Mi sembra che la sua analisi sui Big Data sia un po’ frettolosa. Sarebbe opportuno, a mio parere, prendere in considerare diversi fattori : cosa sono questi Big Data? sono Informazioni, l’accumulo di queste informazioni cosa porta? Porta a creare dei modelli, i modelli a cosa servono? Servono a capire meglio e di conseguenza a prendere decisioni sulla base delle informazioni raccolte. (Ironicamente, mi sembra assomigli molto al lavoro degli antropologi) Sono d’accordo sul fatto che sia preoccupante il fatto che i nostri dati siano in mano a terzi ecc. ma quando accettiamo i termini e le condizioni, leggiamo davvero cosa ci sia scritto? Comunque ci sono motori di ricerca come DuckDuckGo che non collezionano o condividono i dati personali. Credo che, come in molte cose, ci siano dei pro e dei contro da valutare, i Big Data e i Media non ne sono esenti. Spero di aver dato uno spunto di riflessione aggiuntivo.
Buongiorno Barbara concordo pienamente sul fatto che è solo citata la questione dei big data, in 10 minuti parlare di antropologia dei media è complesso e come dico sempre in questi brevi video sono delle lezioni ripasso delle mie lezioni del corso di antropologia culturale e visuale, lezioni da tre ore, non da dieci minuti. Credo che per capire la questione big-data dovremmo discutere dell’iper-macchina del consumo contemporanea significa parlare della biopolitica e del neoliberismo, che si collegano strettamente al significato stesso di psicopolitica e programmazione del controllo psicologico. Quando discutiamo di big data, ci troviamo davanti a un fenomeno di portata enorme e in continua evoluzione. I big data sono grandi sistemi di aggregazione di informazioni che superano le possibilità di raccolta dei tradizionali hardware. Con il progresso e lo sviluppo degli algoritmi che governano internet, i social network e soprattutto le grandi piattaforme di e-commerce, i big data sono diventati l’ossigeno della mega-macchina del consumo iper-capitalista, la nuova fonte di ricchezza per le corporation che fanno affari sui nostri desideri e immaginari, plasmati e costruiti da un bombardamento mediatico continuo. E questo perché le informazioni che i big data raccolgono riguardano le nostre vite, le preferenze, i gusti di tutti noi che navighiamo nel web. Informazioni, che possono essere scambiate, vendute e acquisite dalle grandi corporation. I prodotti che ci vengono consigliati, che ci potrebbero interessare, che appaiono nella nostra home di Facebook, o tra i post sponsorizzati su Instagram, su Amazon, o le playlist automaticamente modellate sui nostri gusti musicali prodotte dall’algoritmo di Spotify; la codificazione da parte di Netflix di centinaia e centinaia di «micro-generi» cinematografici sulla base delle nostre scelte di visoni precedenti, i consigli che troviamo dentro il giornale online che stiamo leggendo, insomma l’elenco potrebbe essere infinito. Tutti questi sono esempi di utilizzo dei big data da parte dei colossi del web. Il meccanismo è molto semplice: gli algoritmi regolano il funzionamento di queste piattaforme ed estraggono informazioni dall’attività dei singoli soggetti che usufruiscono della loro offerta. Tale aspetto presenta risvolti particolarmente tragici in termini di dominio, controllo, propaganda e omologazione. Siamo entrati ormai da diversi anni nell’era del controllo sociale e della sorveglianza digitale, che utilizza i big data per costruire dei perfetti clienti, elettori e cittadini omologati; siamo nell’era della psicopolitica, come ci ricorda Byung-Chul Han nel suo interessante saggio Psicopolitica. Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere (Nottetempo 2016).
Sei universale
buongiorno, ma questa è l'ultima lezione??????mi dispiace...propio adesso che mi interessava!!
Buongiorno Cinzia ogni settimana di venerdì o sabato ne carico una nuova. Grazie
@@AndreaStaid grazie!!!!
Mi sembra che la sua analisi sui Big Data sia un po’ frettolosa. Sarebbe opportuno, a mio parere, prendere in considerare diversi fattori : cosa sono questi Big Data? sono Informazioni, l’accumulo di queste informazioni cosa porta? Porta a creare dei modelli, i modelli a cosa servono? Servono a capire meglio e di conseguenza a prendere decisioni sulla base delle informazioni raccolte. (Ironicamente, mi sembra assomigli molto al lavoro degli antropologi)
Sono d’accordo sul fatto che sia preoccupante il fatto che i nostri dati siano in mano a terzi ecc. ma quando accettiamo i termini e le condizioni, leggiamo davvero cosa ci sia scritto? Comunque ci sono motori di ricerca come DuckDuckGo che non collezionano o condividono i dati personali.
Credo che, come in molte cose, ci siano dei pro e dei contro da valutare, i Big Data e i Media non ne sono esenti.
Spero di aver dato uno spunto di riflessione aggiuntivo.
Buongiorno Barbara concordo pienamente sul fatto che è solo citata la questione dei big data, in 10 minuti parlare di antropologia dei media è complesso e come dico sempre in questi brevi video sono delle lezioni ripasso delle mie lezioni del corso di antropologia culturale e visuale, lezioni da tre ore, non da dieci minuti. Credo che per capire la questione big-data dovremmo discutere dell’iper-macchina del consumo contemporanea significa parlare
della biopolitica e del neoliberismo, che si collegano strettamente al significato
stesso di psicopolitica e programmazione del controllo psicologico. Quando
discutiamo di big data, ci troviamo davanti a un fenomeno di portata enorme
e in continua evoluzione. I big data sono grandi sistemi di aggregazione di
informazioni che superano le possibilità di raccolta dei tradizionali hardware.
Con il progresso e lo sviluppo degli algoritmi che governano internet, i social
network e soprattutto le grandi piattaforme di e-commerce, i big data sono
diventati l’ossigeno della mega-macchina del consumo iper-capitalista, la nuova
fonte di ricchezza per le corporation che fanno affari sui nostri desideri
e immaginari, plasmati e costruiti da un bombardamento mediatico continuo.
E questo perché le informazioni che i big data raccolgono riguardano le nostre
vite, le preferenze, i gusti di tutti noi che navighiamo nel web. Informazioni,
che possono essere scambiate, vendute e acquisite dalle grandi corporation.
I prodotti che ci vengono consigliati, che ci potrebbero interessare,
che appaiono nella nostra home di Facebook, o tra i post sponsorizzati
su Instagram, su Amazon, o le playlist automaticamente modellate sui
nostri gusti musicali prodotte dall’algoritmo di Spotify; la codificazione da
parte di Netflix di centinaia e centinaia di «micro-generi» cinematografici
sulla base delle nostre scelte di visoni precedenti, i consigli che troviamo
dentro il giornale online che stiamo leggendo, insomma l’elenco potrebbe
essere infinito. Tutti questi sono esempi di utilizzo dei big data da parte
dei colossi del web. Il meccanismo è molto semplice: gli algoritmi regolano
il funzionamento di queste piattaforme ed estraggono informazioni dall’attività
dei singoli soggetti che usufruiscono della loro offerta. Tale aspetto presenta
risvolti particolarmente tragici in termini di dominio, controllo, propaganda
e omologazione. Siamo entrati ormai da diversi anni nell’era del controllo
sociale e della sorveglianza digitale, che utilizza i big data per costruire dei
perfetti clienti, elettori e cittadini omologati; siamo nell’era della psicopolitica,
come ci ricorda Byung-Chul Han nel suo interessante saggio Psicopolitica.
Il neoliberalismo e le nuove tecniche del potere (Nottetempo 2016).