocca. Le tempie sono come scavate e le vene azzurre si disegnano nel grande pallore. La bocca pende con curva stanca ed è di un roseo pallidissimo. Un tempo deve essere stata una splendida bocca, ora è sfiorita. La curva delle labbra è simile a quella di due ali che pendano spezzate. Una bocca dolorosa.
La donna si trascina sino al masso che fa da tavolo e vi posa sopra dei mirtilli e delle fragole selvatiche. Poi va all’altare e si inginocchia. Ma è così spossata che nel farlo quasi cade e deve sorreggersi con una mano al masso. Prega guardando la croce e delle lacrime scendono per il solco sino alla bocca che le beve. Poi lascia cadere la sua pelle di capra e resta con la sola rozza tunica e prende i flagelli e le spine. Stringe i rami spinosi intorno al suo capo e ai suoi lombi e si flagella con le corde. Ma è troppo debole per farlo. Lascia cadere il flagello e, appoggiandosi all’altare con ambe le mani e la fronte, dice: “Non posso più, Rabboni! Più soffrire, in ricordo del tuo dolore!”.
La voce me la fa riconoscere. È Maria di Magdala. Sono nella sua grotta di penitente.
Maria piange. Chiama Gesù con amore. Non può più soffrire. Ma amare può ancora. La sua carne macerata dalla penitenza non resiste più alla fatica del flagellarsi, ma il cuore ha ancora palpiti di passione e si consuma nelle sue ultime forze amando. Ed ella ama, restando con la fronte incoronata di spine e la vita serrata nelle spine, ama parlando al suo Maestro in una continua professione d’amore e in un rinnovato atto di dolore.
È scivolata con la fronte a terra. La stessa posa che aveva sul Calvario di fronte a Gesù deposto sul grembo di Maria, la stessa che aveva nella casa di Gerusalemme quando la Veronica spiegava il suo velo, la stessa che aveva nell’orto di Giuseppe d’Arimatea quando Gesù la chiamò ed ella lo riconobbe e lo adorò. Ma ora piange perché Gesù non c’è.
“La vita mi fugge, Maestro mio. E dovrò morire senza rivederti? Quando potrò bearmi del tuo Viso? I miei peccati stanno di fronte a me e mi accusano. Tu mi hai perdonata, e credo che l’inferno non mi avrà. Ma quanta sosta nell’espiazione prima di vivere di Te! Oh! Maestro buono! Per l’amore che mi hai dato conforta l’anima mia! L’ora della morte è venuta....