Nell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (12 agosto 1944), che qui nella mia Toscana è ancora tragicamente presente nella memoria storica, furono gli esploratori delle Brigate Nere a condurre i boia della 16ma SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer-SS" sui luoghi dove poi i nazisti massacrarono 560 civili. Questa modalità fu comune anche a diverse altre stragi sul nostro territorio dopo l'8 settembre 1943, che infatti vengono correttamente definite "nazifasciste". Quindi, se possibile, i collaborazionisti italiani ricoprirono un ruolo ancora più bieco e odioso rispetto ai soldati tedeschi: quello dei delatori fratricidi. La nostra premier dovrebbe prenderne atto, se ha un minimo di dignità. P.S. Nella sola Italia, la succitata divisione SS fu responsabile dell'uccisione di quasi 2.000 civili inermi.
Incredibile a dirsi ma nelle ultime elezioni, a Sant'Anna di Stazzema la Meloni è stata votata dal 75% del paese. Quella gente è stata trucidata due volte.
Sarebbe bello comemorare a Roma per istruire i nostri ragazzi Giocano a dimenticare perché gli fa comodo Il Moncenisio, Il colle di tenda, l'alta val roia, l'Istria, parte delle Venezia Giulia, della Dalmazia, le Isola Quarnerine, le Isole di Cazza, Pelagosta e Lagosta, le città di Zara e Fiume, le Isole del Dodecaneso con Rodi.Che affare hanno fatto i loro avi e ancora credono in certi ideali e ci hanno schiavizzato a pagare il piano Marshall da chi sovvenzionato Hitler. Per me sono autistici non vivono nel mondo reale dopo tanta eferatezza un uomo normale direbbe cazzo che brutalità e non vorrà più sostrare a certi avvenimenti. Bravo il professore che ha sottolineato la criminalità espatriata in Africa. Grazie anche a te .
Prof.tutto giusto,lei dica sempre la verità e se ne freghi di chi la critica.In questo periodo purtroppo così vicino a un altro conflitto mondiale(si spera di no)io personalmente se ci fosse bisogno di ulteriori uomini, arruolerei tutti gli italiani che inneggiano a quel periodo,tra l'altro guardando vecchie immagini le piazze erano strapiene ad acclamare lui senza neanche capire cosa diceva tant'è che alla dichiarazione di guerra sembravano tutti felici.
Professore anche in Italia purtroppo abbiamo avuto un campo di concentramento con forni crematori. L'unico sul territorio italico si trovava a Trieste chiamato " La risiera di San Sabba", oggi monumento nazionale.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Buongiorno Professore, non deve smettere di puntualizzare questo argomento è fondamentale soprattutto oggi. Poi la sua recensione del film della Cortellesi è impeccabile... la Cortellesi per motivi commerciali è stata una "paraculo". Comunque è sempre un piacere ascoltarla
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
La Meloni sia che si parli di Foibe, della Strage di Bologna o delle Fosse Ardeatine non cita mai le gravi responsabilità dei fascisti. È francamente inaccettabile.
Io sono di Bologna e quel giorno alla stazione c'ero... vorrei solo ricordarti che la targa che trovi all'interno della stazione messa dopo poche settimane dall'accaduto dove recita strage fascista senza avere uno straccio di prove e si dà proprio il fatto che dopo oltre 40 anni le prove che piano piano emergono portano da tutt'altra parte...come Piazza Fontana.. Italicus e altre quindi molta attenzione all'informazione che ci viene data specialmente negli ultimi anni esempio guerra in Ucraina.. Saluto
Sto dicendo che Meloni non pronuncia mai la parola fascista, non quello che c'è scritto sulla targa. La matrice neofascista, magari in concorso con qualcun altro, è acclarata e lo ha dovuto ricordare perfino il Presidente Mattarella dopo le omissioni di Meloni
@@fabriziominoletti9532 La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
@@rambler1893 il presidente di che partito è ??? anche se dovrebbe essere superpartes non ha mai mancato di tifare per la linea del suo partito 😡😡😡 inoltre alle foibe non c'entra niente il fascismo , bensì il massacro di poveri cittadini ad opera dei comunisti che si sono comportati peggio dei nazisti perché loro li hanno fucilati , invece i comunisti li hanno buttati ancora vivi nei buchi legati l'uno con l'altro con filo di ferro ...
Storicamente si parla di nazifascismo propio perché tutto ciò che accadeva nel territorio della repubblica sociale italiana di fatto avveniva con la complicità del governo fascista.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
@@panettonenatalizio4112le foibe sono state un crimine di guerra, e quindi? Non dimentichiamo che gli invasori eravamo noi però, non loro. Questo non giustifica certo ma c'è una bella differenza
@@fulvioxonxo Noi non abbiamo invaso nulla. Quelli erano territori Italiani. Tito era un dittatore, comunista, sanguinario ed odiava gli Italiani oltre che i Fascisti.
@@panettonenatalizio4112 Te lo spiego io che sono comunista: seppure i partigiani iugoslavi abbiano fatto delle porcherie nei confronti di inermi civili italiani, loro stavano pur sempre facendo degli atti di partiggianeria contro di noi per liberarsi dall'occupazione e riprendersi la loro patria e la loro identità. Seppure le modalità siano da condannare, la partiggianeria si appoggia sempre. Anzi, se non avessimo ucciso 300 mila civili, se non avessimo provato ad assimilarsi alla nostra lingua e cultura, se non avessimo usato campi di concentramento e se semplicemente non li avessimo invasi e occupati, loro non avrebbero fatto quello che hanno fatto. La colpa indiretta del massacro di cittadini italiani è del fascismo
In Calabria c'era Ferramonti per dirne uno... vabbè che noi del sud siamo l'ultima ruota del carro però quest' ignoranza mi fa incazzare...perdona l'impeto dello sfogo, Matteo
Meno male che qualcuno ne parla un poco di quegli italiani brava gente... perché vorrei ricordare che oltre alle atrocità che abbiamo compiuto in Nord africa non da meno anzi quello che abbiamo fatto in Grecia ancor di peggio ( noi festeggiamo il 25 aprile liberazione dai tedeschi..loro anno un giorno che festeggiamo la liberazione dagli italiani) e ancor peggio quello che abbiamo compiuto ai nostri concittadini... Quindi sarebbe ora di smetterla di identificare il popolo tedesco come il male assoluto.. È per finire vorrei sempre ricordare che Hitler sul comodino non aveva la foto di Eva Braun ma bensì quella di Mussolini Sarà quindi ora che diventiamo grandi e prenderci le nostre responsabilita di italiani BRAVA GENTE.. saluto
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
@@gianfrancourbani5310 A me sembra che la sinistra, DA SEMPRE, infanghi la Patria e gli Italiani. Nessuno dice che gli Italiani non abbiano commesso errori, che per carità debbono essere ricordati, ma nemmeno è giusto raccontare cose non vere come gli intellettualoidi, DI SINISTRA, hanno fatto per decenni e decenni.
Napoleone diceva che “La storia è un insieme di menzogne su cui si è tutti d'accordo”. Evidentemente quelle menzogne storiche accettate da ottant'anni non trovano l'accordo di tutti per cui si continua a riscrivere, e mai si cesserà di farlo.
Esatto. Quarant'anni fa parlando con un fascista doc, da tradizione di famiglia, affermava che la storia insegnata a scuola era falsa e la avevano scritta i vincitori. Ora è assessore ovviamente di coalizione di centrodestra che amministra la città dove vivo.
Basterebbe riflettere sugli episodi da lei citati come le leggi razziali o il colonialismo per farsi un'idea di cosa sia stato il fascismo; tuttavia nel suo sminuimento più che provincialismo ci vedo un timore di perdita di consenso elettorale da parte di quella fetta di italiani che per certezza personale o ignoranza rimangono attaccati alla figura di Mussolini che non una fiera convinzione politica. La mia impressione è che in questo paese destra o sinistra siano soltanto sterili definizioni, ciò che conta è governare o partecipare all'azione di governo avendo cura di non toccare certi poteri; basti vedere la poco onorevole ritrattazione sulla tassazione degli extraprofitti dei gruppi bancari o quell'infinità di politici bandieruola che passano da uno schieramento all'altro, addirittura suo opposto senza alcuna vergogna.
@@ipazia4287 Cos'è un nuovo enigma o una domanda retorica? Che riflessione dovrebbe indurre una persona barbaramente massacrata se non di sdegno e condanna? Scomodo cosa?
@@superflyerizzera e prima che tu parla di fantagigaglioni di morti: 1) il libro nero del comunismo è ritenuto un falso storico a fini propagandistici durante la guerra fredda, la quasi totalità di quelle morti furono causate dal secondo conflitto mondiale e dalla rivoluzione o dalla resistsenza verso super potenze coloniali straniere come gli Stati uniti, francia, belgio e inghilterra. 2) per quanto riguarda le morti in italia causate dai partigiani sono state la diretta consenguenza di 20 anni di dittatura brutale, assassina e violenta
Professore sono spesso d'accordo con lei. Anche con il contenuto di questo video. In questo caso credo che si dovrebbe avere il coraggio di tener conto anche della responsabilità di chi ha eseguito l'attentato. È certamente romantica l'idea della resistenza, ma fare un'attentato in quel momento per poi andarsi a nascondere significava condannare degli innocenti a morte.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Ecco,ha detto una frase giusta in questo momento:”ci piace raccontarci in maniera diversa .”Vediamo sempre nell’altro il male .Io voglio (non vorrei)un mondo che sia di tutti ,delle meravigliose società umane .Io voglio un mondo di competizione umanitaria .Io voglio un mondo di non guerre. Perche’ e’cosi’ difficile realizzare ciò? Perché il passato non ha insegnato nulla? Perche’ nel 2024 ci sono ancora perdite di vite umane ? Lo vogliamo capire che ogni vita è la cosa più preziosa ?
Ce l’hanno a morte con Antonio Scurati perché i suoi tre romanzi su M sono in massima parte basati su documenti inconfutabili. E questi documenti raccontano in tutta la sua drammaticità questo tremendo periodo della nostra storia. Quando li ho letti la domanda che mi sono fatto decine di volte è stata: “ma come è stato possibile tutto questo?”
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Lei Professore non ha voluto dedicare un post al giorno del ricordo ma si stupisce (biasima) Meloni per la memoria dimezzata. *_Potere al popolo_* quale popolo ? SOLO il popolo dei tanti Amendola di via Rasella ?
La citazione (dei fascisti) è "L'unico errore" non colpa. E se non avese commesso quell'errore avrebbe continuato ad essere l'ago della bilancia e lo stimatissimo leader che aveva fatto dire a Roosvelt: “se fossi italiano sarei fascista ! “
La cosa che mi fa scuotere la testa😢 e' che I Fascisti sono amici di Bibi. Da una cresciuta a Roma per anni la Meloni la vedo come l' amica Romana che mi manca, che tristezza. Se fosse Centro sinistra l anerei ❤ mi sent truffata lol😂
Anche prof. Saudino gnà fatta a dedicare un post nel giorno del ricordo delle foibe nonostante gli fu fatto notare il suo silenzio. Come la mettiamo ? Ognuno agisce pro domo.sua.
Come mai la presidente del consiglio non parla di strage nazi-fascista riguardo alle Fosse Ardeatine? Mah! La risposta non dovrebbe essere particolarmente difficile.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
La memoria condivisa si avrà quando finalmente capiremo tutti che la guerra civile è finita 79 anni fa, e non ha senso portarcela dietro per un solo giorno di più, sia pure a bassa intensità e sotto forma di (sterile) polemica
@887 La memoria condivisa: nemmeno prof. Saudino ha condiviso (pro domo sua) l'importante sottolineatura di Meloni: _335 italiani che furono barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia_ *_dopo attacco partigiano di via Rasella_*
Esatto. il peggiore tra i 3 è stata la causa scatenata dal GAP con la strage Rasella il cui ordine - impartito dopo la guerra (armistizio corto di Cassibile) - lo assunse Amendola.
Va bè ma può attirare tutto quello che vuole, la libertà di esprimere la propria ha la priorità, l'ignoranza dilaga ma non si combatte con il silenzio di certo😅😅😅
@@LorenzoDerrick Un conto è esprimere opinioni, un conto è fare le solite polemiche sterili. C'è anche un bel commento, sempre qui sotto, che dice che la guerra civile è finita 79 anni fa.
I partigiani erano dalla parte della ragione. Che poi ci sia stato qualcuno che calco ' troppo la mano, che sbaglio ' non fa testo. Cosa dovevano fare? Lasciare il Paese in mano ai nazifascisti?
@@antonellazei109 "che poi ci sia stato qualcuno che calco' troppo la mano, che sbaglio' non fa testo." Va bene hai classificato la tua persona con un commento.
Le parole di Meloni.che NON piacciono al.Professore: *_335 italiani che furono barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia dipo attacco partigiano di via Rasella_*
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Quando ero ragazzo, i miei genitori, che NON erano fascisti ma avevano vissuto, loro da giovanissimi il fascismo, la chiamavano “ dittatura all’acqua di rose” perché questi erano i concetti che erano stati inculcati. I treni puntuali, le porte aperte tanto non veniva nessuno a rubarti in casa ecc ecc.
Perché perché c'è da dubitarne c'è da dubitarne Chi sono gli autori della strage delle fosse ardeatine che c'è da dubitare ? Delle fosse ardeatine ?? Per favore
Condivido ....siamo tutti in debito con il duce ed il fascismo perché senza le sue geniali iniziative, l' invasione della Grecia, l' attacco del mitico generale Graziani all' Egitto con 150.000 italici prigionieri , la spedizione di 200.000 soldati contro l' URSS con 90.000 morti ....forse la Germania avrebbe vinto la guerra !!!! C'è di che esserne fieri!
Nell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema (12 agosto 1944), che qui nella mia Toscana è ancora tragicamente presente nella memoria storica, furono gli esploratori delle Brigate Nere a condurre i boia della 16ma SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer-SS" sui luoghi dove poi i nazisti massacrarono 560 civili. Questa modalità fu comune anche a diverse altre stragi sul nostro territorio dopo l'8 settembre 1943, che infatti vengono correttamente definite "nazifasciste". Quindi, se possibile, i collaborazionisti italiani ricoprirono un ruolo ancora più bieco e odioso rispetto ai soldati tedeschi: quello dei delatori fratricidi. La nostra premier dovrebbe prenderne atto, se ha un minimo di dignità. P.S. Nella sola Italia, la succitata divisione SS fu responsabile dell'uccisione di quasi 2.000 civili inermi.
Incredibile a dirsi ma nelle ultime elezioni, a Sant'Anna di Stazzema la Meloni è stata votata dal 75% del paese. Quella gente è stata trucidata due volte.
Sarebbe bello comemorare a Roma per istruire i nostri ragazzi Giocano a dimenticare perché gli fa comodo Il Moncenisio, Il colle di tenda, l'alta val roia, l'Istria, parte delle Venezia Giulia, della Dalmazia, le Isola Quarnerine, le Isole di Cazza, Pelagosta e Lagosta, le città di Zara e Fiume, le Isole del Dodecaneso con Rodi.Che affare hanno fatto i loro avi e ancora credono in certi ideali e ci hanno schiavizzato a pagare il piano Marshall da chi sovvenzionato Hitler. Per me sono autistici non vivono nel mondo reale dopo tanta eferatezza un uomo normale direbbe cazzo che brutalità e non vorrà più sostrare a certi avvenimenti. Bravo il professore che ha sottolineato la criminalità espatriata in Africa. Grazie anche a te .
Prof.tutto giusto,lei dica sempre la verità e se ne freghi di chi la critica.In questo periodo purtroppo così vicino a un altro conflitto mondiale(si spera di no)io personalmente se ci fosse bisogno di ulteriori uomini, arruolerei tutti gli italiani che inneggiano a quel periodo,tra l'altro guardando vecchie immagini le piazze erano strapiene ad acclamare lui senza neanche capire cosa diceva tant'è che alla dichiarazione di guerra sembravano tutti felici.
Professore anche in Italia purtroppo abbiamo avuto un campo di concentramento con forni crematori. L'unico sul territorio italico si trovava a Trieste chiamato " La risiera di San Sabba", oggi monumento nazionale.
A Trieste il 75% è fascionazista, a conferma che quello che conta è sempre l'amore.
"Il concetto stesso di verità oggettiva sta scomparendo dal nostro mondo. Le bugie passeranno alla storia" George Orwell
Verissimo,come se ci fosse un operazione di auto assolvimento per quello che il regime fascista ha fatto che lascia senza parole..
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
bravo Prof. sempre bene
Buongiorno Professore, non deve smettere di puntualizzare questo argomento è fondamentale soprattutto oggi. Poi la sua recensione del film della Cortellesi è impeccabile... la Cortellesi per motivi commerciali è stata una "paraculo".
Comunque è sempre un piacere ascoltarla
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Professore Come sempre un ottima analisi precisa e corretta
Continua così prof!
La storia non si può cancellare Sempre partigiano rimarrò.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
La Meloni sia che si parli di Foibe, della Strage di Bologna o delle Fosse Ardeatine non cita mai le gravi responsabilità dei fascisti. È francamente inaccettabile.
Io sono di Bologna e quel giorno alla stazione c'ero... vorrei solo ricordarti che la targa che trovi all'interno della stazione messa dopo poche settimane dall'accaduto dove recita strage fascista senza avere uno straccio di prove e si dà proprio il fatto che dopo oltre 40 anni le prove che piano piano emergono portano da tutt'altra parte...come Piazza Fontana.. Italicus e altre quindi molta attenzione all'informazione che ci viene data specialmente negli ultimi anni esempio guerra in Ucraina..
Saluto
Sto dicendo che Meloni non pronuncia mai la parola fascista, non quello che c'è scritto sulla targa. La matrice neofascista, magari in concorso con qualcun altro, è acclarata e lo ha dovuto ricordare perfino il Presidente Mattarella dopo le omissioni di Meloni
Ma come si fa ad amare i vigliacchi ?
@@fabriziominoletti9532 La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
@@rambler1893 il presidente di che partito è ??? anche se dovrebbe essere superpartes non ha mai mancato di tifare per la linea del suo partito 😡😡😡 inoltre alle foibe non c'entra niente il fascismo , bensì il massacro di poveri cittadini ad opera dei comunisti che si sono comportati peggio dei nazisti perché loro li hanno fucilati , invece i comunisti li hanno buttati ancora vivi nei buchi legati l'uno con l'altro con filo di ferro ...
Grazie
Storicamente si parla di nazifascismo propio perché tutto ciò che accadeva nel territorio della repubblica sociale italiana di fatto avveniva con la complicità del governo fascista.
Ma Giorgia è buona e cristiana. Caritatevole. Perciò perdona i fascisti. Anzi lei fa di più è proprio fascista per solidarietà.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Perché i comunisti non dicono MAI nulla sulle Foibe?? L'ipocrisia della sinistra.
@@panettonenatalizio4112le foibe sono state un crimine di guerra, e quindi? Non dimentichiamo che gli invasori eravamo noi però, non loro. Questo non giustifica certo ma c'è una bella differenza
@@fulvioxonxo Noi non abbiamo invaso nulla. Quelli erano territori Italiani. Tito era un dittatore, comunista, sanguinario ed odiava gli Italiani oltre che i Fascisti.
@@panettonenatalizio4112 Te lo spiego io che sono comunista: seppure i partigiani iugoslavi abbiano fatto delle porcherie nei confronti di inermi civili italiani, loro stavano pur sempre facendo degli atti di partiggianeria contro di noi per liberarsi dall'occupazione e riprendersi la loro patria e la loro identità. Seppure le modalità siano da condannare, la partiggianeria si appoggia sempre. Anzi, se non avessimo ucciso 300 mila civili, se non avessimo provato ad assimilarsi alla nostra lingua e cultura, se non avessimo usato campi di concentramento e se semplicemente non li avessimo invasi e occupati, loro non avrebbero fatto quello che hanno fatto. La colpa indiretta del massacro di cittadini italiani è del fascismo
In Calabria c'era Ferramonti per dirne uno... vabbè che noi del sud siamo l'ultima ruota del carro però quest' ignoranza mi fa incazzare...perdona l'impeto dello sfogo, Matteo
Meno male che qualcuno ne parla un poco di quegli italiani brava gente... perché vorrei ricordare che oltre alle atrocità che abbiamo compiuto in Nord africa non da meno anzi quello che abbiamo fatto in Grecia ancor di peggio ( noi festeggiamo il 25 aprile liberazione dai tedeschi..loro anno un giorno che festeggiamo la liberazione dagli italiani) e ancor peggio quello che abbiamo compiuto ai nostri concittadini...
Quindi sarebbe ora di smetterla di identificare il popolo tedesco come il male assoluto..
È per finire vorrei sempre ricordare che Hitler sul comodino non aveva la foto di Eva Braun ma bensì quella di Mussolini
Sarà quindi ora che diventiamo grandi e prenderci le nostre responsabilita di italiani BRAVA GENTE..
saluto
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Signor Dante, MISSIONE IMPOSSIBILISSIMA!!!, che l'italianino cresca.
@@gianfrancourbani5310 A me sembra che la sinistra, DA SEMPRE, infanghi la Patria e gli Italiani. Nessuno dice che gli Italiani non abbiano commesso errori, che per carità debbono essere ricordati, ma nemmeno è giusto raccontare cose non vere come gli intellettualoidi, DI SINISTRA, hanno fatto per decenni e decenni.
stanno cercando di riscrivere la storia Prof
Napoleone diceva che “La storia è un insieme di menzogne su cui si è tutti d'accordo”. Evidentemente quelle menzogne storiche accettate da ottant'anni non trovano l'accordo di tutti per cui si continua a riscrivere, e mai si cesserà di farlo.
Sparano cazzate solo su queste vicende..almeno tengono stretto l'elettorato di destra estrema...perché per il resto....
Esatto. Quarant'anni fa parlando con un fascista doc, da tradizione di famiglia, affermava che la storia insegnata a scuola era falsa e la avevano scritta i vincitori. Ora è assessore ovviamente di coalizione di centrodestra che amministra la città dove vivo.
Si , ma basta saperla 😊
Grazie Matteo
Neanche una targa a ricordare il bambino saltato in aria nell', attentato... vergogna...Mario rip
Attenzione a non sottovalutare questa destra. Il fascismo esiste in Italia.
Ma perché?!? 😭
Infatti. E con grande Onore dico.. Il Fascismo è ancora vivo!!🤚💚🖤🇮🇹🦅
@@cityhunter2394Do you need a shrink? Call the nearest hospital. Take care of yourself, you inveterate fool!😅
@@cityhunter2394Demenza precoce?
@@deepblue188 La tua di sicuro!
Basterebbe riflettere sugli episodi da lei citati come le leggi razziali o il colonialismo per farsi un'idea di cosa sia stato il fascismo; tuttavia nel suo sminuimento più che provincialismo ci vedo un timore di perdita di consenso elettorale da parte di quella fetta di italiani che per certezza personale o ignoranza rimangono attaccati alla figura di Mussolini che non una fiera convinzione politica. La mia impressione è che in questo paese destra o sinistra siano soltanto sterili definizioni, ciò che conta è governare o partecipare all'azione di governo avendo cura di non toccare certi poteri; basti vedere la poco onorevole ritrattazione sulla tassazione degli extraprofitti dei gruppi bancari o quell'infinità di politici bandieruola che passano da uno schieramento all'altro, addirittura suo opposto senza alcuna vergogna.
viz60.purtroppo il suo commento non fa una piega.
condivido pienamente.
Perché non rifletti su Amendola ?
È scomodo farlo, vero ?
@@ipazia4287 Cos'è un nuovo enigma o una domanda retorica? Che riflessione dovrebbe indurre una persona barbaramente massacrata se non di sdegno e condanna? Scomodo cosa?
@@viz60do Cos'è ? Coda di paglia ?
io che vivo in germania so che non esistono ne nazisti ne fascisti buoni ...d,altronde un cane rimane un cane mica diventa gatto
aiooo nè comunisti buoni,è il potere e il delirio di onnipotenza che rovina non il credo politico/religioso
@@superflyerizzera l.ediologia e diversa da fascismo e nazismo ma diciamo che anche il comunismo e stato un fallimento
@@superflyerizzera e prima che tu parla di fantagigaglioni di morti:
1) il libro nero del comunismo è ritenuto un falso storico a fini propagandistici durante la guerra fredda, la quasi totalità di quelle morti furono causate dal secondo conflitto mondiale e dalla rivoluzione o dalla resistsenza verso super potenze coloniali straniere come gli Stati uniti, francia, belgio e inghilterra.
2) per quanto riguarda le morti in italia causate dai partigiani sono state la diretta consenguenza di 20 anni di dittatura brutale, assassina e violenta
Tu sei il migliore
Professore sono spesso d'accordo con lei. Anche con il contenuto di questo video.
In questo caso credo che si dovrebbe avere il coraggio di tener conto anche della responsabilità di chi ha eseguito l'attentato.
È certamente romantica l'idea della resistenza, ma fare un'attentato in quel momento per poi andarsi a nascondere significava condannare degli innocenti a morte.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Questa volta condivido le sue parole
Ecco,ha detto una frase giusta in questo momento:”ci piace raccontarci in maniera diversa .”Vediamo sempre nell’altro il male .Io voglio (non vorrei)un mondo che sia di tutti ,delle meravigliose società umane .Io voglio un mondo di competizione umanitaria .Io voglio un mondo di non guerre.
Perche’ e’cosi’ difficile realizzare ciò?
Perché il passato non ha insegnato nulla?
Perche’ nel 2024 ci sono ancora perdite di vite umane ?
Lo vogliamo capire che ogni vita è la cosa più preziosa ?
Leggo tutto x capire forse sbagliando si impara....
Ce l’hanno a morte con Antonio Scurati perché i suoi tre romanzi su M sono in massima parte basati su documenti inconfutabili. E questi documenti raccontano in tutta la sua drammaticità questo tremendo periodo della nostra storia. Quando li ho letti la domanda che mi sono fatto decine di volte è stata: “ma come è stato possibile tutto questo?”
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Scurati?? Il sinistroide??? Non credo che sia obiettivo. Leggete il libro di Nicholas Farrell.
@@panettonenatalizio4112tipico commento da panettone natalizio. Leggere prima di parlare
@@eugeniocolucci368 Leggi tu. E non fare battutine sul nickname perché si evince che non sai cosa dire.
@@panettonenatalizio4112 quello che avevo da dire l’ho detto nel commento. Lo ribadisco, però basta così.
❤❤
Scusi non ho capito di quale film della cortellesi parla....
Non c'entra niente con il video,ma mi sono sempre chiesto perché i fascisti non sono stati processati a Norimberga.
Lei Professore non ha voluto dedicare un post al giorno del ricordo ma si stupisce (biasima) Meloni per la memoria dimezzata.
*_Potere al popolo_* quale popolo ? SOLO il popolo dei tanti Amendola di via Rasella ?
*_Lorenzo Derrick hai intenzione di tallonare e molestare ?_*
*_Eccoti un vaffank in anteprima_*
Secondo me è giusto evidenziare che non tutti ammettono il fascismo soprattutto la nostra premier ed Company per fare capire di che matrice siano.
Perché la sinistra comunista non dice MAI nulla sulle Foibe??' L'ipocrisia della sinistra.
"L'unica colpa di Mussolini è stata di allearsi con Hitler" ~cit.
La citazione (dei fascisti) è "L'unico errore" non colpa.
E se non avese commesso quell'errore avrebbe continuato ad essere l'ago della bilancia e lo stimatissimo leader che aveva fatto dire a Roosvelt: “se fossi italiano sarei fascista ! “
La cosa che mi fa scuotere la testa😢 e' che I Fascisti sono amici di Bibi. Da una cresciuta a Roma per anni la Meloni la vedo come l' amica Romana che mi manca, che tristezza. Se fosse Centro sinistra l anerei ❤ mi sent truffata lol😂
Rassegniamoci: nun gliela faaaaaaaà!!!
Anche prof. Saudino gnà fatta a dedicare un post nel giorno del ricordo delle foibe nonostante gli fu fatto notare il suo silenzio.
Come la mettiamo ? Ognuno agisce pro domo.sua.
Meloni ha fatto benissimo nel non dirlo. E non lo dice fino a che gli altri non ammettono la colpa di Amendola come causa indiretta.
Come mai la presidente del consiglio non parla di strage nazi-fascista riguardo alle Fosse Ardeatine? Mah! La risposta non dovrebbe essere particolarmente difficile.
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Ricordiamoci anche gli italiani in Jugoslavia...
La memoria condivisa si avrà quando finalmente capiremo tutti che la guerra civile è finita 79 anni fa, e non ha senso portarcela dietro per un solo giorno di più, sia pure a bassa intensità e sotto forma di (sterile) polemica
Applausi! 👏👏👏
Divide et impera
@887 La memoria condivisa:
nemmeno prof. Saudino ha condiviso (pro domo sua) l'importante sottolineatura di Meloni:
_335 italiani che furono barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia_ *_dopo attacco partigiano di via Rasella_*
È stata una strage nazifascistapartigiana.
Esatto. il peggiore tra i 3 è stata la causa scatenata dal GAP con la strage Rasella il cui ordine - impartito dopo la guerra (armistizio corto di Cassibile) - lo assunse Amendola.
Prof. ogni tanto una lezioncina sul comunismo e tutte le buone azioni di Stalin, sulla repubblica di Weimar ,così per dire ad un amico
Ma non se ne può più, ma basta! Ma secondo voi chi ha votato la Meloni ha votato perché è un nostalgico fascista?! Ma basta, dai!
Ho detto questo? No 😂
@Cecilia. Certamente no.
Fa comodo agli oppositori farlo credere. È il loro wonderwall (il gancio per esistere politicamente e ideologicamente)
@@MatteoSaudino Lo dicono i commenti sotto. Video come questi attirano messaggi come quelli sotto e lei lo sa benissimo.
Va bè ma può attirare tutto quello che vuole, la libertà di esprimere la propria ha la priorità, l'ignoranza dilaga ma non si combatte con il silenzio di certo😅😅😅
@@LorenzoDerrick Un conto è esprimere opinioni, un conto è fare le solite polemiche sterili. C'è anche un bel commento, sempre qui sotto, che dice che la guerra civile è finita 79 anni fa.
Perché non fa un video di approfondimento di tutte le stragi commesse da partigiani rossi a guerra finita?
Perché non gli fa comodo😂
I partigiani erano dalla parte della ragione. Che poi ci sia stato qualcuno che calco ' troppo la mano, che sbaglio ' non fa testo. Cosa dovevano fare? Lasciare il Paese in mano ai nazifascisti?
@@antonellazei109 "che poi ci sia stato qualcuno che calco' troppo la mano, che sbaglio' non fa testo." Va bene hai classificato la tua persona con un commento.
@@greez_zaz si si. Anche voi vi classificate da soli coi commenti. Siamo pari.
Tante stragi dei partigiani? Tante stragi?
E chissà che doveva dire.....
Un giorno si lamenteranno anche della NATO
No professore le liste dei martiri furono fatte dal gerarca capo fascista di roma e mandate poi a kapler
Le parole di Meloni.che NON piacciono al.Professore:
*_335 italiani che furono barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia dipo attacco partigiano di via Rasella_*
La realtà su Via Rasella è, molto, diversa da come la racconta la SINISTRA. L’ideologia, politica, di Sinistra ha, infatti, manipolato i fatti. L’attentato di Via Rasella avvenne il 23 marzo 1944 e fu eseguito dai partigiani comunisti, delle Brigate Garibaldi, i quali organizzarono l’attacco contro dei soldati altoatesini. L’attentato (autorizzato dal comunista Giorgio Amendola e dal socialista Sandro Pertini, che sarebbe dovuto trovarsi a Nizza) venne compiuto da un drappello di, almeno, 12 partigiani al comando di Carlo Salinari. Nell’attentato furono utilizzate due bombe, a miccia, ad alto potenziale e vennero collocate in un carretto, della nettezza urbana, confezionate con 18 chilogrammi di tritolo frammisto a spezzoni di ferro. Non solo, ma dopo le esplosioni furono lanciate, anche, alcune bombe da mortaio. Nell’attentato morirono 32 uomini dell’11° compagnia del 3° battaglione del Polizei Regiment Bozen, coscritti sudtirolesi, tutti CONTADINI ITALIANI arruolati contro la propria volontà a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì il giorno successivo. All’inizio della guerra questi soldati avevano prestato servizio militare per il Regno d’Italia, ed avevano giurato fedeltà ai Savoia ma, una volta sotto il controllo tedesco, erano stati inviati a Roma perché conoscevano l’italiano e, siccome erano considerati troppo vecchi per essere utilizzati al fronte, venivano destinati per l’esecuzione di operazioni di polizia. Di loro si cercò di cancellare ogni traccia. La storiografia, ufficiale, affermò, PER DECENNI, che erano SS naziste sotto il comando di Herbert Kappler. E per decenni non vi fu nemmeno una lapide che indicasse i loro nomi nel cimitero militare germanico di Pomezia. La deflagrazione fu violentissima ed aveva fatto tremare tutto l’isolato. Non solo ma era stata udita nell’intero centro di Roma. Con la deflagrazione 26 uomini erano morti sul colpo, si erano formate delle crepe sui muri delle case mentre c’erano persone agonizzanti che si contorcevano al suolo. Inoltre c’era sangue dappertutto. L’esplosione uccise anche da 5 a 9 civili tra cui un ragazzo di nome Piero Zuccheretti. Colui che piazzò la bomba, invece, a guerra ultimata ebbe anche una medaglia al valore per aver fatto uccidere più di 300 persone innocenti. Occorre dire, tra l’altro, che l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja afferma che è proibito attaccare uomini in divisa, di un esercito, senza avere una divisa e far parte di un altro esercito e che azioni di questo tipo comportano poi la rappresaglia. Il battaglione Bozen, tuttavia, dopo aver subito l’attentato si distinse per un gesto di disobbedienza dettata da motivi religiosi. Kappler, infatti, ordinò che fossero proprio i sopravvissuti dell’11° compagnia del Bozen a vendicarsi dei compagni uccisi, eseguendo le fucilazioni. Loro, però, si rifiutarono di obbedire in quanto Cattolici. Anche se i partigiani avevano ammazzato i loro compagni, e la rabbia era molta, non volevano uccidere altre persone. Lo stesso Feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante in capo delle forze tedesche in Italia, in occasione del processo che lo vide coinvolto, testimoniò come il comandante del battaglione Bozen si fosse rifiutato di impartire ai suoi uomini l’ordine ricevuto dai tedeschi. Il 3° battaglione, con il rifiuto di partecipare ai rastrellamenti ed alla rappresaglia, si configura come una delle poche forme di obiezione di coscienza messe in atto nei confronti del nazismo. Hitler, furioso per l’attentato, ordinò di radere al suolo un intero quartiere di Roma e di far passare per le armi 50 Italiani per ogni morto tedesco ma Kesselring riuscì a far ridurre il numero di vittime a 10 per ogni morto. Nel 1948, al tribunale civile di Roma, i familiari di alcune delle vittime delle Fosse Ardeatine promossero una causa di risarcimento danni contro i partigiani, e quindi nei confronti degli autori materiali dell’attentato di Via Rasella, che aveva causato la rappresaglia. Ma i giudici decisero che l’agguato, contro un reparto di militari germanici, ebbe carattere obiettivo di fatto di guerra. La conseguenza fu che i partigiani vennero assolti in tribunale, in appello e in Cassazione, mentre i parenti delle vittime ebbero addirittura la beffa di sentir definire i propri cari «martiri caduti per la Patria». La sentenza è fondata su un cumulo di menzogne, in quanto i «militari germanici» erano in realtà CONTADINI ITALIANI. Si è discusso, molto, in epoche recenti se l’attentato di Via Rasella (attuato dai GAP, un gruppo partigiano espressione del Partito Comunista Italiano ma non voluto né dagli altri gruppi della Resistenza né dagli Alleati, che anzi chiesero esplicitamente di non farlo) fosse opportuno, visto che gli Americani erano ormai prossimi a liberare Roma. I GAP speravano, con questo attentato e soprattutto con la successiva rappresaglia, di scatenare una rivolta popolare e, approfittando di questa, di prendere il potere. Il gappista Franco Calamandrei, interrogato da un amico sul perché non si consegnasse ai Tedeschi in modo da fermare la rappresaglia, disse: «Io sono marxista, la mia vita vale di più di quella degli altri, perché serve alla rivoluzione»; Amendola scrisse, per autogiustificarsi: «Noi partigiani combattenti avevamo il dovere di non presentarci, anche se il nostro sacrificio avesse potuto impedire la morte di tanti innocenti... Avevamo solo un dovere: continuare la lotta». Tra i vari documenti oggi a disposizione tra cui le intercettazioni telefoniche che testimoniano proprio la volontà dei partigiani di scatenare, grazie alla brutalità della rappresaglia, la sollevazione del popolo e provare che i Tedeschi non se ne andavano perché sconfitti dagli Angloamericani, ma perché cacciati dalla popolazione. Ma questo non avvenne perché la popolazione di Roma non prese le armi.
Avete rotto, basta!! tanto non governerete più! Pensate a cose più serie!!
Le solite palle hanno totto i Cgl..
Quando ero ragazzo, i miei genitori, che NON erano fascisti ma avevano vissuto, loro da giovanissimi il fascismo, la chiamavano “ dittatura all’acqua di rose” perché questi erano i concetti che erano stati inculcati. I treni puntuali, le porte aperte tanto non veniva nessuno a rubarti in casa ecc ecc.
Perché perché c'è da dubitarne c'è da dubitarne Chi sono gli autori della strage delle fosse ardeatine che c'è da dubitare ? Delle fosse ardeatine ?? Per favore
W il Fascismo!!! W il Duce risorto!!!!🤚💚🖤🇮🇹🦅
Condivido ....siamo tutti in debito con il duce ed il fascismo perché senza le sue geniali iniziative, l' invasione della Grecia, l' attacco del mitico generale Graziani all' Egitto con 150.000 italici prigionieri , la spedizione di 200.000 soldati contro l' URSS con 90.000 morti ....forse la Germania avrebbe vinto la guerra !!!! C'è di che esserne fieri!