Gassman Legge Dante - La Divina Commedia - Inferno - Canto XIV

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  • เผยแพร่เมื่อ 18 พ.ย. 2024

ความคิดเห็น • 13

  • @cinque226
    @cinque226 2 ปีที่แล้ว +2

    Come può un essere umano sostenere un simile carisma?

  • @testidellaletteratura7019
    @testidellaletteratura7019 3 ปีที่แล้ว +2

    Grazie ... Bellissimo sentire Gassman e Dante

  • @guidocolombo8452
    @guidocolombo8452 ปีที่แล้ว +1

    Dante il sommo poeta, Gassman il sommo dicitore!!!

  • @Pantakyas
    @Pantakyas 2 ปีที่แล้ว +1

    Arte

  • @annademuro1007
    @annademuro1007 4 ปีที่แล้ว +3

    Speciale la divina commedia come la descrive Vittorio Gassman è giunta l'ora di leggerla ora che abbiamo tanto tempo chiusi in casa

  • @giovannineri6332
    @giovannineri6332 4 ปีที่แล้ว +3

    Meraviglioso

  • @monoxydeish
    @monoxydeish 4 ปีที่แล้ว +3

    Gassman legge Dante????? cambiate il titolo perche' quest'uomo lo recita a MEMORIA!!!!

  • @cittadifonditube
    @cittadifonditube 3 ปีที่แล้ว +1

    Mamma mia che interpretazione!

  • @MariaCorrierepoeta
    @MariaCorrierepoeta 9 ปีที่แล้ว +8

    DANTE/GASSMAN GRANDI PER SEMPRE

  • @antonioiantorno445
    @antonioiantorno445 4 ปีที่แล้ว +2

    come Gassman nessuno....

  • @francescocusato
    @francescocusato 9 ปีที่แล้ว

    Allegoria del grande veglio, Virgilio che nel mediterraneo c'era un isola Creta è una grande grotta e dentro un gigante.

  • @francescocusato
    @francescocusato 9 ปีที่แล้ว

    Ascolto

  • @abdel5505
    @abdel5505 2 ปีที่แล้ว +2

    Poi che la carità del natio loco
    mi strinse, raunai le fronde sparte,
    e rende’le a colui, ch’era già fioco. 3
    Indi venimmo al fine ove si parte
    lo secondo giron dal terzo, e dove
    si vede di giustizia orribil arte. 6
    A ben manifestar le cose nove,
    dico che arrivammo ad una landa
    che dal suo letto ogne pianta rimove. 9
    La dolorosa selva l’è ghirlanda
    intorno, come ’l fosso tristo ad essa:
    quivi fermammo i passi a randa a randa. 12
    Lo spazzo era una rena arida e spessa,
    non d’altra foggia fatta che colei
    che fu da’ piè di Caton già soppressa. 15
    O vendetta di Dio, quanto tu dei
    esser temuta da ciascun che legge
    ciò che fu manifesto a li occhi miei! 18
    D’anime nude vidi molte gregge
    che piangean tutte assai miseramente,
    e parea posta lor diversa legge. 21
    Supin giacea in terra alcuna gente,
    alcuna si sedea tutta raccolta,
    e altra andava continuamente. 24
    Quella che giva intorno era più molta,
    e quella men che giacea al tormento,
    ma più al duolo avea la lingua sciolta. 27
    Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento,
    piovean di foco dilatate falde,
    come di neve in alpe sanza vento. 30
    Quali Alessandro in quelle parti calde
    d’India vide sopra ’l suo stuolo
    fiamme cadere infino a terra salde, 33
    per ch’ei provide a scalpitar lo suolo
    con le sue schiere, acciò che lo vapore
    mei si stingueva mentre ch’era solo: 36
    tale scendeva l’etternale ardore;
    onde la rena s’accendea, com’esca
    sotto focile, a doppiar lo dolore. 39
    Sanza riposo mai era la tresca
    de le misere mani, or quindi or quinci
    escotendo da sé l’arsura fresca. 42
    I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci
    tutte le cose, fuor che ’ demon duri
    ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci, 45
    chi è quel grande che non par che curi
    lo ’ncendio e giace dispettoso e torto,
    sì che la pioggia non par che ’l marturi?». 48
    E quel medesmo, che si fu accorto
    ch’io domandava il mio duca di lui,
    gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto. 51
    Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui
    crucciato prese la folgore aguta
    onde l’ultimo dì percosso fui; 54
    o s’elli stanchi li altri a muta a muta
    in Mongibello a la focina negra,
    chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!", 57
    sì com’el fece a la pugna di Flegra,
    e me saetti con tutta sua forza,
    non ne potrebbe aver vendetta allegra». 60
    Allora il duca mio parlò di forza
    tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito:
    «O Capaneo, in ciò che non s’ammorza 63
    la tua superbia, se’ tu più punito:
    nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
    sarebbe al tuo furor dolor compito». 66
    Poi si rivolse a me con miglior labbia
    dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi
    ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia 69
    Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi;
    ma, com’io dissi lui, li suoi dispetti
    sono al suo petto assai debiti fregi. 72
    Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
    ancor, li piedi ne la rena arsiccia;
    ma sempre al bosco tien li piedi stretti». 75
    Tacendo divenimmo là ’ve spiccia
    fuor de la selva un picciol fiumicello,
    lo cui rossore ancor mi raccapriccia. 78
    Quale del Bulicame esce ruscello
    che parton poi tra lor le peccatrici,
    tal per la rena giù sen giva quello. 81
    Lo fondo suo e ambo le pendici
    fatt’era ’n pietra, e ’ margini dallato;
    per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici. 84
    «Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato,
    poscia che noi intrammo per la porta
    lo cui sogliare a nessuno è negato, 87
    cosa non fu da li tuoi occhi scorta
    notabile com’è ’l presente rio,
    che sovra sé tutte fiammelle ammorta». 90
    Queste parole fuor del duca mio;
    per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto
    di cui largito m’avea il disio. 93
    «In mezzo mar siede un paese guasto»,
    diss’elli allora, «che s’appella Creta,
    sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto. 96
    Una montagna v’è che già fu lieta
    d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida:
    or è diserta come cosa vieta. 99
    Rea la scelse già per cuna fida
    del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
    quando piangea, vi facea far le grida. 102
    Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
    che tien volte le spalle inver’ Dammiata
    e Roma guarda come suo speglio. 105
    La sua testa è di fin oro formata,
    e puro argento son le braccia e ’l petto,
    poi è di rame infino a la forcata; 108
    da indi in giuso è tutto ferro eletto,
    salvo che ’l destro piede è terra cotta;
    e sta ’n su quel più che ’n su l’altro, eretto. 111
    Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta
    d’una fessura che lagrime goccia,
    le quali, accolte, foran quella grotta. 114
    Lor corso in questa valle si diroccia:
    fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
    poi sen van giù per questa stretta doccia 117
    infin, là ove più non si dismonta,
    fanno Cocito; e qual sia quello stagno
    tu lo vedrai, però qui non si conta». 120
    E io a lui: «Se ’l presente rigagno
    si diriva così dal nostro mondo,
    perché ci appar pur a questo vivagno?». 123
    Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo;
    e tutto che tu sie venuto molto,
    pur a sinistra, giù calando al fondo, 126
    non se’ ancor per tutto il cerchio vòlto:
    per che, se cosa n’apparisce nova,
    non de’ addur maraviglia al tuo volto». 129
    E io ancor: «Maestro, ove si trova
    Flegetonta e Letè? ché de l’un taci,
    e l’altro di’ che si fa d’esta piova». 132
    «In tutte tue question certo mi piaci»,
    rispuose; «ma ’l bollor de l’acqua rossa
    dovea ben solver l’una che tu faci. 135
    Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
    là dove vanno l’anime a lavarsi
    quando la colpa pentuta è rimossa». 138
    Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi
    dal bosco; fa che di retro a me vegne:
    li margini fan via, che non son arsi,
    e sopra loro ogne vapor si spegne».