Frank Zappa & Edgar Varèse - Nona parte

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  • เผยแพร่เมื่อ 15 ม.ค. 2025
  • Mix The Return Of The Son Of Monster Magnet (remastered, Freak Out 1966) + Ionisation di Edgar Varèse (New York Philharmonic)
    Foto di copertina (immagine di Frank Zappa) di Salvador Luna (Lunatico)
    • FRANK ZAPPA & EDGARD V...
    "Just give me some stuff and I'll organize it for you. That's what I do". Più della citazione relativa al "present-day composer", è questo l'aforisma che forse meglio rivela in Zappa un prosecutore della lezione di Edgar Varèse.
    "In Europa - scriveva nel 1922 il compositore francese emigrato negli Stati Uniti - non ho trovato nulla che si possa definire come una tendenza assolutamente nuova in campo compositivo, se si escludono le sperimentazioni che partono dallo stile sincopato del jazz americano. Sono convinto che in questo dopoguerra stia costituendosi una cultura nuova e che in America essa si manifesterà nella forma di un rinascimento musicale".
    Zappa è varèsiano innanzitutto per una concezione musicale che apre un credito generalizzato a qualsiasi oggetto o linguaggio capace di entrare in un contesto sonoro organizzato: "Qualsiasi cosa suonava bene per me, per qualsiasi ragione, fosse qualche dissonanza fragorosa oppure una bella canzone con cambi di accordi e un ritmo regolare in sottofondo". "Datemi qualunque cosa e ve la organizzerò" è la dichiarazione di chi ha assimilato la nozione di "suono organizzato" così cara a Varèse.
    Tuttavia, più che nelle pagine per orchestra dove l'omaggio a Varèse è più palese e prevedibile, è forse più interessante stabilire se e in che misura tracce di una prassi o di una mentalità prossime all'avanguardia e alla sperimentazione colta siano operanti sul terreno specifico della musica concepita da Zappa per rock band. Se, indipendentemente da Varèse, siano presenti cioè un tipo di scrittura musicale, un'elaborazione formale e dei materiali o, più in generale, procedure operative di derivazione colta che consentano di definire i termini del pensiero compositivo di Zappa.
    Fin dall'inizio, a suggerire con forza l'idea che questo interrogativo sia poco più di una domanda retorica basterebbero due brani come Help I'm a Rock e, soprattutto, The Return of the Son of Monster Magnet, ossia i due titoli conclusivi di Freak Out!. Il rumorismo diffuso, lo scatenamento orgiastico fra allucinazione freudiana e animalesco-metropolitano, i continui cambi di tempo e soprattutto la complessità poliritmica della trama (ottenuta sovrapponendo alla percussione ossessiva un folto reticolo anch'esso ritmicamente connotato e formato da materiali elettronici, voci denaturate e altro ancora) rivelano un radicalismo linguistico e una complessità strutturale che si lasciano indietro di molto tutto ciò che fino ad allora era apparso nell'orizzonte della musica rock. Nel giro di neppure tre anni, attraverso brani come Brown Shoes Don't Make It, Mother People, Oh No, The Chrome Plated Megaphone of Destiny fino alla summa rappresentata dall'album Uncle Meat, Zappa opera una sostanziale e irreversibile compenetrazione fra l'idioma rock e il lessico della sperimentazione di area colta, spingendola fino al punto di rendere impossibile il tracciare una linea di demarcazione fra il rock e l'altro. Un rock - se tale ancora si può definire - che dal punto di vista armonico, formale, coloristico e, soprattutto, ritmico, ingloba influssi musicali di tutt'altra provenienza. Varèse, certo, per la prominenza della componente ritmica, Stravinskij con i suoi costrutti poliritmici e politonali. Ma presenze altrettanto forti sono il disinibito collagismo di Ives, Schaeffer e la musica concreta ed elettronica, George Antheil con il suo macchinismo percussivo e l'apoteosi della marimba. Infine Nancarrow, solitario e appartato compagno di un viaggio ideale alla ricerca di un universo ritmico che sfocia nell'utopia.
    (estratto dall’articolo “Frank Zappa: rock come prassi compositiva” di Giordano Montecchi)
    La musica di Varèse enfatizza il timbro e il ritmo: ha coniato il termine di "suono organizzato" riguardo alla sua estetica musicale. Varèse considerava il suono ‘materia vivente’ e lo spazio musicale ‘aperto piuttosto che limitato’. Concepì gli elementi della sua musica in termini di "masse sonore", paragonando la loro organizzazione al fenomeno naturale della cristallizzazione. Varèse pensava che "per le orecchie ostinatamente condizionate, tutto ciò che è nuovo nella musica è sempre stato chiamato rumore" e pone la domanda: "che cos'è la musica se non rumori organizzati?".
    L’uso da parte di Varèse di nuovi strumenti e risorse elettroniche lo portarono ad essere conosciuto come il "padre della musica elettronica". Henry Miller lo definì "Il colosso stratosferico del suono".

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