Mirra. All'amor non c'è limite o quiete, fuorché la morte - Vittorio Alfieri

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  • เผยแพร่เมื่อ 24 ส.ค. 2024
  • Spettacolo teatrale
    Regia Tatiana Alescio
    con:
    Ciniro - Riccardo Zini
    Cecri - Elena Polic Greco
    Mirra - Evelyn Famà
    Pereo - Emilio Zanetti
    Euriclea (nutrice)- Carmelinda Gentile
    Ancelle - Aurora e Beatrice T.
    Consulente alla drammaturgia Auretta Sterrantino
    Scene e costumi Mary Accolla
    Musiche di scena Claudio Giglio
    Allestimenti e direttore di scena Antonio Paguni
    Bozzetti Rita Ann Susino
    Sartoria Anna Maria Formica
    Riprese e montaggio Fabio Fortuna
    Grafica Chiara Trovatello
    Mirra è una tragedia di parola, con punte di alto lirismo, pervasa da toni meditativi, malinconici e contenuti, in netto contrasto con la forza delle passioni che muovono i personaggi. È il conflitto interiore della protagonista il motore del dramma: l'azione è determinata dalle reazioni, anche solo emotive, degli altri personaggi, tutti uniti da un comune sentire, ovvero Mirra e la sua felicità. I personaggi si possono associare a coppie di due: da una parte Ciniro e Pereo, espressione di una stessa tipologia d'uomo, nobili d'animo prima ancora che per discendenza, onesti e leali, l'uno però forte e deciso, anche grazie alla sua esperienza e all'età matura; l'altro ancora acerbo e molto insicuro, soprattutto a causa del dolore che gli provoca il suo amore non corrisposto. L'altra coppia è quella costituita da Cecri ed Euriclea, che vivono una competizione, a tratti celata a tratti incontenibile, nell'aggiudicarsi il primato di "madre". Cecri, regina altera e apparentemente algida, scoprirà il suo amore sincero di madre solo alla fine del dramma. Euriclea è invece nutrice affezionata e pervasa da un sentimento incondizionato, ma di fronte al malessere della fanciulla, si scontra con l'impossibilità di agire e con la necessità di appellarsi alla "madre vera". In mezzo a questi due poli, Mirra travolta da una lotta durissima, che è tutta interiore, perché, come dice Ovidio, «odiare il padre è un delitto ma amarlo è un delitto ancor più grave». La sua feroce solitudine la spinge ad una sorta di esilio volontario legato all'odio per sé stessa, per le convenzioni sociali, e adiritura per le persone che ama sopra tutte le altre. Il Coro di voci maschili - non presente sulla scena - innalzando canti propiziatori, avrà il compito, al momento del matrimonio, di enfatizzare l'evidente gap che separa tragicamente Mirra e gli altri personaggi, che si delineano come spettatori del dramma in atto, più che come attori. In contrasto, il coro di voci femminili che, carico di sarcasmo ed espressione dell'io frantumato di Mirra -- il cui sdoppiamento è simbolicamente rappresentato dalle due statue in scena -- e voce del suo dissenso al matrimonio, nonché concausa del suo cedimento finale. Le musiche, originali, esprimeranno la tensione emotiva, sottolineando il vuoto creato intorno al personaggio di Mirra e le ansie e i sentimenti di coloro che la circondano. La tragedia si svolgerà nel giorno che delle nozze, in una scena che è, in realtà, un'astrazione atemporale della reggia di Cipro. Intensi i colori degli abiti, ad eccezione di quello di Mirra, virginale futura sposa, chiusa in una sobria veste, quasi candida, che diventerà simbolo della prigione nella quale il personaggio sta per rinchiudersi volontariamente. Il contrasto fra ciò che accade sulla scena ed il mondo interiore che si agita nella protagonista, sconvolgendola, sarà accentuato da alcune proiezioni, simboliche espressioni del turbinio di emozioni e sentimenti da cui è travolta Mirra.

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