Sentir la sua voce che scivola e commuovermi. Se non scoppiare in un pianto liberatorio. Immersi in un mondo che s'apre, fatto di respiri e sospiri profondi. Sempre ed ogni volta. Così allora come oggi.
Si resta senza parole a tanta bellezza! Meravigliosi i versi pur nella loro immensa tristezza. Stupenda la voce dell'interprete che ha saputo far suo e ridire il dolore del poeta . Dalla sofferenza nascono capolavori, dalla gioia non so!
Maestosi versi maestosamente interpretati, com'è sovente, per il Maestro Herlitzka. Grazie per questa encomiabile condivisione. Un mio cordiale saluto.
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea tornare ancor per uso a contemplarvi sul paterno giardino scintillanti, e ragionar con voi dalle finestre di questo albergo ove abitai fanciullo, e delle gioie mie vidi la fine. Quante immagini un tempo, e quante fole creommi nel pensier l’aspetto vostro e delle luci a voi compagne! allora che, tacito, seduto in verde zolla, delle sere io solea passar gran parte mirando il cielo, ed ascoltando il canto della rana rimota alla campagna! E la lucciola errava appo le siepi e in su l’aiuole, susurrando al vento i viali odorati, ed i cipressi lá nella selva; e sotto al patrio tetto sonavan voci alterne, e le tranquille opre de’ servi. E che pensieri immensi, che dolci sogni mi spirò la vista di quel lontano mar, quei monti azzurri, che di qua scopro, e che varcare un giorno io mi pensava, arcani mondi, arcana felicitá fingendo al viver mio! ignaro del mio fato, e quante volte questa mia vita dolorosa e nuda volentier con la morte avrei cangiato. Né mi diceva il cor che l’etá verde sarei dannato a consumare in questo natio borgo selvaggio, intra una gente zotica, vil, cui nomi strani, e spesso argomento di riso e di trastullo son dottrina e saper; che m’odia e fugge, per invidia non giá, ché non mi tiene maggior di sé, ma perché tale estima ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori a persona giammai non ne fo segno. Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, senz’amor, senza vita; ed aspro a forza tra lo stuol de’ malevoli divengo: qui di pietá mi spoglio e di virtudi, e sprezzator degli uomini mi rendo, per la greggia c’ho appresso: e intanto vola il caro tempo giovanil, piú caro che la fama e l’allòr, piú che la pura luce del giorno, e lo spirar: ti perdo senza un diletto, inutilmente, in questo soggiorno disumano, intra gli affanni, o dell’arida vita unico fiore. Viene il vento recando il suon dell’ora dalla torre del borgo. Era conforto questo suon, mi rimembra, alle mie notti, quando fanciullo, nella buia stanza, per assidui terrori io vigilava, sospirando il mattin. Qui non è cosa ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro non torni, e un dolce rimembrar non sorga; dolce per sé; ma con dolor sottentra il pensier del presente, un van desio del passato, ancor tristo, e il dire: - Io fui. - Quella loggia colá, vòlta agli estremi raggi del dí; queste dipinte mura, quei figurati armenti, e il sol che nasce su romita campagna, agli ozi miei porser mille diletti allor che al fianco m’era, parlando, il mio possente errore sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche, al chiaror delle nevi, intorno a queste ampie finestre sibilando il vento, rimbombaro i sollazzi e le festose mie voci al tempo che l’acerbo, indegno mistero delle cose a noi si mostra pien di dolcezza; indelibata, intera il garzoncel, come inesperto amante, la sua vita ingannevole vagheggia, e celeste beltá fingendo ammira. O speranze, speranze; ameni inganni della mia prima etá! sempre, parlando, ritorno a voi; ché, per andar di tempo, per variar d’affetti e di pensieri, obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, son la gloria e l’onor; diletti e beni mero desio; non ha la vita un frutto, inutile miseria. E sebben vòti son gli anni miei, sebben deserto, oscuro il mio stato mortal, poco mi toglie la fortuna, ben veggo. Ahi! ma qualvolta a voi ripenso, o mie speranze antiche, ed a quel caro immaginar mio primo; indi riguardo il viver mio sí vile e sí dolente, e che la morte è quello che di cotanta speme oggi m’avanza; sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto consolarmi non so del mio destino. quando pur questa invocata morte sarammi allato, e sará giunto il fine della sventura mia; quando la terra mi fia straniera valle, e dal mio sguardo fuggirá l’avvenir; di voi per certo risovverrammi; e quell’imago ancora sospirar mi fará, farammi acerbo l’esser vissuto indarno, e la dolcezza del dí fatal tempererá d’affanno. E giá nel primo giovanil tumulto di contenti, d’angosce e di desio, morte chiamai piú volte, e lungamente mi sedetti colá su la fontana pensoso di cessar dentro quell’acque la speme e il dolor mio. Poscia, per cieco malor, condotto della vita in forse, piansi la bella giovanezza, e il fiore de’ miei poveri dí, che sí per tempo cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso sul conscio letto, dolorosamente alla fioca lucerna poetando, lamentai co’ silenzi e con la notte il fuggitivo spirto, ed a me stesso in sul languir cantai funereo canto. Chi rimembrar vi può senza sospiri, o primo entrar di giovinezza, o giorni vezzosi, inenarrabili, allor quando al rapito mortal primieramente sorridon le donzelle; a gara intorno ogni cosa sorride; invidia tace, non desta ancora ovver benigna; e quasi (inusitata maraviglia!) il mondo la destra soccorrevole gli porge, scusa gli errori suoi, festeggia il novo suo venir nella vita, ed inchinando mostra che per signor l’accolga e chiami? Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo son dileguati. E qual mortale ignaro di sventura esser può, se a lui giá scorsa quella vaga stagion, se il suo buon tempo, se giovanezza, ahi giovanezza! è spenta? O Nerina! e di te forse non odo questi luoghi parlar? caduta forse dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, che qui sola di te la ricordanza trovo, dolcezza mia? Piú non ti vede questa terra natal: quella finestra, ond’eri usata favellarmi, ed onde mesto riluce delle stelle il raggio, è deserta. Ove sei, che piú non odo la tua voce sonar, siccome un giorno, quando soleva ogni lontano accento del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi fûro, mio dolce amor. Passasti. Ad altri il passar per la terra oggi è sortito, e l’abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti, e come un sogno fu la tua vita. Ivi danzando, in fronte la gioia ti splendea, splendea negli occhi quel confidente immaginar, quel lume di gioventú, quando spegneali il fato, e giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna l’antico amor. Se a feste anco talvolta, se a radunanze io movo, infra me stesso dico: O Nerina, a radunanze, a feste tu non ti acconci piú, tu piú non movi. - Se torna maggio, e ramoscelli e suoni van gli amanti recando alle fanciulle, dico: - Nerina mia, per te non torna primavera giammai, non torna amore. - Ogni giorno sereno, ogni fiorita piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento, dico: - Nerina or piú non gode; i campi, l’aria non mira. - Ahi! tu passasti, eterno sospiro mio: passasti; e fia compagna d’ogni mio vago immaginar, di tutti i miei teneri sensi, i tristi e cari moti del cor, la rimembranza acerba.
Grazie per questa opportunità, c'è un bisogno urgente, sintonizzare, armonizzando, le parole, il timbro ,il tono,il ritmo, perché : l' Adoperare, le Parole giuste a tutto il resto , fa la differenza, fra il mondo Animale e il mondo Umano, " LA VOCE " . LA VOCE PUÒ CAMBIARE IL DESTINO DELL' UOMO. Si può iniziare da QUI' GRAZIE
Leopardi e Gassman insieme nella fonte ispirativa......L' incontro scolastico antico e' di ventato il bisogno assiduo di commozione viva palpitante sull' onda di un' analogia di vita quasi identica.Qua,triste stordimento, la', lassu', canto di voce purissima Tml
quando la nostra civiltà finirà vorrei che una futura specie aliena, arrivando sulla terra, trovasse solo questo video, e capisse da esso - poesia musica e recitazione - cos’era l’essere umano
Una noia mortale, una disperazione inutile che Leopardi non aveva. Ascoltate la stessa poesia recitata da Albertazzi o Gassman... pura musica per le orecchie.
Scusa Stefano potresti togliere ogni riferimento a Gasmann? Questa è la voce dell'unico, grande Roberto Herlitzka, almeno mille anni luce sopra Gasmann.
La foto nel video è sicuramente sbagliata per un errore nel montaggio. Nella scaletta è riportato correttamente il nome di Herlitzka. In ogni caso questa poesia fa parte di una raccolta che Gassman stesso aveva selezionato scegliendo personalmente gli interpreti. Si tratta infatti della "Antologia personale" creata, spiegata e raccontata, dallo stesso autore. Per questo motivo ho deciso di lasciare la sua foto.
Perché la poesía es consustancial a la poesía y la poesía nació como canto. La poesía tiene todas las posibilidades combinarse, siempre y cuando se haga bien. Tal vez sólo los poetas lo entiendan del todo bien.
Chissà qual è l'obiettivo - stupido - di chi mette nelle icone il nome di Gassman e la sua foto nel quadro. Bah! Herlitzka l'ho già ascoltato da altra parte e qui chiudo.
Si sa, questa poesia è meravigliosa, l'interpretazione efficace, ma la musica... davvero inutile, Leopardi non ha certo bisogno delle banalità di Einaudi
Sentir la sua voce che scivola
e commuovermi.
Se non scoppiare in un pianto liberatorio.
Immersi in un mondo che s'apre,
fatto di respiri e sospiri profondi.
Sempre ed ogni volta.
Così allora come oggi.
Si resta senza parole a tanta bellezza! Meravigliosi i versi pur nella loro immensa tristezza. Stupenda la voce dell'interprete che ha saputo far suo e ridire il dolore del poeta . Dalla sofferenza nascono capolavori, dalla gioia non so!
Aaaaaaaaaaaa
Riposa in pace Maestro❤
Meravigliosi versi.....
Sembra di ascoltare "lui" mentre la scrive,una notte,nella sua stanza...Da far sentire nelle scuole,che emozioni...
Grande grande ascoltarti la mia anima va in estasi mi mette pace nel cuore mio (Grazie)
Maestosi versi maestosamente interpretati, com'è sovente, per il Maestro Herlitzka. Grazie per questa encomiabile condivisione. Un mio cordiale saluto.
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
tornare ancor per uso a contemplarvi
sul paterno giardino scintillanti,
e ragionar con voi dalle finestre
di questo albergo ove abitai fanciullo,
e delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
creommi nel pensier l’aspetto vostro
e delle luci a voi compagne! allora
che, tacito, seduto in verde zolla,
delle sere io solea passar gran parte
mirando il cielo, ed ascoltando il canto
della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
e in su l’aiuole, susurrando al vento
i viali odorati, ed i cipressi
lá nella selva; e sotto al patrio tetto
sonavan voci alterne, e le tranquille
opre de’ servi. E che pensieri immensi,
che dolci sogni mi spirò la vista
di quel lontano mar, quei monti azzurri,
che di qua scopro, e che varcare un giorno
io mi pensava, arcani mondi, arcana
felicitá fingendo al viver mio!
ignaro del mio fato, e quante volte
questa mia vita dolorosa e nuda
volentier con la morte avrei cangiato.
Né mi diceva il cor che l’etá verde
sarei dannato a consumare in questo
natio borgo selvaggio, intra una gente
zotica, vil, cui nomi strani, e spesso
argomento di riso e di trastullo
son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
per invidia non giá, ché non mi tiene
maggior di sé, ma perché tale estima
ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
a persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
tra lo stuol de’ malevoli divengo:
qui di pietá mi spoglio e di virtudi,
e sprezzator degli uomini mi rendo,
per la greggia c’ho appresso: e intanto vola
il caro tempo giovanil, piú caro
che la fama e l’allòr, piú che la pura
luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
senza un diletto, inutilmente, in questo
soggiorno disumano, intra gli affanni,
o dell’arida vita unico fiore.
Viene il vento recando il suon dell’ora
dalla torre del borgo. Era conforto
questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
quando fanciullo, nella buia stanza,
per assidui terrori io vigilava, sospirando il mattin. Qui non è cosa
ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro
non torni, e un dolce rimembrar non sorga;
dolce per sé; ma con dolor sottentra
il pensier del presente, un van desio
del passato, ancor tristo, e il dire: - Io fui. -
Quella loggia colá, vòlta agli estremi
raggi del dí; queste dipinte mura,
quei figurati armenti, e il sol che nasce
su romita campagna, agli ozi miei
porser mille diletti allor che al fianco
m’era, parlando, il mio possente errore
sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche,
al chiaror delle nevi, intorno a queste
ampie finestre sibilando il vento,
rimbombaro i sollazzi e le festose
mie voci al tempo che l’acerbo, indegno
mistero delle cose a noi si mostra
pien di dolcezza; indelibata, intera
il garzoncel, come inesperto amante,
la sua vita ingannevole vagheggia,
e celeste beltá fingendo ammira.
O speranze, speranze; ameni inganni
della mia prima etá! sempre, parlando,
ritorno a voi; ché, per andar di tempo, per variar d’affetti e di pensieri,
obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
son la gloria e l’onor; diletti e beni
mero desio; non ha la vita un frutto,
inutile miseria. E sebben vòti son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
il mio stato mortal, poco mi toglie
la fortuna, ben veggo. Ahi! ma qualvolta
a voi ripenso, o mie speranze antiche,
ed a quel caro immaginar mio primo;
indi riguardo il viver mio sí vile
e sí dolente, e che la morte è quello
che di cotanta speme oggi m’avanza;
sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto
consolarmi non so del mio destino.
quando pur questa invocata morte
sarammi allato, e sará giunto il fine
della sventura mia; quando la terra
mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
fuggirá l’avvenir; di voi per certo
risovverrammi; e quell’imago ancora
sospirar mi fará, farammi acerbo
l’esser vissuto indarno, e la dolcezza
del dí fatal tempererá d’affanno.
E giá nel primo giovanil tumulto
di contenti, d’angosce e di desio,
morte chiamai piú volte, e lungamente
mi sedetti colá su la fontana
pensoso di cessar dentro quell’acque
la speme e il dolor mio. Poscia, per cieco malor, condotto della vita in forse,
piansi la bella giovanezza, e il fiore
de’ miei poveri dí, che sí per tempo
cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
sul conscio letto, dolorosamente
alla fioca lucerna poetando,
lamentai co’ silenzi e con la notte
il fuggitivo spirto, ed a me stesso
in sul languir cantai funereo canto.
Chi rimembrar vi può senza sospiri,
o primo entrar di giovinezza, o giorni
vezzosi, inenarrabili, allor quando
al rapito mortal primieramente
sorridon le donzelle; a gara intorno
ogni cosa sorride; invidia tace,
non desta ancora ovver benigna; e quasi
(inusitata maraviglia!) il mondo
la destra soccorrevole gli porge,
scusa gli errori suoi, festeggia il novo
suo venir nella vita, ed inchinando
mostra che per signor l’accolga e chiami?
Fugaci giorni! a somigliar d’un lampo
son dileguati. E qual mortale ignaro
di sventura esser può, se a lui giá scorsa
quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
se giovanezza, ahi giovanezza! è spenta?
O Nerina! e di te forse non odo
questi luoghi parlar? caduta forse
dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
che qui sola di te la ricordanza
trovo, dolcezza mia? Piú non ti vede
questa terra natal: quella finestra,
ond’eri usata favellarmi, ed onde
mesto riluce delle stelle il raggio,
è deserta. Ove sei, che piú non odo
la tua voce sonar, siccome un giorno,
quando soleva ogni lontano accento
del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto
scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
fûro, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
il passar per la terra oggi è sortito,
e l’abitar questi odorati colli.
Ma rapida passasti, e come un sogno
fu la tua vita. Ivi danzando, in fronte
la gioia ti splendea, splendea negli occhi quel confidente immaginar, quel lume
di gioventú, quando spegneali il fato,
e giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
l’antico amor. Se a feste anco talvolta,
se a radunanze io movo, infra me stesso dico: O Nerina, a radunanze, a feste
tu non ti acconci piú, tu piú non movi. -
Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
van gli amanti recando alle fanciulle,
dico: - Nerina mia, per te non torna
primavera giammai, non torna amore. -
Ogni giorno sereno, ogni fiorita
piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento,
dico: - Nerina or piú non gode; i campi,
l’aria non mira. - Ahi! tu passasti, eterno sospiro mio: passasti; e fia compagna
d’ogni mio vago immaginar, di tutti
i miei teneri sensi, i tristi e cari
moti del cor, la rimembranza acerba.
Troppo pessimismo da fare paura.
Grazie per questa opportunità, c'è un bisogno urgente, sintonizzare, armonizzando, le parole, il timbro ,il tono,il ritmo, perché : l' Adoperare, le Parole giuste a tutto il resto , fa la differenza, fra il mondo Animale e il mondo Umano, " LA VOCE " . LA VOCE PUÒ CAMBIARE IL DESTINO DELL' UOMO. Si può iniziare da QUI' GRAZIE
Leopardi e Gassman insieme nella fonte ispirativa......L' incontro scolastico antico e' di ventato il bisogno assiduo di commozione viva palpitante sull' onda di un' analogia di vita quasi identica.Qua,triste stordimento, la', lassu', canto di voce purissima Tml
Alla perizia tecnica s'affianca un'inimitabile dizione colma di pathos e di equilibrio
quando la nostra civiltà finirà vorrei che una futura specie aliena, arrivando sulla terra, trovasse solo questo video, e capisse da esso - poesia musica e recitazione - cos’era l’essere umano
Ma che c'entra la. Foto di Gasmann? Questa è la voce del grande e unico Herlitzka
sbagliato il montaggio hai ragione scusa
@@poesieinmusica sarebbe bello cambiarla. comunque grazie
Sarebbe il caso di cambiarla, se nn altro come omaggio al grande scomparso.
Sera del di di Festa
........Cosa c'entra la foto del grande Gassman.........mettici quella di Herlitzka......che e' pure...grandissimo........
La foto messa come immagine è di Gassman, non di Herzlika. Prego sarebbe bello cambiarla.
Una noia mortale, una disperazione inutile che Leopardi non aveva. Ascoltate la stessa poesia recitata da Albertazzi o Gassman... pura musica per le orecchie.
ha saltato un pezzo...."E sprezzator degli uomini mi rendo"
Si ma perché nel video c'è Gassman?
Scusa Stefano potresti togliere ogni riferimento a Gasmann? Questa è la voce dell'unico, grande Roberto Herlitzka, almeno mille anni luce sopra Gasmann.
La foto nel video è sicuramente sbagliata per un errore nel montaggio. Nella scaletta è riportato correttamente il nome di Herlitzka. In ogni caso questa poesia fa parte di una raccolta che Gassman stesso aveva selezionato scegliendo personalmente gli interpreti. Si tratta infatti della "Antologia personale" creata, spiegata e raccontata, dallo stesso autore. Per questo motivo ho deciso di lasciare la sua foto.
Leopardi, l'assoluto.Vittorio Gassman,il mattatore.Si può chiedere di più?
Trae in inganno la foto e la voce simile,ma è Herlitzka il narratore
Herliktza o Foà???
Herliktza
Scusate, ma la musica disturba la lettura e distrae
Gassman ?
si non lo e' ho sbagliato il montaggio video la descrizione e' corretta
Si è evidentemente Gassman e del buon Herlitzka neanche una foto !!
Non si mette la musica in accompagnamento alle poesie!
Perché la poesía es consustancial a la poesía y la poesía nació como canto. La poesía tiene todas las posibilidades combinarse, siempre y cuando se haga bien. Tal vez sólo los poetas lo entiendan del todo bien.
mi piace di più l'interpretazione di Carmelo Bene
Foà
sara anche un grande interprete ma non ci sento l' animo di Leopardi
......ce ne faremo una ....ragione.........
Peccato rovinare la splendida interpretazione di Herlitzka in questo modo.
Comunque, che fastidio il rumore della saliva
Chissà qual è l'obiettivo - stupido - di chi mette nelle icone il nome di Gassman e la sua foto nel quadro. Bah! Herlitzka l'ho già ascoltato da altra parte e qui chiudo.
guido musco ma leggere i commenti?
non è gassman, cazzo
si ho sbagliato scusa
Fabio Fermani Vedo che abbiamo qui un vero poeta.. Come diceva? "Gente zotica,vil".
Si sa, questa poesia è meravigliosa, l'interpretazione efficace, ma la musica... davvero inutile, Leopardi non ha certo bisogno delle banalità di Einaudi