- 290
- 19 604
Mangasofia, Fausto Lammoglia
Italy
เข้าร่วมเมื่อ 4 พ.ย. 2011
Possono i Manga aiutare a pensare? Io dico di sì! Scopriamo insieme la filosofia dei manga!
Mi trovi anche su IG! Seguimi su fausto_lammoglia
#filosofia #manga #fumetti
Mi trovi anche su IG! Seguimi su fausto_lammoglia
#filosofia #manga #fumetti
Orange road: CRISI DI COPPIA (?)
Facendo seguito ad una domanda, oggi trattiamo il problema delle cotte durante una relazione. Cosa accade quando c’è una crisi? È necessariamente un momento negativo? Lo scopriamo insieme al cartone dell’infanzia “É quasi magia Johnny”, o meglio, con il manga Orange Road.
Buona visione!
Buona visione!
มุมมอง: 51
วีดีโอ
Lessico filosofico: il Verbo
มุมมอง 23วันที่ผ่านมา
La filosofia cristiana è imperniata sulla concezione di Verbo, presente nel Vangelo di Giovanni. Scopriamola insieme attraverso l’esegesi del primo capitolo di questo Vangelo.
Lucifer: IL PROBLEMA DEL MALE
มุมมอง 30วันที่ผ่านมา
Uno dei temi principali di Lucifer è, ovviamente, il problema del male. Lucifer è stato il capro espiatorio del male compiuto dagli umani, utilizzato come forma di deresponsabilizzazione. Andiamo a vedere cosa questo comporta. Buona visione!
One Piece: il nome di questa famiglia è Barbabianca
มุมมอง 5614 วันที่ผ่านมา
Barbabianca è il mio personaggio preferito di One Piece. Credo che ciò dipenda dal suo essere padre. Oggi vi parlo di tre modelli familiari presenti in One Piece, e del perché vorrei essere un padre come Barbabianca. Buona visione!
Vinland Saga: proiettarsi sugli altri
มุมมอง 4821 วันที่ผ่านมา
Spesso ci ritroviamo a pensare a come pensano, o si comportano, gli altri (in particolare nei nostri confronti). L’errore, in questo atteggiamento, è dietro la porta: rischiamo infatti di pensare che gli altri si comportino esattamente come noi. Vediamo cosa ciò implica insieme a Re Canuto. Buona visione!
Leggere il presente: dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social
มุมมอง 71หลายเดือนก่อน
Ritorna leggere il presente, quest’anno a tema Social Media. Iniziamo con il dirompente testo di Jerome Lanier che svela i meccanismi che muovono le macchine (da soldi) dei social media. Buona visione!
Lucifer: Dio e il creato
มุมมอง 69หลายเดือนก่อน
Lucifer offre sempre molti stimoli di filosofia religiosa, e in questa puntata andiamo a vedere la relazione che propone tra Dio, l’essere e la bellezza. Buona visione!
Sandland: INFORMAZIONE E MANIPOLAZIONE
มุมมอง 74หลายเดือนก่อน
L’informazione non è mai oggettiva. È sempre frutto di narrazioni che, più o meno in buona fede, vuole comunicare un fatto all’interno di una cornice interpretativa del mondo. A volte, deliberatamente, si usa la per manipolare le persone in modo da costruire in loro delle credenze. Vediamo come partendo da Sandland si Akira Toriyama. Buona visione!
L’attacco dei giganti: dialogare bene
มุมมอง 69หลายเดือนก่อน
Il dialogo è la dimensione fondativa del vivere comune. Non sempre dialogare bene è facile, a volte e conflittuale, ma può essere fatto se si tiene conto di alcune buone pratiche e soprattutto del fine comune. Vediamo come lo fanno i membri del corpo di ricerca. Buona visione!
The department of Truth: conoscenza in potenza e in atto
มุมมอง 792 หลายเดือนก่อน
The department of Truth: conoscenza in potenza e in atto
Le rose di Versailles: sanità e privilegio
มุมมอง 632 หลายเดือนก่อน
Le rose di Versailles: sanità e privilegio
Lessico filosofico: teologia negativa.
มุมมอง 622 หลายเดือนก่อน
Lessico filosofico: teologia negativa.
Alice in borderland retry: competizione o collaborazione?
มุมมอง 513 หลายเดือนก่อน
Alice in borderland retry: competizione o collaborazione?
Bastava chiedere!: il femminismo è una necessità
มุมมอง 2393 หลายเดือนก่อน
Bastava chiedere!: il femminismo è una necessità
Lessico filosofico: circolo vizioso; regresso all’infinito
มุมมอง 453 หลายเดือนก่อน
Lessico filosofico: circolo vizioso; regresso all’infinito
Il prezzo di una vita: arte e universalità
มุมมอง 643 หลายเดือนก่อน
Il prezzo di una vita: arte e universalità
Lessico filosofico: TROPI o MODI (Scetticismo)
มุมมอง 613 หลายเดือนก่อน
Lessico filosofico: TROPI o MODI (Scetticismo)
Il prezzo di una vita: identità coerenti?
มุมมอง 583 หลายเดือนก่อน
Il prezzo di una vita: identità coerenti?
Lessico filosofico: criteri di persuasività
มุมมอง 454 หลายเดือนก่อน
Lessico filosofico: criteri di persuasività
Stavolta ricorro ad una canzone per lasciare una piccola riflessione: “The Night We Met” dei Lord Huron. Già il titolo dice tanto. Forse c’è in noi la malinconia del pensare al tempo passato, a quando tutto è iniziato, a voler tornare a rivivere quelle sensazioni. Utopistico, ma… umano. Tanto per evocare una sensazione simile, sono sicuro che, quando un quarantenne passa qui e coglie il riferimento al cartone “E’ quasi magia Johnny”, proverà una sensazione simile, di nostalgia e “bei tempi andati”. Ho spesso sostenuto che “il quotidiano uccide tutto”, ma è un’affermazione che lascia il tempo che trova, e non porta nessun giovamento alla discussione. E, tornando a riflessioni precedenti, è deresponsabilizzante. Perché nel quotidiano c’è del nostro, e quindi la volontà per renderlo più “piacevole” è in nostro possesso. Cambiamo noi, anche il rapporto che viviamo probabilmente ci cambia, forse spesso non ci accorgiamo che non è solo la “botta di adrenalina” che regala piacere, ma anche quella serenità, senso di accoglienza e sicurezza che forse solo un rapporto di lunga durata può regalare. Ammesso che sia quello che cerchiamo. E che vogliamo. E che una volta ottenuto, si lavori per mantenerlo senza adagiarsi sugli allori (ma, secondo me, neanche chiedendo “troppo” alla coppia). A volte in queste situazioni da te affrontate nel video si parla di “triangolo”, insinuando all’interno della coppia “l‘altro”. Eppure, riflettendoci un po' su, mi sembra che il triangolo sia "dentro" alla definizione di coppia: io, il partner e il “noi coppia”. Poi ci sono ovviamente “gli altri”, ma ci metto anche le “passioni”, che sovente sono fonte di discordia se non condivise. Credo che per la durata (e il "successo") di un rapporto il bilanciamento di tutte queste componenti sia fondamentale, ma sarebbe follia provare a cercare le “percentuali” perfette per la tenuta di una coppia. E penso che nel divenire di ogni rapporto, le proporzioni tra queste entità cambino, e non siano mai le stesse! Sicuramente in una fase iniziale il NOI se non è tutto, è sicuramente la parte più preponderante; poi c’è il “dopo”, e qui ci si può mettere dentro tutto: i sogni, i progetti, le aspettative, i compromessi, le delusioni, la routine, il contesto sociale che si abita… Condivido la tua idea costruttiva di “crisi”: di primo acchito sembra una parola che non fa presagire niente di buono, ma se vista come un’occasione per fare il punto sulla situazione, sul percorso che stiamo compiendo, può quasi diventare un’opportunità, per proseguire se le cose vanno bene, per raddrizzare quello che sembra storto… o per cambiare strada. Nelle coppie si commettono tanti errori di “presunzione”, anche nelle relazioni più lunghe, forse proprio di più in queste: pensare che i propri silenzi possano parlare, credere di leggere nel pensiero del partner come se lo conoscessimo totalmente a fondo, tirare per la propria strada, e tanti altri… ma voltarsi indietro serve a poco, perché solo nel presente possiamo agire. Con il dialogo, ricercando la consapevolezza di sé e del rapporto con l’altro e con responsabilità, concetti che tornano spesso nei tuoi video e ben si applicano alle più svariate tematiche 👏 (conclusione che sembra una predica … sarà il clima natalizio 🎅 a proposito: tanti, tantissimi, tantissimissimi auguri!!!🎄🎄🎄)
@@linkinmark83 Grazie di tutto, dalla bella integrazione agli auguri. In particolare, ho apprezzato l’idea del noi come “terzo polo”: dalla mia prospettiva (inevitabilmente cattolica) quel noi è trasfigurante. Diventa il Noi che guida la realizzazione difficile dell’io compenetrato, trasformando le priorità e cambiando senso dell’essere.
Bellissimo video e soprattutto conclusione ineccepibile! Tutto il discorso del male infatti ruota attorno all'incapacità di evitare di compierlo, di conseguenza si è anche incapaci di ammettere a se stessi e agli altri le conseguenze del proprio operato, Grazie
@@alecciagiovanni2356 Grazie a te! 🫶🏻
Questo è un pensiero che condivido a pieno e che spesso credo potrebbe dare una mano a molte persone: sia per evitare ad alcune persone di rimanere impantanati in relazioni "non sufficienti", sia per chi non è capace a gestire gli innamorati e perciò non riesce ad innamorarsi. Di conseguenza mi viene in mente un altro spunto: come nasce una relazione? Come si seleziona e come si capisce quando una relazione è giusta per me? Grazie ancora per il contenuto Fausto🫶🏻
@@lucaenzi7957 io credo che non si capisca di essere innamorati, ma lo si senta. Poi, successivamente, si può capire di amare.
Ma davvero? Me la spieghi meglio?
@@valentinomandalari4919 in che senso?
Buonasera Prof.! Stavolta mi sento di attingere a piene mani dall’Oriente per aggiungere qualche spunto alla tua riflessione. Quante volte, di fronte a un evento additabile come “punizione” che colpisce una persona che sembra essersi comportata “male”, sentiamo dire “il karma lo ha punito”? Niente di più sbagliato, non funziona così. Forse siamo abituati per imprinting religioso/culturale a pensare che “lassù” ci sia qualcuno che premia o castiga, e quindi abbiamo applicato tale “modello” anche a questo termine che arriva dall’Induismo. Ma il concetto è ben più profondo, e merita di essere un attimo approfondito. In realtà il Karma è il bagaglio della nostra vita, un contenitore di azioni, comportamenti, ecc. ecc. che ci contraddistingue. Quindi ciò che “ci capita”, non è tanto frutto di un intervento esterno, ma diretta conseguenza del nostro agire. Il Karma è il percorso che percorriamo per puntare al Dharma, ovvero il nostro “punto di arrivo”, il nostro obiettivo, tendenzialmente un qualcosa di assimilabile all’equilibrio, alla pace, allo stare bene, al vivere in armonia con il mondo (l’Oikeiosis stoico?). Consiglio a chiunque di scoprire la “Bhagavad Gita”, un capitolo del "Mahabharata", una sorta di ”libro sacro” della cultura induista. Ti riporto delle parole trovate nella descrizione del volume sul sito della Adelphi, anche perché io non potrei esprimerlo altrettanto bene: “Le domande che il giovane guerriero Arjuna, angosciato dall’orrore della battaglia che deve affrontare, pone al conducente del suo carro, il quale si rivelerà poi essere il dio Krsna, sono le stesse che ciascuno di noi necessariamente si pone in qualche momento della sua vita: chi agisce quando si agisce? e che cos’è l’atto? perché esiste la violenza? come riconoscere il divino? qual è l’origine degli esseri? è possibile liberarsi dai condizionamenti? E sono le domande che il genio metafisico dell’India aveva già fissato nei suoi primi libri sacri, ai quali non si dà per il lettore occidentale di oggi accesso migliore della Bhagavadgita”. Vogliamo scomodare il Buddha? Nel Nobile Ottuplice Sentiero, che in fondo non è altro che una bussola che dovrebbe regolare la vita che percorriamo, si invita la persona a formulare retti pensieri, pronunciare rette parole, essere mossi da rette intenzioni, mantenersi con retti mezzi di vita (onestamente e con misura), tenere un retto comportamento, compiere il retto sforzo (canalizzare bene le nostre energie), mantenere una retta attenzione (essere sempre presenti a sé stessi) e concentrazione (sfruttare bene le proprie qualità e caratteristiche). Molto “responsabilizzante” no? Insomma, per quanto il caso possa essere un fattore imponderabile, su molti ambiti della nostra vita siamo padroni di noi stessi, delle nostre azioni e quindi delle conseguenze (l’autarchia?). Invito a questo punto alla lettura dei Versi Gemelli del Dhammapada. “Siamo ciò che pensiamo. Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente. Ogni parola o azione che nasce da un pensiero torbido è seguita dalla sofferenza, come la ruota del carro segue lo zoccolo del bue”. Mettendo da parte (a fatica) il rammarico per essere arrivato un po' “tardi” a questi contenuti, scoprire quasi contemporaneamente il pensiero greco e quello orientale è una fonte di gioia che difficilmente riesco ad esprimere a parole, è una carezza all’anima che avvolge e scalda come un raggio di sole in una grigia giornata di novembre, e che continua a stimolarmi a proseguire in questo percorso vagabondo iniziato oramai un annetto fa. A breve leggerò il Tao Te Ching di Lao Tzu, e già solo nei primi versi ho trovato l’armonia degli opposti di Eraclito, il distacco sereno ed equilibrato del saggio, l’epochè scettica, il vivere in armonia con lo scorrere degli eventi della natura. E’ un’opinione personale ma ora, da adulto, avrei preferito essere cresciuto con questi concetti. Nel lavoro di demolizione di certezze e ricostruzione che ogni tanto mi piace avviare su di me, questo è un ambito fondamentale su cui agire. Niente è più responsabilizzante di questo modo di intendere la vita, ma, ovviamente, questa è un’idea personale. Guardo spesso a Oriente, ma sicuramente anche le civiltà cresciute con questi precetti avranno le loro problematiche. Eppure è tutto così… rilassante, dà pace, è come un confortante suggerimento, è come il supporto di un saggio amico che ti indica la via, e magari ti accompagna per un tratto, fino a quando non sei capace di procedere da solo… e non per la necessità di un premio alla fine, e neanche per scongiurare una punizione, ma per far sì che le tue azioni siano corrette e in equilibrio con il mondo e l’ “agire bene” diventi quasi spontaneo, naturale.
@@linkinmark83 questa riflessione è estremamente importante per alcuni aspetti che vorrei sottolineare: 1) interpretiamo sempre in chiave Occidentale, quindi spesso non capiamo cosa vogliano dire davvero i pensatori orientali (e non ho la presunzione di farlo io, però mi sforzo di spegnere la tradizione quando leggo quegli autori); 2) la contrapposizione bene/male, è qualcosa di tipicamente nostro, derivante da Socrate e dall’ebraismo, mentre c’è un’idea molto più ampia di globalità integrale in oriente, che passa per una ricca simbologia e mitologia; 3) Eraclito, come ben dici, è più vicino (a partire dalla geografia) a questa corrente di pensiero. Dunque, l’armonia degli opposti è un’ottima chiave di letture per avvicinarsi al pensiero orientale.
@@mangasofiaLammoglia E’ tutto frutto del corso di filosofia attiva svolto mesi fa, che prevedeva lezioni che puntavano più sul lato “utile e pratico” delle filosofie antiche, occidentali e orientali, piuttosto che sulla nuda e cruda “teoria”. E’ anche vero che fin da ragazzino, appassionato com’ero di anime principalmente a tema combattimento, notavo un notevole approfondimento psicologico nelle figure degli antagonisti. La sconfitta del “rivale”, che dovrebbe essere vista dallo spettatore come un sollievo, lasciava in me un senso di rammarico, perché sovente si trattava di figure sfaccettate e complesse alle quali la definizione di “cattivo” mal si addiceva, semplificava troppo le cose. Mi chiedevo se poteva esserci un’altra via da percorrere, ragionavo sull’origine del male che portava queste persone a provocare infinite sofferenze e tragedie (uno su tutti, Souther di Hokuto no Ken), sul rapporto di causa-effetto innescato dagli eventi che avevano posto il nostro antagonista sulla “cattiva strada”. In India la vita e l’agire dell’uomo sono visti anche come l’oscillare di un pendolo, il punto di equilibrio è “in alto” e si chiama Sattva, dove regna l’armonia, mentre più “in basso” ci si alterna tra Rajas (attività, desiderio) e Tamas (pigrizia, oscurità). Opposti, tanto per cambiare. E mi vengono anche in mente l’auriga di Platone, ma anche Schopenhauer e Kierkegaard, e chissà quante altre similitudini che ignoro. E poi, scoprendo di recente i Versi Aurei Pitagorici, trovo queste frasi: “Sappi che morire è fissato dal destino per tutti… Agli uomini molte parole buone e cattive cadono di bocca, dalle quali non lasciarti colpire né traviare. Ma se qual cosa di falso si dica, sopporta serenamente” “…delle cattive azioni che hai commesso rimproverati, delle buone rallegrati” mentre nei Versi Gemelli del Buddismo troviamo: “In questo mondo tutti siamo destinati a morire. Ricordandotene, come puoi serbare rancore?” “Chi fa del male soffre in questo mondo e nell'altro. Chi fa del bene gioisce in questo mondo e nell'altro” Se la casa editrice che stampa queste opere, invertisse per scherzo/errore gli autori… ce ne accorgeremmo? Da neofita di questo mondo, mi stupisce sempre constatare come a differenza di anni e chilometri di distanza spesso il soggetto della ricerca sia il medesimo, e più menti brillanti abbiamo cercato una “cura” ai mali dell’uomo come l’insoddisfazione generata dal possesso e dall’egoismo… affascinante, quasi magico 🤩
Buonasera Prof.! Non avendo esperienza in materia, prendo a prestito dal buon Montaigne qualche riflessione, dal momento che nei suoi Saggi ha toccato l’argomento scrivendo anche un capitolo “Dell’affetto dei padri per i figli”. C’è da dire che il testo, a dispetto di quanto potrebbe fare immaginare il titolo, prende una piega “strana”, nel senso che in non pochi punti “mischia” affetti e affari (nelle note si parla di qualche probabile risentimento dell’autore per questioni di eredità; ah, i soldi, rovinano sempre tutto). Tralascerei tuttavia questi “aneddoti”, che rischiano di sminuire l’ammirazione che il perigordino nutriva per il padre, che sovente risalta nella sua opera. Ad esempio la sua figura viene spesso citata nell’educazione, che è stata all’insegna dell’ “apertura” alla conoscenza, attiva e non passiva, vivace e stimolante, piuttosto che autoritaria e rigida, come immagino fosse abitudine ai tempi per i figli di famiglie facoltose. Traspare spesso un senso di vera gratitudine nei confronti del genitore, per non averlo mai forzato nel suo percorso di crescita ed averlo lasciato libero di coltivare i suoi talenti (che lui spesso sminuisce, in una modestia che a volte sembra quasi esagerata, e chissà in fin dei conti quanto sia autentica). Ci sono poi alcune frasi che mi fa piacere riportare: “Bisogna rendersi rispettabile per la propria virtù e la propria saggezza, e amabile per la propria bontà e delicatezza dei propri costumi.” “Condanno ogni violenza nell’educare un animo tenero, che si vuole avviare all’onore e alla libertà. C’è un non so che di servile nel rigore e nella costrizione; e ritengo che quello che non si può fare con la ragione, e con la saggezza e l’accortezza, non si farà mai con la forza. Mi hanno educato così.” Tornando al presente, condivido la ricerca nelle nostre letture di un insegnamento, di un esempio da seguire, e che si riesca addirittura a trovare tra le pagine di un manga un possibile modello educativo/genitoriale mi ricorda la complessità di argomenti che possiamo trovare in queste opere, ma anche il “lavoro” di scavo in profondità che spetta al lettore, per goderne appieno andando al di là del concetto di "passatempo". Mi piace questo tuo approccio, e ovviamente ti faccio i migliori auguri per la piena realizzazione del tuo proposito 😉
Buonasera Prof, c’è da dire che seguendo gli spunti di questo video si potrebbe discuterne per ore e ore (lo farai tra l’altro già bene nel tuo prox libro), e ogni volta che si parla di “io, identità, rapporto con gli altri, immagine di sé” ecc. ecc. mi viene in mente la giostra che dalle mie parti chiamano “il baraccone degli specchi”. Roba da mal di testa. Il percorso di Canuto è probabilmente già deciso fin dall’inizio, o forse gli si può concedere un bivio. Più probabile che, vista l’indole docile, soccomba; l’alternativa, partendo da outsider, potrebbe essere il regno. Con chi interagisce? Un padre che non lo apprezza e non crede in lui; uno “sponsor” (chiamiamolo così), Askeladd, che per tutta una serie di congetture decide di scommettere sul giovane. L’unica figura rassicurante (ma troppo protettiva, quasi soffocante), Ragnar, viene tolta di mezzo in un momento delicato. Mi viene in mente quando verso la fine di EVA (!!!!! OCCHIO SPOILERRR !!!!!) ---> [[[tutta la “banda” che ha messo in piedi il “progetto del perfezionamento” sta per stappare la bottiglia di fronte al crollo emotivo totale di Shinji.]]] Qui la situazione non è tanto diversa. Quella di Canuto mi sembra più una reazione che una scelta (diciamo che il suo cambiamento non mi ha convinto del tutto, un po' frettoloso, è forse l’unica piccola pecca della prima parte). Alla fine, per quanto diventi un Sovrano temuto e rispettato (metto temuto per primo), è tutto fuorché una figura libera. E una volta che ha “svoltato”, il suo percorso è sempre segnato. Sa quello che ha visto, conosce alla perfezione il contesto che abita, composto per la maggior parte di persone “poco diplomatiche”, piuttosto avvezze a menare asce, che conoscono soltanto la legge della forza; pertanto, non può fare altro che aguzzare l’ingegno, la scaltrezza, e… non fidarsi di nessuno. Mi si perdoni la citazione per niente filosofica, ma qui ci calza a pennello il titolo di una canzone dei redivivi Linkin Park: “Heavy is the crown” (ma ne parla anche Montaigne nel capitolo dei Saggi “Dell’ineguaglianza che esiste fra noi”). Mollando il manga e i tormenti di un giovane re per tornare a noi, penso che le responsabilità, il contesto sociale dove si cresce e che successivamente si frequenta, le nostre inclinazioni (mi piace questo termine, oramai lo preferisco a “carattere”, che forse è troppo categorico) mutino in continuazione e anche l’atteggiamento che abbiamo nei confronti degli altri, come li vediamo, e come pensiamo che loro vedano noi. Con un po' di maturità e riflessività (ma quando si raggiungono?) si può lavorare sull’esaminare il contesto, cosa a noi è richiesto, se il nostro modo di comportarci è libero o condizionato, e come ci vedono gli altri, ma facendo attenzione al fatto che forse la risposta che ci diamo è più “la nostra”, che effettivamente quella degli altri (non essendo nella testa di chi abbiamo di fronte). Fermarsi, guardarsi dentro e attorno a 360°, ragionarci su, ma soprattutto ripartire con una nuova “visione”. Su di noi, e sul riconoscere la "diversità" degli altri. Ora, la faccio facile a questa età, tornando indietro non ero così “lucido”, ci sta. Concludo con una riflessione sul concetto di “libertà di essere sé stessi”, e allacciandomi anche al video sul “dialogare bene”. Può capitare di sentirsi veramente liberi per pochi attimi in una conversazione qualsiasi, nata per caso, con un “estraneo”? A me recentemente è capitata questa situazione. Penso che le persone interessanti esistano, eppure le combinazioni che portano all’innesco di un dialogo coinvolgente e stimolante hanno percentuali già di per sé non molto alte, ma ancora più difficile è poter far sì che da quel dialogo nasca qualcosa, e se rimangono solo parole occasionali, scambiate per una manciata di minuti, regalano subito un inaspettato piacere e stupore, che tuttavia lasciano il posto all’amarezza, se si pensa alla macchina del quotidiano che è lì dietro l’angolo, che incombe. Ah, per la cronaca, si è svolto tutto in una bancarella di libri di… filosofia 🤭
@@linkinmark83 forse, riconoscere il mutamento in noi stessi è una buona base per comprendere come la nostra percezione degli altri non sia oggettiva ma distorta dalla visione che abbiamo del mondo. Ma sopratutto: dov’è la citazione odierna di Carmelo Bene???
@@mangasofiaLammoglia Ti accontento: "Se si vuol davvero cambiare qualcosa, bisogna cominciare a cambiare se stessi, andare contro se stessi sino in fondo. Il massimo impegno civile è l'autocontestazione". 😉
Quest'audio disturba completamente il video e non diventa fruibile
@@cirorusso62 Grazie. Ho ricevuto molte segnalazioni in merito, per cui i video nuovi non hanno più sottofondo. Mi spiace
Buongiorno Prof! Quanto materiale in questo video!!! Mi risulta un concentrato di tante tematiche, una lezione praticamente. Credo che sia compito di chi legge cercare i vari riferimenti “teorici”: ad esempio, sulle tematiche del “miglior mondo possibile” e “libero arbitrio”, così, di primo acchito, penso subito alla filosofia medievale… ma cercare riscontro nella pura e semplice “teoria” è riduttivo, e non credo sia il tuo scopo. Anche il tema “Tempo” è un mistero affascinante. A volte mi domando: diciamo che è “tanto” o “poco”, ma paragoniamoci all’esile vita di alcune specie animali, o alla granitica longevità di alcune piante, e proviamo a vedere ciò da una prospettiva più “alta”, e lontana. Beh, rimane sempre un “puntino” in una riga infinita… e quando una persona non c’è più, il suo “tempo” rimane racchiuso nei racconti di chi resta, e si comprime in pochi minuti… ma anche questo rischia di diventare un solipsismo sterile; anzi, letto male, rischia di passare il messaggio che “prima o poi tutto svanisce pertanto è tutto inutile”… Preferisco allora concentrarmi sulle tematiche alla base del video e qui, in sintonia con altri contenuti precedenti, vedo che ricorrono le tematiche “bellezza”, “condivisione, partecipazione” e “responsabilità”. Mi sembra che costituiscano le “parole chiave” del tuo canale, e credo siano anche i motivi per i quali vale la pena sostenere questo spazio. Parlando da persona che “passa di qua per caso”, dico che questi temi, “là fuori”, non sono granché coltivati. Sembrerà la solita critica banale sulla superficialità della società ecc. ecc. però, mi permetto di pensarlo, potrebbe essere davvero così. Anche perché bisogna andare a fondo delle parole, e per “bellezza” non penso tu intenda solo l’Arte, o la maestosità della Natura. Va applicato alla Vita in generale, al rispetto dell’Altro, credo consista in questo la tua riflessione. Il “Bello” ha tanti aspetti, anche in un gesto, in una parola (adesso penso al concetto greco di “buono e bello”). Se è solo nostro, fine a sé stesso, è come “depotenziato”. E forse è “riduttivo” applicarlo esclusivamente al discorso tra simili (esseri umani): anche la cura di una pianta, il coltivare, è un condividere un qualcosa con l’ambiente che ci circonda. Infine, è nostra responsabilità riconoscere tutto ciò. Abbiamo l’intelletto, dobbiamo usarlo con coscienza, il “lasciarci andare” è un peccato imperdonabile… Ho più o meno colto il ragionamento, o un aspetto di esso? Sai qual è il problema principale? Quando parlo della “superficialità”, non dico che non ci sono i mezzi per recepire le cose. È che forse siamo storditi, o “poco allenati”. Ho visto di recente “Perfect Days” di Wim Wenders. Racconta due settimane di vita di un cinquantenne giapponese che lavora come sanificatore di bagni pubblici di Tokyo (bellissimi, a proposito). E qui faccio forse piccoli spoiler, ma tranquilli, non c’è un assassino di mezzo… [[[[[ Due ore di quotidianità, che potrebbero stendere qualsiasi spettatore. Eppure, se aguzzi l’attenzione, cogli in quella persona dei piccoli momenti che danno un tocco di colore alle sue giornate. Ma se vogliamo anche leggere un altro significato, è un invito a pensare a tutti gli “invisibili” che ci circondano. E c’è sempre nello sfondo la Tokyo Skytree, che a mio avviso rappresenta l’ “altro” stile di vita, l’ambizione, la carriera, insomma il puntare sempre più in alto, una filosofia di vita “verticale”… che però è là, sullo sfondo, mentre più “orizzontale” della vita del nostro protagonista non c’è nulla. Un film non per tutti, lo riconosco.]]]]] Pertanto, questo video alza l’asticella e chiede un po' di impegno, in primis per leggere la teoria che lo permea, ma anche per cogliere gli insegnamenti che può lasciare, utili nell’agire quotidiano ✌
@@linkinmark83 sicuramente ci sono tantissime influenze agostiniane in questo video. Apprezzo una cosa, in particolare, del tuo commento: il riconoscimento della necessità di un lavoro personale. Ieri guardavo un video di un divulgatore che criticava la velocità della divulgazione, sostenendo che uno dei nostri compiti dovrebbe essere proprio quello di preservare la complessità. Spero di farlo, e commenti come questo mi rimandando che, forse, sono sulla strada giusta. Grazie! ❤️
@@mangasofiaLammoglia Anni fa, stupidamente, non lo immaginavo neanche lontanamente; ma ora trovo che questa Materia sia “alla portata di tutti”. Non voglio dire che sia facile, e non la riduco a un giocattolo, bensì intendo che se ci si avvicina con la giusta curiosità e motivazione, si possono ottenere nuove visioni sulla realtà, nuove chiavi di lettura, un pizzico in più di elasticità. E’ un lavoro che va sì attivato da solo, ma lungo il tragitto si possono trovare tanti piacevoli compagni di cammino 😉
@ beh, la curiosità credo sia innata, e la filosofia non è altro che il proseguimento, più impegnato e tenace, di quella meraviglia sul mondo che caratterizza l’umano.
“la stampa informa i fatti, non sui fatti” ....... “si aggiorni, si informi, si disinformi soprattutto!” ....... e niente, se non cito Bene non sono contento. In fondo, questo argomento prosegue il percorso intrapreso con i video “Conoscenza in potenza e in atto” e “Dialogare bene”. È un altro di quei temi che definisco “divisivo”, a maggior ragione vale la pena discuterne con (ci si prova) equilibrio. Trovo intanto difficile mettere giù bene idee concrete e lineari (sai che novità), anche perché penso che in questa riflessione entrino in gioco il contesto che si frequenta, il tempo che si ha a disposizione per leggere/informarsi/studiare (e le fonti), ma anche il proprio carattere e le esperienze personali, che possono ribaltare i cambi di prospettiva. Non voglio entrare più di tanto nel personale, cercherò di spiegarmi meglio che posso. Non possiamo negare che negli ultimi anni, nell’ “epoca delle emergenze” come la chiamo io, gli eventi “che viviamo” (o, permettimi di ribaltare provocatoriamente la visuale, “che ci fanno vivere”) sono narrati non sempre in modo misurato ed equilibrato. Soprattutto, una parte di realtà pare volutamente celata, ed è ostracizzato chi prova a portare ciò in evidenza. Insomma, nel corso di una "narrazione" recente un fatto personale mi ha portato a distogliere l’attenzione su ciò che stava accadendo, per dovermi concentrare su priorità esclusivamente mie. Nel momento in cui ho risolto la problematica, che mi ha fornito nuovi spunti riflessivi (e maggiormente critici) sul vivere (non credo sarei qua senza quel periodo), non mi sono più “ritrovato” nella narrazione, che nel frattempo continuava a proseguire, o perlomeno, l’ho vissuta “depotenziata”. Ho pertanto cercato un maggiore confronto attorno a me, perché iniziavo a notare spiragli di incertezza, ma i miei dubbi hanno vagato nel vuoto, poiché l’andazzo generale era quello di “farsi andare bene” quello che passava il convento, per uscirne il prima possibile (in attesa della prossima emergenza, che puntualmente è arrivata, e nelle piazze tanto bistrattate, mi era stata “anticipata” da tempo). Mesi dopo, colse la mia attenzione un libro dove in copertina spiccava Goebbels sorridente (più un ghigno che un sorriso, diciamolo) che tiene tra le mani un mazzo di rose. Il libro si intitola “Goebbels - 11 tattiche di manipolazione oscura”. Posso dire che quello che ho letto lì dentro non mi ha “stupito” più di tanto? Perché quelle meccaniche le avevo già intraviste nel presente (attenzione, il libro mi è piaciuto, non è una critica eh!). E vogliamo parlare del “Discorso” di Étienne? Mi sembra, correggimi se sbaglio, che soprattutto negli ultimi anni ci sia un “boom” di video dove se ne parla. E non penso sia un caso. Sicuramente gli “addetti ai lavori” lo conoscevano da tempo immemore, ma a tante altre persone è “arrivato” di recente, me compreso, e io lo ritengo come una “tappa obbligata” in un percorso che ha fatto della “critica” al contemporaneo una necessità. Un cammino però faticoso e incerto, una via non ben segnata con tanti vicoli ciechi. Insomma, molti come me, credo che siano ancora nella fase “demolizione delle certezze”. Hai parlato del modo in cui l’informazione distorta e manipolata può influenzare le persone. C’è ovviamente l’effetto opposto. La creazione di uno zoccolo duro che non crede più in niente. Io non biasimo queste persone, anzi ti dirò, le capisco. Mi viene in mente un metodo per sopravvivere, grezzo e pressapochista: l’informazione “negativa”. La verità è al di fuori di quello che possiamo leggere e sentire, o quantomeno, c’è la possibilità di una parte di realtà che non venga narrata in quanto “scomoda”, e poco funzionale agli interessi di chi la narrazione la conduce. Cercano di inculcare messaggi, usando frasi banali, slogan, demonizzando il dubbio: ecco, in quella situazione credo che un po' di persone inevitabilmente sentano puzza di bruciato. Ma tutto ciò non basta. Qualcuno dirà: “beh ma per verificare l’autenticità di una notizia, esistono i fact checkers, sfruttiamoli”. Sì, va bene… forse. Possiamo fidarci degli “sbufalatori” di professione? Chi controlla loro? Chi controlla chi controlla? Sono veramente figure indipendenti? (se penso a come hanno operato le agenzie di Rating prima della crisi dei mutui subprime…) Chiedi segnalazioni costruttive, faccio fatica a contribuire. Però ti porto il caso di due giornalisti che ho conosciuto e incontrato personalmente in questi anni, Tiziana Alterio e Giorgio Bianchi. Anni fa erano apprezzati e riconosciuti “dal grande pubblico”, diciamo. Recentemente hanno iniziato un loro percorso, sicuramente più "ostico". Li ho incontrati dal vivo, li ho guardati negli occhi, ho cercato sincerità e umanità. Non la Verità. Ma spunti di riflessione. Un altro modo di leggere gli eventi. Mi vengono in mente piccole realtà come “L’Antidiplomatico”, che da bastian contrario quale sono (aiuta in questa situazione? non so…), nel momento in cui l’autorevole stampa le prende di mira, sorge in me il dubbio che "qualcosa di vero" in quello che dicono ci sia. Perché un gigante dovrebbe essere infastidito da un topolino? “Perché diffondono disinformazione”, diranno. Come motivazione ci starebbe pure. Ma se è il gigante a non informare eticamente, come la mettiamo? Che credibilità ha? L’ “ipse dixit” non regge più. Quante volte sentiamo dire di una persona “quello lì mi ha fregato una volta, ma non ne capiterà una seconda”… oppure “chi ti ha mentito una volta, lo rifarà di sicuro”. Così siamo arrivati a questo punto. Ah, poi mi fisso su delle situazioni in particolare. Penso alla tragica figura di Andrea Rocchelli. O alla vicenda del sabotaggio del Nord Stream. Difficilmente ne avrei saputo qualcosa affidandomi ai “professionisti dell’informazione” (…) Forse non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo alle mie idee… ma sono il primo a dubitarne. E per il rispetto del Canale mi sembra giusto portare una riflessione più misurata possibile, che non attiri "piantagrane" (dovrebbero comunque essere disincentivati dalla lunghezza 😵). Pensata da un "cittadino medio", abbastanza curioso, un po' polemico, sicuramente diffidente, (dis)informato il giusto e anche un po' ignorante su tante cose. Che vede oramai stampa e tv come un “Grande Fratello” che cerca di darci una carezza sulla testa dicendoci “buoni, buoni, state tranquilli vi rassicuro io, seguitemi e andrà tutto bene”
@@linkinmark83 condivido molto di quello che dici, ma sopratutto la parte sull’effetto devastante che le narrazioni manipolatorie hanno sulla credibilità, e sul fatto conseguente che buona parte della popolazione (anche se non credo sia la maggioranza) sia reticente ad ogni tipo di informazione. E credo altresì che questo sia uno dei fattori dell’astinenza diffusa rispetto al voto.
@@mangasofiaLammoglia Dalla mia frequentazione di non pochi “delusi&amareggiati”, mi sentirei di confermare che è proprio così, in fondo l’informazione è anche voce della politica. (tralasciamo il discorso cellulare/social per una volta, parliamo della vecchia cara tv) Prendiamo un cittadino standard, carico di impegni, cose da fare in famiglia quando torna a casa, ecc ecc … alla fine, quello che ascolta in quei pochi minuti di “libertà”, magari mentre cuoce la pasta, per lui diventa l’ “attualità”; quindi, il come viene data quella notizia, su di lui ha un effetto totalizzante. (questa situazione che ho descritto ha un nome, non l’ho pensata io, però chiedo scusa ma non mi ricordo dove l’ho letto/sentito, mannaggia a me!) Come sono fornite le notizie sull’operatività del governo (e vale per tutti gli schieramenti, mi sento di dire)? Tendenzialmente nei TG le misure introdotte vengono annunciate tramite le voci del governo in carica, che parlano di “una grande svolta… più posti di lavoro… occasioni di crescita… saremo più competitivi… per il futuro dei nostri giovani”. Ecco subito dopo la voce delle opposizioni: “una misura che accentua le disuguaglianze… avvantaggia A B C ma penalizza le categorie X Y Z… può funzionare nell’immediato, ma nel lungo periodo non avrà alcuna efficacia… uno spreco di risorse” e così via. Se poi avanza qualche quarto d’ora di tempo, e ci si rifugia pigramente nei talk show serali, ecco che le due fazioni vengono contrapposte neanche fossero i gladiatori nell’arena, con contorno di risatine, urla, sberleffi, confusione, insomma, un becero teatrino. A questo punto mi viene da chiedere cos’ha capito la persona in questione di quello che ha ascoltato… e niente, probabilmente tanto deve tirare avanti, domani è un altro giorno e si vedrà. Trovo sempre attuale e pungente il giusto BLOB. Spesso, vedendo spezzoni di tv diciamo dagli anni ‘90 in avanti, mi rendo conto che poco è cambiato… forse più decenni prima, nella politica, sembravano esserci più “preparazione” e “autorevolezza”? O semplicemente era un mondo diverso, persone diverse, e diciamo così perché non l’abbiamo vissuto (insomma ci rifugiamo… nell’ "apocalittismo difensivo"😅😅😅)? Non so come spiegarlo bene a parole, è più una sensazione, a volte sento che l’allarme lanciato oramai più di venti anni fa nella mia città (anche sei ai tempi non lo era ancora), passato in secondo piano dopo i noti incidenti, era ben fondato. Il mondo stava cambiando, tendenzialmente non in meglio. Ero troppo immaturo per capirlo. Ovviamente, ai tempi, nella mia testa acerba, le immagini della violenza sono state associate all’ “Idea” che scendeva in piazza: ecco servita l’informazione manipolatoria di cui parli. Concludendo, credo che una grossa fetta di popolazione “faccia quello che può”… non la assolvo ma non mi sento di condannarla. E gli altri? Qui si apre un mondo delirante, perché rimangono le persone più aperte alla ricerca, curiose e mai sazie, ma forse ognuna va per la sua strada, e paradossalmente se nel primo “gruppone”, tendenzialmente, ci si divide in A contro B, il rischio è che qui ci si frammenti ancora di più… e ognuno, conscio della propria maggiore “voglia di capire”, rischia di cadere nella presunzione di saperne di più degli altri… temo che questa frammentazione convenga a chi tira i fili.
@ esatto. In particolare non bisogna colpevolizzare le “vittime” ma capire come ribaltare il sistema. Perché se il tavolo è truccato, nessuno vince. Solo il banco.
Buonasera prof! Mi chiedo: siamo ancora capaci di dialogare? O il meccanismo dei like ci ha rovinato? Quante occasioni vere abbiamo per farlo? Con chi, e quando? Se arrivo alla fine della settimana, e cerco una risposta a questa domanda, non trovo un risultato granché soddisfacente. C’è questo accogliente spazio virtuale da frequentare, rari momenti di confronto dal vivo, addirittura per “salvare il salvabile” ci metto anche la lettura (… con un po' di astrazione mi immagino di ricevere una lezione, e di “confrontarmi” con il pensatore - sintomo di pazzia🤯?); per il resto, sorvolando sui soliloqui, tanti, tantissimi… significanti e pochi significati. Non necessariamente è una colpa “degli altri”, sicuramente conta molto il tempo a disposizione da spendere nell’ambiente che una persona si è costruito attorno, la rete di relazioni che dovrebbe essere composta da conoscenti con i quali è possibile confrontarsi su disparati argomenti, anche punzecchiarsi vivacemente, purché ci sia quel legame di fondo che fa sempre rimanere vicini. Mi sorge intanto un grande dubbio. È possibile che il meccanismo dei “like” abbia un po' compromesso nelle persone la capacità di argomentare? Nel momento in cui ascolto degli utenti che esprimono un’opinione che condivido, il like mi permette sì di approvarla, senza però farla mia; insomma, faccio un minimo sforzo perché qualcun altro ha “pensato e parlato per me”. Posso mettere 100 like in pochi attimi, ma se dovessi “dire la mia”, magari mi mancherebbero le parole. Quindi mi domando: è possibile che questo pulsantino del pollice su/giù ci abbia un po' tolto la capacità di comunicare bene ed efficacemente? Noto un’altra cosa. Spesso, spessissimo, faccio fatica dal vivo a ricorrere a frasi sintetiche e “piatte”, mi sembra sempre opportuno partire dalle premesse, per proseguire nel discorso (sperando di non perdermi) e dimostrarti il perché sono arrivato a quella conclusione (se ci arrivo😅), soprattutto se si parla non del più e del meno, ma di qualche argomento che richiede un dibattito più articolato… ma questo può ovviamente accadere (e non è scontato) solo con i fidati conoscenti. In tanti altri contesti non c’è assolutamente voglia di ascoltare una posizione un po' più complessa. Quindi, pur di non piegarmi alle solite frasi fatte del più e del meno, biascicare svogliatamente quell’ “abc” che si dovrebbe dire “tanto per dire” e assecondare l’altro… o optare per la provocazione e surriscaldare gli animi… scelgo il silenzio 😁 Qui però succede una cosa poco simpatica: il non esprimersi su un argomento, fa sì che le parole “non dette” vengano comunque interpretate come una presa di posizione “opposta” a quella affrontata… e questo lo ritengo un problema direi attualissimo, sarà proprio la pessima abitudine diffusa dai talk, dai mezzi di """informazione""" o dai social: sugli argomenti diciamo "di tendenza" noto che “o è bianco o è nero” quindi, se io e altri parliamo solo di X e tu taci, allora pensiamo che sarai sicuramente dalla parte di Y… è un meccanismo che vedo ripetersi spesso, mi infastidisce non poco. Ho poi notato che più persone si è, e meno si parla di cose interessanti, ma questo probabilmente è solo un’impressione mia… qui verrebbero in aiuto la capacità di prendere la parola ed attirare l’attenzione, e saper condurre il discorso, abilità non da tutti. Negli anni ho sempre preferito confrontarmi con pochi alla volta, nel momento che conosci meglio il tuo interlocutore forse sai quanto puoi spingerti in là nell’approfondire un tema piuttosto che un altro, e puoi scoprire lati dell’altra persona che non conoscevi, e che nel gruppo magari non emergevano. E quanto si impara ascoltando chi ha qualcosa “di suo” da dire!
@@linkinmark83 credo anche io che ci siano sempre meno occasioni di dialogo e, conseguentemente, meno “preparazione” a dialogare. In particolare, si ha un po’ paura di urtare, si essere giudicati, o di essere fraintesi, il che porta ad abdicare al confronto ancor prima di cimentarvisi
Come sempre, offri approfondimenti interessantissimi! Tralascio Record of Ragnarok perché l’ho abbandonato troppo presto (diciamo dopo il combattimento di Adamo). Per tutti gli altri esempi, Kaiju ha una peculiarità: Kafka non apprende nuove tecniche da Kaiju, ma si impegna ad essere forte anche da uomo. Gli esempi che porti si “allenano” nel loro talento, quindi migliorano ma solo su un aspetto. Menzione particolare per Saint Seya: loro, essendo una squadra, hanno il vantaggio di completarsi a vicenda grazie ai loro tratti personali (penso alla tenacia di Seya, alla riflessività di Shiryu, al pensare l’impossibile di Ikki, per esempio).
… del resto ho citato un manga che parla esclusivamente di combattimenti, eppure nei flashback ho trovato un altro lato dei protagonisti. Io credo che, oltre alle loro qualità “fisiche”, che li portano ad essere scelti per questa battaglia per la salvezza dell’umanità, emergano anche delle “belle anime”. Come lo penso? Beh: io non sono uno spadaccino, un lottatore di sumo, uno scienziato e nemmeno un imperatore, eppure sento che da questi personaggi ho tanto da imparare. A mio avviso emerge che non solo sono grandi guerrieri, ma anche grandi persone. Forse potevo farla più breve e citare le arti marziali: i conoscenti che le praticano mi hanno sempre parlato di “discipline complete”, che formano la persona e il lottatore contemporaneamente. Mi scuso se a volte vado un po' fuori tema, mi faccio prendere dalla foga di scrivere 😅e ho in mente anche qualche altro tuo video, al quale dò implicitamente risposta in questi miei papiri. Tra l’altro stavo pensando un’altra cosa, sempre sul tema. Come identificarlo? Mi prendo ad esempio. Oltre alla rinnovata voglia di studiare, mi sono dedicato al giardinaggio (non si pensi ai giardini di Versailles eh 😆ma un po' di belle piante da terrazzo, il mio piccolo Kepos) e alla cucina. I risultati sono buoni, soprattutto nel secondo hobby 😋. Ci sono poi dei momenti in cui mi sento in sintonia con la “creatura” che curo o sto creando… e allora mi chiedo: dove sta il talento in tutto ciò? Perché, se non avessi provato queste due attività, non lo avrei mai saputo. Nella curiosità? Oppure sono portato “innatamente” per due cose così diverse? E se invece, con la mia meticolosità, mi preparo adeguatamente prima di iniziare, e pertanto posso adattarmi a più passioni con buoni risultati? Ma soprattutto, da adulto, mi chiedo: ha importanza scoprirlo? Perché potrebbe essere un mix di queste cose… forse, tolti i grandi campioni e i “numeri uno” nel loro campo, per la “gente comune” cercare IL talento è come cercare l’IO… un qualcosa che non si afferra chiaramente, ma in qualche modo da qualche parte c’è, e nell’usarlo (magari inconsapevolmente) ci rallegriamo le giornate. Concludo riflettendo su quanto sia importante e delicato trattare questo tema con gli adolescenti, un’età movimentata dove l’incognita e l’incertezza potrebbero fare dubitare sul possedere o meno talento… ma sento che sono in buone mani 😉😉😉💪
@ mi piace l’ultima riflessione e ti chiedo: IL talento è davvero seignificativo? Devo averlo, devo cercarlo? O forse, impegnandomi in ciò che voglio e in ciò che mi piace, posso vivere una vita felice a prescindere da un eventuale talento? Proprio come nel video su Encanto (il talento che ingabbia), la ricerca del talento potrebbe diventare il motivo di una vita orientata a qualcosa di non necessario e, probabilmente, infelice per un bel pezzo.
@@mangasofiaLammoglia Averlo non è un obbligo; cercarlo non fa male. Perché ragioniamo su un qualcosa che potrebbe esserci, ma anche no, e dovremmo farlo in serenità, senza le sollecitazioni che possono “distrarci”. Qui i rischi vengono da fuori e da dentro. Parli spesso di “società della performance” e mi trovi d’accordo: pertanto, se ci avventuriamo nella ricerca dovremmo farlo senza l’obbligo di arrivare a trovare un “qualcosa di cui andare fieri da mostrare, altrimenti non valgo nulla”. Allo stesso tempo, bisognerebbe anche stare attenti al proprio ego. Perché qualcosa potremmo trovarlo. E ciò in cui riusciamo bene, ci porta probabilmente benessere, ma attenzione che l’ego non spinga all’esagerazione, e che quel buon dono non diventi una schiavitù. Condividerlo, non esibirlo. Goderne, non abusarne e non diventarne dipendente. Avere una qualità e… quasi dimenticarsene, per usarla con equilibrio!
@ amen
Buonasera Prof, questo è un argomento sempre interessante, avvincente, stimolante, che riesce a tirare fuori belle discussioni. Non mi stanco mai di sentirne parlare! Avevo già detto la mia sulla “condanna” di un talento non particolarmente voluto (vedi Gohan), oggi vediamone il lato positivo. Per onorare il titolo del Canale, posso attingere a piene mani dal manga Record of Ragnarok, che mi ha riportato, malgrado qualche limite (un po' di trash e cazzeggio qua e là, adesso anche un po' di ripetitività negli scontri) a quelle sensazioni vissute decenni fa, quando i combattimenti di Ken Shiro o Seiya&co. avevano tanto da trasmettermi. Ci sono quattro personaggi che ben si addicono alla nostra riflessione. Vediamoli nell’ordine di comparsa nel fumetto. In primis Kojiro Sasaki. Viene definito “il più grande perdente della storia”. Un nome, un programma. Nella realtà fu uno spadaccino abilissimo, famoso per il duello con l’altrettanto celebre Musashi Miyamoto. Ah, doverosa premessa: il manga attinge dalla Storia ma viene stravolta nei flashback un po' a sentimento degli autori, quindi NON è una narrazione da prendere alla lettera. Il soprannome deriva dal suo particolare “curriculum”. Giovane dotato di buone qualità, ma un po' sempliciotto, frequenta una scuola di spada dove subisce una severa lezione. Qualcosa scatta in lui e si dedica all’allenamento continuo e costante. Nel flashback che lo riguarda, non lo vedremo MAI vincere. Curioso no? Lui affronta avversari sempre più forti, eccellenti maestri di tecniche diverse, e ogni volta cade esausto ma… felice. Perché ha imparato una nuova lezione. Lui praticamente ripassa mentalmente lo scontro, lo analizza sotto tutti i punti di vista, e paradossalmente… vince. Non avverte il bisogno della rivincita, ha già capito i meccanismi che lo hanno portato a perdere, e facendo così l’avversario che lo ha battuto poco fa per lui non ha più segreti. C’è un momento, all’inizio del suo percorso, quando affronta nuovamente il primo maestro di spada che lo aveva sonoramente sconfitto. Ebbene, quando si ripresenta è così determinato e sicuro dei suoi mezzi che il maestro, di fronte a suoi soli movimenti, avverte la sicurezza del ragazzo, intuisce la sua nuova forza, si spaventa e si arrende. Comunque, Kojiro continuerà a allenarsi e… perdere felicemente. Affronterà Poseidone. Piccola digressione. Il Poseidone che vediamo in RoR è il Dio di Epicuro. Distaccato, glaciale, impassibile (salvo qualche impropero nei confronti dell’avversario umano), nella sua “monodimensionalità” rappresenta proprio quel Dio “che non si cura degli uomini”. “Non abbiamo bisogno di eserciti, né di tradimenti, e nemmeno di sostegno… Dato che, in quanto Dei, sin dal principio siamo stati esseri perfetti…” dice qualcosa di simile, l’ho trovato online, nel manga italiano che ahimè non ho qua con me, forse è diversa, ma il succo è questo. Il bello di Kojiro, oltre all’allenamento costante e l’entusiasmo che trasmette, è la sincera gratitudine nei confronti di tutti i maestri che lo hanno “bastonato” per bene. Un talento che ha bisogno della sconfitta per crescere. C’è poi Raiden Tameemon, l’invincibile lottatore di Sumo. Giovane dotato di una forza straordinaria, deve usare le sue energie per sostenere la famiglia e aiutare il suo villaggio. Decide di darsi alla lotta contando unicamente sulla sua sicurezza un po' arrogante, ma lì il suo fisico non basta; viene messo subito in riga, e allora capisce che non può fare altro che allenarsi duramente e rispettare ed amare quella disciplina. C’è un però… è troppo più forte dei suoi avversari. Non potrà mai sfruttare appieno il suo potere, se non nel torneo del Ragnarok, dove contro il Dio Induista Shiva potrà finalmente dare sfogo a tutta la sua piena forza. Un talento che è quasi “la solitudine di un numero primo”. Ma anche l’amore per una disciplina, e la necessità di applicarsi, perché “la potenza è nulla senza controllo”. Nel settimo incontro entra il scena il mio personaggio preferito ad oggi, per me il… quattordicesimo Cavaliere d’Oro (sì, c’è un tredicesimo, Odysseus di Ofiuco): Qin Shi Huang, il Primo Imperatore della Cina. Vive un’infanzia circondato da cattiveria e disprezzo, in quanto tenuto in ostaggio in un territorio nemico della famiglia. L’amore di una affettuosa quanto grintosa tutrice accenderà in lui quel coraggio e sicurezza che mancavano, e il corso degli eventi lo porterà a guidare verso l’unità la sua terra. Forte, deciso, ambizioso, sicuro di sé, anche un po' arrogante, ma ci sta, è un guerriero perfetto. Affronterà Ade alla pari. Lui si fa carico su di sé del destino del suo popolo. Non può perdere. Darà sempre e comunque il massimo. Talento e senso di responsabilità. Concludo con Nikola Tesla. Scienziato e genio instancabile, fa della curiosità e della fiducia nel progresso i suoi punti forti. Se non ricordo male una sua frase che mi ha colpito è “il miracolo di oggi è la normalità di domani”. Un uomo visionario, fiducioso nel futuro, che vede nel miglioramento delle condizioni di tutti lo scopo della sua esistenza (e della scienza in generale). Talento che sfocia in generosità, speranza e condivisione. Questi personaggi hanno un po' di tutto. Abilità innate, costanza nell’allenamento, voglia di crescere e affrontare nuove sfide, miglioramento anche nella sconfitta, sicurezza dei propri mezzi ma anche un pizzico di autoironia, senso del dovere, responsabilità verso gli altri… chapeau. Possiamo non citare poi Ken Shiro, che nel corso delle sue epiche avventure affronta una miriade di avversari “interiorizzando” le loro tecniche per poi utilizzarle nelle sfide cruciali, riconoscendo che senza di loro non sarebbe diventato il guerriero “speranza di tutti”? E un’ultima parola di stima va ai poveri Bronze Saints, che nell’universo di Seiya prendono mazzate dal primo episodio fino all’ultimo. Eppure tra Gold Saints, Generali Marine, semidivinità e chi più ne ha più ne metta, sono sempre lì, a rialzarsi da ogni caduta, consci della loro missione, aggrappati alla buona volontà, alla tenacia. Ripetono allo sfinimento quelle due mosse in croce, fanno quasi tenerezza, eppure nel loro costante impegno, non possono non meritare stima. Tutti questi personaggi ci insegnano che qualcosa di buono probabilmente lo abbiamo tutti, magari non appariscente, non tutti possono essere numeri uno, ma non è questo necessariamente il talento… può essere anche “solo” (e mica dico poco) quel qualcosa che ci fa stare bene, quella passione che ci tiene compagnia. Cerchiamola, coltiviamola, e proviamo a condividerla. PS: chiudo tirando in ballo, tanto per cambiare, Carmelo Bene. Avevo già accennato e riflettuto sulla sua battuta sul Genio&Talento… noto che questa figura, a mio avviso importante culturalmente, non viene quasi mai citata e omaggiata in tv. Probabilmente la sua spigolosità caratteriale l’ha pagata cara ☹
Bentrovato Prof! Parto subito col botto: "…si accede a internet per saperne sempre di meno", diceva Carmelo Bene tempo fa. Ovviamente le provocazioni vanno un po' ragionate, ammesso che non siano fini a sé stesse, lanciate per il semplice gusto di creare un po' di scompiglio e basta. Esprimo in parte (50 e 50) il mio dissenso. Soprattutto se parliamo di arricchire la propria conoscenza riguardo a ciò che è “storia”. Mi spiego meglio. Ritornando un po' sui libri, e soprattutto esplorando una materia mai studiata prima, sto trovando tanti termini nuovi ed è stimolante cercare di capirne l’etimologia. A questo fine le tue "pillole" sono dannatamente utili! Mi faccio delle mini-maratone di vocaboli, cercando di ripassare concetti che un anno fa erano del tutto estranei, per mettermi alla prova e vedere cosa ho imparato, cosa ricordo e cosa devo riprendere ed approfondire (tanto lavoro da fare ovviamente, ma va bene, non ho fretta, è un viaggio dove più che alla meta punto tutto sul percorso e gli incontri che posso fare). Nel fare ciò, mi impegno tantissimo a “non rimandare”, cerco di applicare un approccio il più concreto possibile, quasi da studente. Se non ricordo male il buon Ferruccio durante l’incontro di due mesi fa, invitava a riempire i tempi morti di riflessione, e condivido questo approccio, per far sì che l’allenamento sia costante, malgrado la macchina infernale del quotidiano che tenta di schiacciare tutto. In questo contesto, il web mi ha fornito tanto di quel materiale da averne “abbastanza”!!!!! … e come diceva quel famoso detto, “fino a qui tutto bene”. All’inizio parlavo di conoscenza “dal passato”, ora tocco il tasto dolente per me, che riguarda il presente. Quesito principale: come leggere l’attualità, come conoscere quello che ci circonda? L’abuso d’informazione dilata l’ignoranza con l’illusione di azzerarla (sempre CB) Credo che nel “viaggio della conoscenza”, tra potenza e atto, ci sia l’inevitabile zampino dell’esperienza. Che è sensibile e strettamente personale. Faccio un esempio concreto, anzi due. Prendiamo il “Discorso” di Étienne. Lo conosciamo in tanti oramai, e lo apprezziamo allo sfinimento. A livello di IDEA, direi che siamo tutti in sintonia. Ma se si facesse un sondaggio al popolo del Tubo chiedendo un FATTO REALE, possibilmente recente, nel quale vediamo replicati i meccanismi descritti dallo sfortunato talento di Sarlat, apriti cielo: mi immagino scazzottate (virtuali) degne dei film di Bud&Terence. Altro esempio: anni fa citati “V per Vendetta” in un periodo diciamo “travagliato”, ed arrivò il solito buontempone a dirmi che non avevo capito nulla, che il significato dell’opera era all’opposto di quanto lo intendessi io, e che l’autore mi avrebbe preso volentieri a pedate nel sedere per la mia interpretazione. Eppure io avevo colto delle coincidenze con i tempi che correvano… chi sbagliava di noi due? Dove sta la vera Conoscenza in queste situazioni? Non contento, complico le cose. Da anni consultavo diverse fonti/canali che stimolassero in me quel “qualcosa in più”. Necessitavo spesso di una chiave di lettura più profonda di un fumetto, di un film, di un fatto… e mi rivolgevo spesso ad alcuni utenti che mi parevano preparati ed affidabili. Con il passare del tempo, ho notato che alcune di queste figure, supportate da un gruppo di utenti che oramai è più opportuno definire devoti accoliti, hanno iniziato a manifestare un "delirio di onnipotenza”, pontificando su tante situazioni con fare saccente ed aggressivo. Vedo anche “guerre” virtuali tra utenti e le loro “fanbase” sulle più disparate tematiche 🙈 Riconosco che con il tempo mi sono inselvatichito, ho maturato una pressoché totale sfiducia nelle fonti “ufficiali”, ma se voglio essere onesto devo ammettere che anche la cosiddetta “controinformazione” (che probabilmente era diventata la mia echo chamber) è un terreno scivoloso, pieno di insidie e vicoli ciechi… a volte penso che, se mi sto voltando indietro a conoscere i pensatori del passato, e ciò mi dà gratificazione e mi fa stare bene, è perché l’attualità mi fa schifo, e non mi fido realmente di nessuno, e concludo che leggere il presente è un’impresa ardua, faticosa e va fatta con molta prudenza e sano scetticismo (ma non quello paralizzante, vano e inconcludente, bensì quello che ti porta a vedere più lati possibili di una problematica e a ragionarci su). Concludendo, non posso sottolineare che un altro merito di questo canale è l’atteggiamento pacato e accogliente con cui ti poni, e credimi che non è così scontato riuscire a regalare minuti/ore di riflessione serena, senza stuzzicare istinti provocatori o la volontà di “armarsi e partire” per distruggere qualcun altro.
Come sempre, ti ringrazio. Anche per le belle parole spese sulla “pacatezza” del canale, sebbene io stesso sia caduto qualche volta nella trappola dell’orgoglio con qualche follower. Detto ciò, hai citato estremamente a ragione le echo chamber, che amplificano il problema, rendendo la nostra conoscenza non solo potenziale ma anche potenziale nella “faziosità”. A conclusione: non vorrei che questo video passasse per una demonizzazione del web. Al contrario, è un invito a sfruttarlo davvero, a trasformare in atto (come mi pare tu faccia) questo strumento preziosissimo che potrebbe fare la differenza.
@@mangasofiaLammoglia La tua risposta mi ha acceso altre riflessioni 😅Intanto sgombero il campo dagli equivoci: il video ha un suo scopo e lo esprime chiaramente, è un invito a usare Internet per quello che è, non dimentichiamocelo, uno STRUMENTO. Facciamo in modo che sia un trampolino di lancio verso la Conoscenza e l’arricchimento (e non nella perdizione nell’ignoto dell’ignoranza e della cattiveria). E’ lo step di partenza, ma il grosso del lavoro spetta a noi. È come un’autostrada a tante corsie, ci permette di raggiungere molteplici destinazioni nel minor tempo possibile, e sfruttando la velocità dei nostri mezzi; tuttavia, se vogliamo arrivare sani alla meta, dobbiamo seguire le regole e vale lo stesso per gli altri fruitori del servizio. Forse nel web la “chiarezza” delle regole è “fumosa” e lacunosa (uh la Netiquette… se ne parla ancora?). E forse qui si fa un errore madornale, clamoroso, imperdonabile. Quando si dice che Internet è “il male”, la “rovina dei giovani”, “ha inquinato la società”, ecc ecc, facendo così diamo per scontato che abbia una vita propria. Che sia un modo di AUTOASSOLVERCI dalle nostre colpe/mancanze, dal momento che non è altro che una piazza virtuale abitata da tutti noi? (se non ricordo male c’è un tuo video, un incontro alla Feltrinelli, dove parli dell’etichetta di “persona cattiva”, e dici che nel momento in cui la applichi ad una persona, quasi la assolvi dalle sue responsabilità… dico giusto?). Io stesso ho confessato di avere trovato grosse incoerenze nel mio espormi. So che in me convivono una parte costruttiva (che direi qui trova un buono sfogo) e una distruttiva (che ho sguinzagliato altrove). Nel web questa “armonia degli opposti” ha spesso vacillato, estremizzando i due lati, e sta a me riconoscerlo e cercare se possibile di fornire un contributo utile, altrimenti per fare danni sarebbe anche meglio che stessi zitto. Qui posso confrontarmi serenamente con un Prof, e se i minuti della giornata da spendere per il tempo veramente LIBERO sono contati, come penso, sta a me spenderli bene. … e questi scambi e confronti mi portano verso un altro argomento di riflessione. A proposito di Conoscenza & Potenziale da tirare fuori, constato che stanno emergendo i “pop professori”. Figure per la maggior parte apprezzate, a volte criticate. Anche in questo caso mi sentirei di definire questi soggetti uno “strumento”, ma così è brutto e freddo, allora preferisco considerarli un “ponte”, tra la persona e la Materia. Non necessariamente uno che segue un prof sul web deve imparare tutta la letteratura latina o la fisica quantistica, ma intanto può appassionarsi e chissà che può scattare… e se non riesce ad andare oltre pazienza, comunque ritengo sia tempo ben speso. Ovviamente sta anche alla bravura del prof riuscire ad esprimere concetti difficili con parole chiare e semplici, per accendere quella curiosità potenziale che alberga (spero) in ognuno di noi. Allo stesso tempo devono smorzare l’eccessivo entusiasmo, trasmettendo l’importanza della Materia e sottolineando che va rispettata e non maneggiata come un giocattolo. Pensa che alcune figure rigorose e rigide mi hanno detto “eh ma tanto se non lo hai mai studiato… se non lo hai mai visto a scuola”… eh vabbè, mica è una colpa, lasciatemi aperta una porticina di speranza di “crescere” ancora! Infine, un’ultima osservazione sulle Echo Chamber, che è un argomento interessantissimo! A volte alcune persone maturano idee da un’osservazione più critica della realtà, o da particolari esperienze vissute (attenzione, non sto dicendo giuste o sbagliate, semplicemente più “complesse” e “sfaccettate” della media). E’ molto probabile che questi soggetti trovino fatica nel confronto quotidiano, e qui si aprono due strade. La prima è assimilarsi al “pensare comune”, per il quieto vivere (ma una volta che si “accende” il pensiero definiamolo pseudo-critico, non si può più fermare). Succede spesso un altro evento, all’esterno. Chi non capisce queste idee, pigramente, è portato a credere che la persona “fuori dagli schemi” sia stata indottrinata da qualcun altro, che non sia farina del suo sacco. Non è così, non sempre almeno. Tornando al bivio di prima, la seconda scelta è cercare qualcuno che la pensi allo stesso modo. E fino a qui non ci trovo neanche niente di male, ci sta avvicinarci a chi sentiamo più affine, no? Vale da sempre, anche per le amicizie o i rapporti affettivi… Ma qui scatta la trappola del “cantarsela e suonarsela”, che sta nel sentirsi gratificati dal confronto (che poi confronto non è più, perché è solo una conferma di quanto si sa già) con chi la pensa in egual maniera. E può succedere quello che denunciavo in precedenza nelle guerre tra youtuber e seguaci vari. Ricapitolando: io detengo il pensiero critico, o così credo; mi avvicino alle persone che reputo pari a me, argomenteremo in blocco allo stesso modo… e perderò probabilmente quella capacità critica che magari avevo davvero in buona fede all’inizio del percorso… Allora qui viene il difficile, il lavoro interiore: attivare la pars destruens (che bello questo concetto!) per prendere le giuste misure, ricalibrare le proprie convinzioni, fare un lavoro di revisione… che fatica!!! Un eterno processo di creazione e distruzione, con noi stessi, il bagaglio dell’esperienza e tutti i mezzi a disposizione, internet compreso.
Buonasera prof! Avevo già “risposto” a questo argomento qualche video fa, parlando proprio della tragica figura di Naoto… proverò a fare qualche “nuova” riflessione. Mi chiedo quale sia la prima “maschera” che indossiamo… dal momento che associo questo concetto come una “risposta/reazione” alle aspettative, etichette e ruoli sociali, mi viene da pensare che il primo “status” che viviamo è quello di figli. E’ forse l’unico ruolo che ci “piomba addosso” e non possiamo evitare. E chissà che per noi non sia già pronta una maschera ancora prima di vedere la luce, fatta di aspettative, desideri, entusiasmo, speranza che il nostro percorso ci porti chissà dove… sarò un po' cinico a pensarla così, ma tant’è. Poi vengono la scuola, i gruppi di amici, i rapporti sentimentali, il lavoro, la comunità dove si abita; se pensiamo che ogni persona che incontriamo si può fare un’idea di noi, le maschere che indossiamo (o ci vengono appiccicate) sono molteplici, quasi infinite. Parafrasando il buffo dilemma sulle tempistiche di nascita dell’uovo e della gallina… nasciamo prima noi o la maschera? Proprio in questi giorni riflettevo su una episodio capitato. Rimango sul vago, ma cercherò di essere più chiaro possibile. In un gruppo che “frequento”, una persona ha preso la decisione di uscire, con sommo stupore di tutti. Ovviamente questo fatto ha acceso il “chiacchiericcio”… ecco, per me questo è il momento di stare in silenzio, ascoltare gli altri con “distacco”, e allenarmi un pò a capire i meccanismi che regolano l’agire comune (mi sforzo eh, cerco di resistere alla tentazione di trarre conclusioni affrettate). Ebbene, allo stupore per l’uscita è seguita la ricerca di una “sentenza” per definire la situazione, di un giudizio che potesse poi applicarsi alla persona in questione (la quale, tra l’altro, abbiamo conosciuto poco). Alla fine mi sono “acceso”, inserendomi nell' "indagine" e spostando l’attenzione non sull’effetto, ma sulla causa. Potenzialmente le basi delle scelte delle persone sono infinite, la maschera che questa persona ha mostrato a noi (per breve tempo, tra l’altro) non può definire in assoluto il soggetto, anzi. Pertanto, ho cercato di trovare tutte le possibili motivazioni alla base della scelta… ma sono rimasto inascoltato e solo, in questa mia ricerca. Perché? Perché bisogna arrivare alla “categoria”, c’è poco da fare. Giusta o sbagliata, la sentenza definisce l’altro, ma in base ai miei parametri, che tra l’altro sono estremamente personali e applicati ad un soggetto del quale conosciamo veramente poco… quindi, questo giudizio, quanto valore ha? Noi non siamo supereroi e neanche figure tragiche come Naoto (lo spero), ma la problematica c’è, e penso a quanto questa “abitudine sociale” possa pesare in giovane età. Dietro la maschera c’è una persona. Davanti troviamo le aspettative/pressioni di una famiglia, il giudizio degli insegnanti, la stima dei colleghi, la considerazione degli amici, la fiducia del partner, e tanto altro… e anche all’interno di un gruppo sociale i pareri possono essere contrastanti: pensiamo ad una persona stimata e apprezzata da tutti… ci sarà sempre qualcuno che nutrirà diffidenza o antipatia, andando “controcorrente”… Credo che con il tempo e la maturità, si dovrebbe acquisire quella necessaria esperienza per “leggere” (quasi) tutte le maschere che abbiamo indossato e indossiamo, e forse possiamo provare lucidamente e serenamente a trovare (se c’è) un filo conduttore con il nostro carattere. Chissà, la caduta di una maschera potrebbe essere un evento liberatorio… -> [SPOILER SPOILER SPOILER!!!] -> penso al finale dell’anime e alla risata di Naoto, mista a pianto… che peso si è tolto, poraccio. Eppure, il peggio deve ancora arrivare. La perdita della maschera porta a uno shock che accende la miccia dell’odio, e ora può “soddisfare” la voglia di vendetta per tutto il male subito… Caduta la maschera che lo identificava con i valori di bontà, solidarietà e umanità, si trasforma in un animale rabbioso… e diciamo addio all’eroe perfetto in cui tutti ci rispecchiavamo, facciamo un bagno di realtà che dimostra quanto il male possa corrompere anche l’animo più puro, e quante contraddizioni ci siano anche nell’uomo più perfetto e ammirevole di tutti.
Beh, l'ho girata proprio per la tua risposta questa puntata, come ti avevo promesso! Non ho capito però l'ultima parte del tuo ragionamento: perché dici che esce la "cattiveria" di Naoto? Non ricordo la fine dell'anime, ma nel manga sembra lanciare la maschera per preservare la distinzione tra Naoto il buono a nulla e il grande Tigre che sparirà senza lasciare tracce. Come se avesse voluto, fino all'ultimo, difendere prima la maschera che l'uomo.
@@mangasofiaLammoglia … eh sì ricordo, grazie mille per avere colto lo spunto! Se la memoria non tira brutti scherzi, ma dubito perché ho quelle immagini ancora impresse, nell’anime il climax del finale è a dir poco epico e tragico. I vertici di Tana delle Tigri scendono in pista contro Naoto per duelli all’ultimo sangue tutt’altro che corretti (e difatti ci lascia le penne il suo anziano amico, Daimon, e riducono male pure il giovane Kentaro). Nell’ultimissimo incontro, vs Grande Tigre, quest’ultimo usa tutte le possibili scorrettezze per uccidere Naoto (perché lo scopo oramai è quello). Dopo l’ennesimo tentativo criminoso subito, Naoto si salva per un pelo, ma la maschera viene strappata via. Seguono secondi di silenzio e primo piano sulla maschera trafitta… fino a quando Naoto raccoglie quello che rimane della maschera, ride e piange contemporaneamente. E poi… si chiude la vena, gli parte la brocca, insomma riversa su Grande Tigre tutte quelle scorrettezze brutali e disumane alle quali aveva rinunciato da anni… salvo poi, una volta compiuta la sua vendetta (chiamarla giustizia non mi sembra del tutto corretto, anche se forse si può comprendere la sua reazione), scappa per sempre… Forse è l’ultimo gesto di umanità rinsavita: con la sua "follia" ha “macchiato” per sempre (non può avere distrutto, noi lo riconosciamo perché sappiamo tutto del suo bagaglio, ma magari il pubblico no) la maschera del lottatore redento che aveva saputo dire NO alla violenza… e scompare. Nel manga, che avevo trovato meno entusiasmante dell’anime, il gesto finale di Naoto è di un altruismo commovente. Gettando via la maschera, rinuncia a sé (del resto è consapevole della fine) ma “salva” Tigre, o meglio l’idea di quel lottatore esempio per tutti… lasciando accesa nelle persone la speranza di un suo ritorno. Naoto Date, mi viene la malinconia solo a pensare a questo nome 😭😭😭
@@linkinmark83 ahhh ecco! Quindi l’anime finisce in modo completamente diverso! Grazie!
@@mangasofiaLammoglia .....ehm grazie dello spoiler epocale vorrai dire... non odiarmi
Proprio in questi giorni ho visto a tal proposito un interessante video dove si affronta il tema ipotizzando un confronto tra filosofi, favorevoli e contrari, tanto per arricchirmi un po'. Per certi versi la mia risposta potrebbe risiedere nella mia scelta di vita, ovvero abitare nel centro storico della mia città. È un amore cresciuto nel tempo: ah, se penso che quando misi piede qui mi era stato sconsigliato di frequentarlo... Con il tempo, esplorando la città, ho conosciuto tanti suoi lati, e oggi dico che la mia scelta è risultata facile. Perché? Un mix di fattori. La Storia che ti parla ad ogni angolo. Le botteghe storiche ancora a misura di cliente. Ma anche un’umanità variegata e vivace, il senso di appartenenza ad una realtà multiforme e dinamica. Ovviamente questo luogo ha delle criticità non da poco, ma ci torneremo dopo. Solo assaggiando la Filosofia ho approfondito il concetto di Cosmopolitismo, che conoscevo molto superficialmente. Mi ha affascinato subito, e l’ho scoperto probabilmente nel momento giusto, in una fase dove mi sento più curioso, forse elastico e anche aperto al nuovo (o almeno così spero). Non provo neanche ad applicarlo al lato “pratico” del presente, sarebbe utopistico, ma mi sento di poterlo utilizzare come idea su cui lavorare, per costruire un pensiero che possa portare al vincere l’idea rigida di “confine da difendere”. Tempo fa proposi, a proposito di conoscere sé stessi, di provare a togliere tutti quei “riempitivi” della nostra identità (la nazionalità è una di queste), per “conoscersi” meglio, e capire chi siamo. Non sono “geloso” della mio essere italiano. Non è un “privilegio” che sento di difendere con le unghie e con i denti da chi lo richiede. Mi sento certamente fortunato ad essere nato in un lato di mondo dove le possibilità di una vita serena e tranquilla sono concretizzabili. Se ci rifletto bene, sarebbe egoista e neanche troppo umano, volere negare a chi lo chiede, e sta dimostrando con la volontà di meritarlo, un’apertura. Credo quindi che se ne possa e se ne debba discutere, ma lo si dovrebbe fare in serenità ed equilibrio, condizione che mi sembra mancare alla realtà che ci circonda. Proviamo a capire il perché. Tempo fa dissi che il femminismo era un argomento “divisivo”, e pure questo non scherza. Ma il problema non credo sia tanto nell’argomento alla base del video, io credo che sui “Valori Etici” (uso questi "paroloni" perché non mi viene altra definizione, insomma per capirci che stiamo parlando di temi importanti e delicati) ci sia (o quantomeno lo spero) unità di intenti… il problema è come questi temi vengono trattati dalla politica, filtrati dai mezzi di informazione, e percepiti nel quotidiano. Io non credo che chi “non sia d’accordo” sia necessariamente una persona malvagia, ignorante, razzista ecc. ecc. Stiamo vivendo anni non propriamente tranquilli, spesso dico che siamo entrati nell’ “epoca delle emergenze”, e quindi in tempi incerti e di paura latente, di cosa hanno bisogno le persone? Di certezze. L’identità nazionale, l’idea del “confine” (ah, le mura di AoT), probabilmente danno un senso di appartenenza e sicurezza. Concedere un’apertura in tal senso, farebbe venir meno quel senso di (illusoria?) protezione che l’idea di “essere cittadino di” regala. Mi viene anche in mente che alla base di questo bisogno di “trincerarsi dietro una certezza” ci sia anche la religione. E qui la faccenda si complica. C’è “elasticità” tra le varie fedi, che possa consentire una pacifica convivenza? Da anni sembra esserci una “guerra di religione”, non so quanto “casuale” e quanto voluta (spesso penso sempre “male”, sia ben chiaro ), e parlare di “clima di sfiducia” è forse riduttivo. Si può lavorare su questa problematica? La collegherei al ragionamento che segue. C’è poi un altro problema. Che genera un “equivoco”. Dico sempre che uno dei tre pilastri della Società “sotto attacco” è la Sicurezza. Parlavo prima del centro storico dove abito: alcune zone sono off limits purtroppo, e credo che questo sia un fenomeno che sta colpendo le principali città, ma l’insoddisfazione e la rabbia per questo degrado che sembra inarrestabile non possono essere caricate su persone che con questa situazione non c’entrano nulla. Basterebbe un dibattito sano e un’apertura di buon senso, con il supporto di regole ben chiare: la cittadinanza non si deve regalare senza criterio alcuno, sarebbe altamente controproducente e genererebbe ancora più rabbia, sfiducia e “bisogno di chiusura”; allo stesso tempo si deve rendere “accessibile” alle persone di valore e buona volontà, che vogliono entrare a fare parte “ufficialmente” della nostra comunità… così sì, non ci vedo proprio niente di male. … per una volta ho cercato di muovermi dal mio “scetticismo inconcludente”. Ripeto, la percezione di queste tematiche è falsata, o quantomeno inquinata. A maggior ragione questa tua “piazza virtuale” è una boccata d’aria fresca, mi regala un quarto d’ora di pacata riflessione, e sarebbe bello vedere questa serenità di ragionamento sul “grande schermo”... ma questo va oltre la metafisica, il divino, forse siamo nell’impossibile
“Io non mi sento italiano ma, per fortuna o purtroppo, lo sono” cantava Gaber. Mi chiedo, rispetto al discorso che hai fatto, cosa significa essere persone di valore? E perché un italiano da generazioni ha più valore? (Nel senso che non deve dimostrare niente). E ancora, la vera domanda essenziale, cos’è la cittadinanza in sé? Un valore? Un insieme di diritti e doveri? Altro? Partendo da questa discussione, forse, troviamo un punto. Senza una definizione chiara, e senza identificare requisiti uguali per tutti, temo si continui a restare nel vago e nell’inconciliabile.
@@mangasofiaLammoglia Per quanto rifletta e rilegga più volte quanto scrivo, inevitabilmente qualcosa sfugge. In questo caso mi fai notare una cosa che rende vacillante un discorso (già di per sé incerto): cosa vuole dire “persona di valore” in questo discorso? Beh… assolutamente nulla. Non c’entra una mazza! Non dico di essere stato frainteso, semplicemente ho usato un termine estraneo a quello che volevo dire, e che fuorvia dal mio pensiero. Forse era meglio scrivessi “di valori”, nel senso che condivide le regole della comunità dove vive, ne parla la lingua, studia, lavora; insomma, in qualche modo “partecipa” al contesto dove è collocato. Per come l’ho scritto sembra quasi che uno debba fornire prova di coraggio, o sostenere test particolari per mostrare di avere abilità fuori dal comune… no no, chiariamoci, io non valgo più di nessuno, non intendevo affatto questo. Poi ho parlato di “Valori Universali”, ma mi riferivo all’apertura all’altro e alla condivisione, da contrapporre alla chiusura e all’egoismo, non mi rivolgevo all’idea della cittadinanza, che non avverto come valore ma lo definirei piuttosto un attributo dello “stare al mondo”, la cui nascita/necessità è legata all’evolversi dell’uomo, dei popoli, della storia. Per rispondere alla domanda su cosa sia la cittadinanza, mi sento di tirare in ballo Pascal (concedimelo) e provo ad ascoltare cosa mi suggeriscono i miei “esprit de geometrie” e “esprit de finesse”. Se ti dovessi rispondere usando il primo, direi che deriva da un insieme di regole che ordina la vita di uno Stato, che disciplina i rapporti interni tra i cittadini, le relazioni con gli altri Stati e che cerca di essere armonica all’interno di una realtà più grande (Unione Europea? Mondo?). Giuste? Sbagliate? Sempre attuali o obsolete? Ci metto anche dentro la cultura, le tradizioni, ciò che si insegna e si tramanda non solo nelle scuole ma anche in famiglia. In qualche modo ti formano, ti danno un bagaglio (che si può anche non apprezzare, o può non interessare). E’ la narrazione di cui parli nel video, giusto? E potrei fermarmi qui… ma mi vengono in mente alcune osservazioni portate dall’esperienza personale. Penso ad alcune “contraddizioni”, che l’applicazione di queste regole presenta. Intanto mi sorge una riflessione alla quale non ho mai pensato, la butto lì: e se diventassi cittadino di un luogo… nell’esatto momento in cui metto piede su quel territorio? Sebbene viva qui da più di un decennio, è da meno della metà di questo periodo che posso incidere “politicamente” ad esempio con il voto, o “economicamente” versando le tasse comunali e regionali applicate sulla busta paga. Fino a quando ho mantenuto la residenza al paesello, ufficialmente risiedevo lì, ma di fatto non “appartenevo” più a quella comunità. Mi sovviene anche l’equivoco che si creava ai colloqui, quando la residenza “fuori regione” era vista come un potenziale ostacolo, e quindi dovevo precisare che avevo trovato una sistemazione, seppure provvisoria, ed era mia intenzione stabilirmi qui in futuro. Mi piace pensare che ci sia un qualcosa in più che va oltre le leggi/regole, una “ragione del cuore”, che mi fa sentire di appartenere a questo luogo a prescindere da cosa può essere scritto su un documento… lo sento mio, di più magari di chi ci è nato… quindi la cittadinanza può anche essere un’ “idea” che si sente dentro? Su questa domanda mi fermo, perché non so dove possa portare. Quindi, se voglio arrivare alla conclusione, principalmente la associo al tentativo di dare ordine ad uno Stato. Ma, forse, può anche essere un “sentimento”. Magari mi porrai altre domande, e risponderò contraddicendomi in continuazione… nella mia inutilità un’utilità ce l’ho: sono la prova che spesso la “gente comune” su certe tematiche non ha mai ragionato approfonditamente, per non dire che a volte si brancola totalmente nel buio. PS: come non ho fatto a pensare alla canzone di Gaber! Lo conosco poco, eppure confesso che ogni volta che vedo qualche sua apparizione in tv mi trasmette l’immagine di un animo elevato e di persona acuta e profonda… un senso di fiducia che non trovo in nessun contemporaneo. Un pò lo stesso effetto che provo quando vedo Carmelo Bene, ma direi che GG sembra un tantinello più affabile e propenso al dialogo... la sua figura andrebbe riscoperta!
@@linkinmark83 proprio per ciò che concerne il valore, secondo come tu lo hai definito, non riesco a capire come si possa pensare ad una cittadinanza escludente e non includente. Condivido ogni parola che hai scritto.
Buonasera Prof! Voglio iniziare la riflessione regalando un aneddoto tanto ingenuo quanto simpatico. Questa estate, in piena Olimpiade, avevo sentito che presso il “villaggio olimpico” era stata istituita una nursery per i bambini figli delle atlete in gara… al che ho pensato alla bellezza e alla “purezza” dell’immagine di un variegato gruppo di (piccoli) esseri umani che stavano assieme in totale naturalezza, ancora ignari dei concetti di nazionalità, confini, religione, appartenenza politica ecc. ecc. Ovviamente è una situazione utopistica, ma il solo pensiero mi ha regalato un sorriso 😉
Buonasera Prof! Argomento di scottante attualità… non passa giorno che non senta qualche “mugugno” in merito. La mia riflessione parte da una situazione “fuori tema”, ma fino a un certo punto, sono le meccaniche che mi interessa portare all’evidenza. Anni e anni fa nella zona dove sono nato, popolata da piccoli paeselli ubicati tra due cittadine di dignitosa importanza, i collegamenti ferroviari erano capillari. Dal mio paese potevi raggiungere comodamente le città capoluogo del triangolo industriale del nord-ovest. Nel corso del tempo questa rete è stata smantellata. Ironia della sorte, la stazione del mio paese è stata ristrutturata poco prima di essere chiusa… Una volta chiuse tutte le stazioni, i collegamenti sono stati sostituiti dai bus. Che però, beffa delle beffe, non sempre rispettavano gli orari dei treni, per consentire le opportune coincidenze. Questo non è un bel precedente… ottimizzazione dei costi & sviluppo tecnologico si sono rivelate una combo micidiale. La vita e l’economia della zona sono andate avanti, ma a scapito della qualità della vita degli abitanti/lavoratori delle piccole realtà. Che, posti di fronte ai fatti compiuti (i possibili disagi sono stati segnalati presso chi di dovere, un grido d’aiuto era stato lanciato, ma senza ottenere riscontro alcuno), si sono arrangiati adattandosi alle nuove abitudini (o procurandosi un mezzo proprio). Tornando all’argomento del video, proprio gli ospedali delle due cittadine citate poc’anzi, sono stati nel tempo pian piano “depotenziati”. E da queste due località, e ovviamente dai paesini limitrofi, oggi, sta diventando più opportuno rivolgersi “alla città”. Temo di sapere già la risposta, ma mi chiedo se questo andazzo sia casuale o frutto di una perversa visione di costo/opportunità… o logiche “sopra di noi”, che ci sfuggono. Ma niente di buono, comunque. Dopo questi aneddoti poco confortanti, voglio però anche lasciare una mia testimonianza personale, per doverosa riconoscenza. A fronte di una “disavventura” capitata più di due anni fa, in uno dei principali ospedali cittadini ho riscontrato tempistiche efficienti, necessarie per approfondire un potenziale pericolo e nel monitoraggio dell’evolversi della problematica. Oggi, passato lo “spauracchio”, se posso mi rivolgo sempre alla struttura pubblica, come dovrebbe essere diritto di ogni cittadino, ma in alcune situazioni ho riscontrato il problema delle tempistiche non adeguate, e pertanto ho rimediato con il privato. Anche qui emerge un’altra disparità grottesca. Alcuni lavoratori hanno una “cassa aziendale” che rimborsa alcune spese mediche sostenute. Ho detto alcuni, non tutti i lavoratori hanno questa possibilità… penso ad esempio ai tempi determinati. Hanno forse meno diritti? Sono precario e non ho neanche un’agevolazione sulle spese mediche? Spesso sentiamo parlare di “bonus”, da erogare alle famiglie a seguito di spese sostenute per i più disparati servizi. Si usufruisce del servizio, si sostiene il costo, e poi si fa domanda e si attende la graduatoria ecc. ecc. Ecco, non si potrebbe “saltare” questo passaggio, facendo sì che il costo del servizio sia già calmierato all’origine? Bisogna assolutamente scongiurare la sfiducia nel servizio. In economia, uno scenario catastrofico si configura quando a seguito di una crisi importante le persone, prese dal panico, corrono agli sportelli bancari per prelevare tutti i risparmi. Nella realtà sanitaria, chi non può permettersi alti costi, o aspetta tempi biblici o lascia perdere; chi può paga e si rivolge altrove, con conseguente effetto demotivante anche su chi lavora nelle strutture ospedaliere, e immagino anche ai giovani che studiano con la vocazione di svolgere la mansione… e magari puntano tutto sull’estero. Mi viene da concludere con una provocazione. Non molti anni fa si strombazzava ai quattro venti che l’Italia aveva dato una lezione al Mondo sul gestire l’emergenza, si ripeteva che tutti i Paesi ci prendevano come modello… quindi siamo stati così fenomenali nello “straordinario”, e oggi ci ritroviamo così carenti nell’ “ordinario”? Dov’è finita quell’eccellenza? E quei proclami? Sarò ripetitivo, ma temo che Salute, Scuola e Sicurezza siano pesantemente sotto attacco. Mi chiedo: un Paese dove la gente sta bene, ha accesso all’istruzione e si sente sicura… fa così schifo? E non credo nemmeno più sia una questione di colore politico… stiamo attenti e vigili, per far sì che i nostri ospedali non diventino luoghi deserti come le care vecchie stazioni di paese.
Il Male ha tante forme, alcune più evidenti, alcune più "soft" (ma non meno gravi). Tra le più infide e subdole ci sono le versioni di Male mixato a frustrazione/ignoranza/rabbia/superficialità, e tante altre emozioni negative che ci accompagnano nel quotidiano. Questa riflessione è fresca fresca, scaturita a seguito di un episodio capitato di recente, e tratta un tema che sicuramente interessa i giovani fruitori di questo canale, quello dell’uso sbagliato dei social, ma forse si può anche applicare al vivere quotidiano, per tutte le età. Ci accorgiamo quando facciamo del Male? Probabilmente dal vivo è tutto più “facile”, in teoria dovremmo scaturire una reazione nell’altro; dietro uno schermo, non è così evidente. Come dicevo prima, una situazione in questi giorni mi ha spaventato. Mi sono trovato ad esaminare il mio percorso “social”, come mai avevo fatto prima d’ora, e in alcune circostanze ho trovato “un altro me”. Che non mi è piaciuto per niente. Anzi, mi ha deluso parecchio. Come si è arrivati a questo? Io, sempre tranquillo e imperturbabile, quando ho trovato il tempo per scrivere certe caxxate? Partono le domande. Sono corretto e leale dal vivo per opportunismo, e mostro la mia vera natura (malvagia) dietro uno schermo? Sono buono e cattivo contemporaneamente? Sono un buono diventato “superficialmente” cattivo? (Shinji aiutami a trovare la risposta, tu che hai le idee chiare). Attenzione a sottovalutare le “armi” che abbiamo sotto mano. Per scrivere un papiro come questo serve impegno, fatica, dedizione, tempo, voglia di rileggere, mettersi in discussione, e poi magari l’esito non è neanche granché 🤣ma credo non possa nuocere nessuno, non distrugge niente (forse i nervi di chi ama la sintesi 🥱)… a lanciare una frecciata, una cattiveria, un insulto basta poco, non costa neanche sforzo, ma può fare un grosso danno. E qui lo dico, a sé stessi prima che agli altri. A parte che si alimenta una spirale gratuita di veleno senza fine, ma soprattutto, prima o poi in qualche modo quei semi cattivi lanciati generano una pianta carnivora che ti stritola. Presto o tardi lo farà, garantito. Ha senso capire come si è arrivati a quello? Sì può fare… troviamo l'origine. Andare contro il “sistema”? Un’ingiustizia subita? La rabbia per qualcosa che non va? Il non essere compresi? La noia del quotidiano? Io conosco i motivi che mi hanno portato a sbagliare. Non sono comunque risposte che assolvono l’imputato. Attenzione a scambiare quelle “pillole” lanciate come una medicina… perché sono veleno puro. Presto o tardi, l’importante è accorgersene. Ma, sapete, per quanto vi reputiate maturi, profondi, riflessivi, la cosa che vi può spaventare è quando certi comportamenti sbagliati LI AUTOMATIZZI, e quindi non te ne accorgi neanche più. Magari dipingi la natura, scrivi poesie, parli con gli uccellini e quanta altra bellezza puoi partorire, guardi gli altri dal piedistallo della tua "superiorità"... eppure in quel minuto con un telefono in mano riesci a dare il peggio di te… puoi provare in extremis a dire che “su quella strada ti ci hanno portato”, ma sai che non regge. Può succedere che vuoi reagire perché vieni “catalogato” in una realtà che non ti appartiene. Allora ti infervori, dagli argomenti passi alle provocazioni, agli insulti… ecco lì, sei diventato quello da cui volevi dissociarti. Se non peggio. Un effetto “Pigmalione”? Come sfogare la rabbia quindi? Perché c’è, è inutile, io che mi sento una delle persone più serene nel mondo, mi sono reso conto con stupore di avere ogni tanto qualche sassolino nella scarpa da togliere, che per non scagliare addosso alle persone che ho attorno, ho lanciato online. Contro sconosciuti. Belin che genio, complimenti!!! Di certo non serve rispondere con altra rabbia o cattiveria gratuita, e se proprio si vuole parlare/scrivere per ribattere a qualcosa che non ci piace ricordate di difendere le vostre idee con i mezzi leciti, e argomentando sempre. La Vita ci offre infinite occasioni fortuite per sbagliare “senza colpa”, non complichiamocela con scelte masochistiche. ... e quando sento che bisogna educare i giovani all’uso responsabile delle tecnologie… oggi mi chiedo: agli adulti, chi ci pensa??? Concludo questa doverosa autocritica con qualche perla del solito MdM: Tanto straordinaria è la forza della coscienza: ci fa tradire, accusare e combattere noi stessi e, in mancanza di un testimone estraneo, adduce noi contro noi stessi La pena nasce nell’istante medesimo del peccato e insieme con questo. Chiunque attende la pena soffre, e chiunque l’ha meritata l’attende. La malvagità fabbrica tormenti contro sé stessa. Nessun nascondiglio serve ai malvagi, poiché non possono stare sicuri di essere nascosti, in quanto la coscienza li scopre a loro stessi. Una cattiva intenzione nuoce soprattutto a chi l’ha concepita. Nessun colpevole può assolversi di fronte a sé stesso.
@@linkinmark83 purtroppo il tema della rabbia on-line, per quanto ci siano numerosi studi, è sempre sottovalutato (forse per convenienza). Jerome Lanier ha indicato benissimo come la rabbia sia messa a bilancio dai social media e come il tutto sia incrementato dal reciproco coinvolgimento. Fare ciò che hai fatto, un passo indietro per riflettere, per ascoltarsi e interrogarsi, è l’unica via per comprendere e superare questa ostilità. E non è una giustificazione per i nostri comportamenti social, ma un monito che istruisca la nostra permanenza nella piazza digitale.
Bentrovato Prof! Sarebbe interessante apportare al discorso qualcosa del mio bagaglio di studi economici, peccato che in fin dei conti ricordi proprio poco. L’unica materia umanistica che ho incontrato nel mio percorso è Sociologia. Ho sensazioni belle pensando a quell’esame, come una “gita fuori porta” inaspettata, non essendo obbligatoria da piano di studi, ma avendola scelta per completare i crediti di quell’anno. Però anche qui poco è rimasto, mi vengono in mente solo due cose, il cognome “Durkheim” e il concetto di “suic*dio altruistico” delle popolazioni eschimesi… 😅allora vado un po' a ruota libera, sulle sensazioni e riflessioni del momento. Acquistiamo o siamo acquistati? Consumiamo o siamo consumati? Forse siamo un po' come il criceto nella ruota. Il simpatico roditore ha l’istinto di correre, ed accelera così tanto che alla fine la situazione gli sfugge di mano (o di zampa) e viene scaraventato fuori dalla ruota che nel frattempo ha preso una velocità assurda… e se la nostra società fosse arrivata a quel punto? E’ scontato citare le parole di Tyler Durden, preferisco (per allenarmi) ricorrere alle riflessioni già poste nell’Antica Grecia sul “vivere nel migliore modo possibile”. Quando mi sono avvicinato alla Filosofia mai avrei pensato che migliaia di anni fa avessero già riflettuto su questi concetti, mi aspettavo sì l’Iperuranio, le Monadi, e meravigliose elucubrazioni sull’esistenza, ma non immaginavo neanche lontanamente che avessero già sollevato riflessioni sul possesso dei beni. Di recente ho scoperto la figura di Aristippo di Cirene. Se non ho colto male la sua essenza, il suo invito è a cogliere l’attimo sfruttando al meglio quello che si ha a disposizione, cercando di trarne il massimo piacere. Anni luce lontano dalle rinunce di Diogene, senza porsi i dubbi degli Scettici, un passo oltre la serenità cercata da Epicuro, come anni dopo fece Seneca egli non rinnega la fortuna di avere beni “superflui”, l’importante è “possederli senza essere posseduti”. Mantenere salda la rotta mentale aiuta a sfruttare bene quello che si ha a disposizione. Controllo me stesso, e sarò in grado di gestire i miei beni senza che questi diventino la mia ossessione. Potrò anche arricchirmi, e ne saprò godere maggiormente; se perderò qualcosa non impazzirò, lo lascerò andare e mi accontenterò di quello che ho (qui ovviamente accetto correzioni se avessi espresso concetti sbagliati, questo spazio mi aiuta anche a buttare giù qualche idea che apprendo, diversamente potrei parlarne solo davanti allo specchio). Il problema è che questo insegnamento è “pericoloso” per il “Sistema” odierno. Tu intanto compra, poi chissenefrega del tuo equilibrio e della tua misura/prudenza. Se hai modo di ostentarlo anche sui Social, tanto di guadagnato. Piccola annotazione: credo che non serva demonizzare il lusso. Per lavoro ho conosciuto tantissime realtà micro/piccole la cui sopravvivenza è garantita dalla qualità dei prodotti che offrono, fossero anche solo porte di legno per yacht, o botti di materiale pregiato per vini da centinaia/migliaia di euro a bottiglia. Il lavoro porta al miglioramento, dal soddisfacimento dei bisogni primari si cerca ben altro, e l’asticella si sposta sempre più in alto. Allora cosa non funziona oggi? In economia (allora qualcos’altro ricordo…) si masticano spesso i concetti di “break even point” ed “equilibrio paretiano”. Trattasi in fin dei conti di “equilibri ottimali”: ecco, è come se quella ruota di cui sopra avesse scardinato tutti questi punti, e ora corra impazzita diretta chissà dove. “ora l’utile è di gran lunga meno attraente dell’onesto. L’onesto è stabile e permanente, fornendo a colui che lo ha fatto una gratificazione costante. L’utile si perde e sfugge facilmente, e il ricordo non ne è né così vivo né così dolce. Ci sono più care le cose che ci sono costate di più; ed è più difficile dare che prendere” (MdM) Applichiamo il concetto di “onesto” ai valori umani, alle esperienze di vita, allo studio (non solo per il lavoro!), che lasciano qualcosa. L’oggetto di per sé è utile, almeno in quel momento, ma cosa ci lascia? Riconosco che ho la fortuna di commentare tutto ciò da una situazione serena, dove la gestione entrate e uscite non è un grosso problema, mi sento in una situazione “mediana” dove non posso assolutamente lamentarmi; il problema è la forbice che si è creata tra i “primi” e gli “ultimi”, che sembra con il tempo destinata ad allargarsi sempre di più. Può bastare l’educazione al “bello” e ai “valori” a tenere testa alla macchina consumistica che ci sta fagocitando? Chiudo con un ultimo spunto. Abbiamo presente i film di zombi? Ricordate che spesso sono girati nei centri commerciali? Sarà un caso??? PS: leggendo un libro sulla manipolazione delle masse da parte di Goebbels, ho incontrato la figura di Edward Louis Bernays… la devo approfondire (prima o poi). Non credo sarebbe d’accordo con le nostre riflessioni... 😉
@@linkinmark83 wow, sei sempre ricco di spunti (dovresti girare delle video risposte!🤣) Digerisco tutte le cose che hai scritto e prima o poi torno! Per ora, mi fermo su due cose: il lusso non lo demonizzo, ma lo aborro in quanto spreco, sopratutto se collegato alla forbice di cui hai parlato. Per mantenere quel lusso, servono risorse che non arrivano da altre parti. E non credo che salvare il lavoro di piccole realtà sia una risposta, poiché si può pensare (o forse sognare) una realtà dove il lusso manca, ma quei lavoratori ricevono un compenso (legato ai grandi patrimoni non più tali) per usare le loro competenze per la società. Sul tempo da cogliere, da acciuffare, non so se sia diverso da Diogene. In qualche modo, anche il cinico coglieva (con calma) l’attimo. Cambiano le occasioni. Per il primo, sono occasioni di felicita semplice, per il secondo di una felicità più complessa, legata al successo, al denaro, alla considerazione sociale etc…
@@mangasofiaLammoglia Praticamente questi papiri sono equiparabili alla trascrizione di un video di diversi minuti… magari conciliano il sonno, spero che la digestione non sia pesante e porti incubi 🤭 La riflessione sul lusso probabilmente deriva dalla “freddezza” del ragionamento che anni di studi economici portano, e dall’esperienza lavorativa che mi ha portato ad entrare in contatto con il (preziosissimo) tessuto imprenditoriale della nostra Regione. Certamente quello che ho descritto ha i suoi lati oscuri. Io ho la mia aziendina, e produrre un componente essenziale per quel determinato orologio da 10K mi permette di dare lavoro a una decina di persone e “sfamare” le loro famiglie. Ma questo “vincolo contrattuale” rappresenta un bene, o una “prigione”? Posso crescere così o sarò sempre “a disposizione” del grosso produttore, e quindi mi conviene semplicemente “adattarmi” senza diversa prospettiva? (sul discorso crescita ci sono anche problemi strutturali della Regione, ma quello è un altro discorso). E se vengo scaricato? Tornando all’esempio dei “punti di equilibrio”, si crea una rete di collaborazione, tutti danno un mano, ma io temo che arrivi quel punto in cui si senta il bisogno di “spingere sull’acceleratore” e lì i buoni propositi di un “benessere equilibrato per tutti” vada a farsi benedire. Se poi penso alle tematiche della finanza, fondi di investimento, “creare ricchezza” … beh mi viene solo che tristezza. O meglio, sarebbe curioso affrontarle adesso con un bagaglio di “umanità” diversa, più attento verso tante tematiche… o chissà magari le ho anche sfiorate anni fa ma ero ancora acerbo. Nel mio piccolo, ma che dico piccolissimo, quasi infimo, perché di sicuro anche io “alimento la macchina” senza accorgermene, mi piace acquistare dal “piccolo”, e pagare quel qualcosa di più per gratificare l’artigiano del centro storico o il contadino che mi offre i prodotti di qualità del suo orto… forse si può parlare di educare ad un “consumo consapevole”, premiando la qualità e cercando “dal basso” di riequilibrare le regole del gioco che sembrano sfuggite di mano… ecco, questa è la piccola proposta che mi viene in mente 👍
@@linkinmark83 il problema del consumo consapevole è avere le possibilità economiche di metterlo in atto 😭
@@mangasofiaLammoglia Touché. Nel momento in cui dico che sono disposto a “pagare quel qualcosa di più”, rovino il buon proposito, la mia idea si scioglie come neve al sole. Nell’esempio dell’orologio, arriverà il momento in cui la clientela esigente chiederà il modello tempestato di diamanti, e uscirà sul mercato l’esemplare da 20K, e così via… di questo “valore aggiunto” quanto ne può beneficiare la nostra piccola impresuccia che produce alcune rotelle dell’ingranaggio? Poco e nulla temo… ecco come si allarga la forbice, e facendo così prima o poi si spacca… chi può intervenire? Si può/deve regolamentare il mercato? Oh, ma c’è una volta che trovo qualche risposta anziché far nuove domande??? Concludo facendomi perdonare, spero. Poco prima di andare a dormire ieri sera, ho vissuto un’epifania potente. Si è aperto un cassetto della memoria, no, un mobile intero, anzi un qualcosa grande come una casa… e non so come ho potuto accorgermene così “tardi”, considerato come ho aperto la mia risposta al video. Sono un somaro. Ho giocato a fare il filosofo e col professare di “sapere di non sapere”. Com’è stato possibile che non mi sia reso conto subito che la tematica del video è la medesima… della mia tesi di laurea??? “I beni posizionali e il consumo vistoso”, titolavo nel 2009. Per la pietà tua e di chi ci legge, non posso riportare qui 70 e più pagine di elaborato, ma lascio degli spunti che spero risultino sconosciuti, e mi auguro accenderanno i più curiosi: per una volta offro roba concreta!!! - Luigino Bruni: riflessioni sul consumo posizionale - Lusso e ricchezza nella riflessione di Antonio Genovesi - Adam Smith e la “Theory of Moral Sentiments” - Buscema e Sacco (2001) e le nuove dinamiche comportamentali diretta conseguenza dell’avvento dell’era post-industriale (prima ci si poneva il problema dell’allocazione di mezzi scarsi tra fini alternativi, ora si sceglie tra mezzi alternativi per il perseguimento di fini scarsi) - Ugo Esposito e Lorenzo Pierfelice: “Dal consumo di massa al consumo individuale” - Pierre Bordieu e la “Critica sociale del gusto” (1979) - Christopher Lasch e “La cultura del narcisismo" (1979) - Bruni e Zarri e la “scarsità posizionale” - La filosofia sociale e politica di J.M. Keynes - Robert Michels: “Economia e felicità” (1918) - Veblen e Il consumo vistoso - “Preferenze endogene e dinamiche relazionali” di Biavati, Sandri e Zarri - Il “paradosso di Easterlin” (la ricchezza fa la felicità?) - Kahneman e l’effetto “tapis roulant” - Layard e le esternalità negative del consumo - Duesenberry (1949) e l'idea secondo cui le scelte di consumo individuali sarebbero influenzate dalle scelte fatte dagli altri - Zamagni e le esternalità negative del consumo posizionale - Tibor Scitovsky e la distinzione tra beni “di comfort” e beni “di creatività” - La “malattia dei costi”, teorizzata da William Jack Baumol - Zamagni: La fretta e il paradosso della scelta - Amartya Sen: cosa è il benessere?
... e concludo con: - Harvey Leibenstein: gli effetti Bandwagon, Snob e Veblen (1950) Snob è chiaro, compro quel bene perché solo io posso accedervi e DISTINGUERMI da tutti. Bandwagon è seguire la moda (APPARTENERE). Veblen: compro quel bene per il prestigio che può darmi (MOSTRARE). A ben pensarci, oggi molti beni riescono a coniugare questi tre effetti assieme. E’ una ricetta “vincente” (giudicandola dal punto di vista imprenditoriale): il bene è abbastanza accessibile, ma non a tutti eh, facciamo per molti; ha un marchio di successo, che lo distingue dagli altri prodotti simili; e magari ne escono diverse versioni, così che chi lo possiede può “personalizzare l’esperienza”, distinguendosi dagli altri possessori. Nel mio commento di ieri parlavo della ruota impazzita del criceto, nella tesi di un tapis roulant (l’effetto treadmill) che accelera sempre di più, ma chi ci sta sopra è sempre nel solito punto… e, ultima chicca: già nella prima pagina citavo la “Favola delle api”, che mi suggeristi qualche commento fa. Incroyable!!! Quindi, grazie davvero per avere stimolato l’accesso a questo pezzo importante del mio bagaglio, mai avrei immaginato un confronto così vivo tra queste due discipline 🙏🙏🙏
A parte che una buona parte di queste riflessioni saranno nel nuovo libro!!! Sono d’accordo: cooperazione e competizione possono convivere. Se la competizione è sana e sprona, mentre tendenzialmente è una royal rumble. Per questo punto sul ribaltare il punto di vista, per poi reintegrare la competizione.
Ieri ho cercato di descrivere una situazione ottimale, rara ma non impossibile. Se dovessi applicare questa analisi al mondo di Evangelion… altro che mani nei capelli. SPOILER!!!!! Innanzitutto, il contesto. Un mondo precario che può collassare da un momento all’altro. Gli Angeli, minacce improvvise ma costanti, sempre pronte a tagliare il sottile filo dell’equilibrio che tiene appesa l’umanità. Veniamo al Team "umani". Il leader, Gendo, e il suo braccio destro, Ritsuko, di cui avremmo potuto parlare (non tanto bene…) nel video sugli “obiettivi totalizzanti”. E poi ci sono loro, i ragazzi. Shinji, che non sa nemmeno “chi è”. Rei, che non sa nemmeno “cos’è”. E Asuka, che crede di sapere tutto e nasconde tutte le sue insicurezze dietro ad una molesta arroganza. Troviamo quasi più compattezza nella sgangherata banda degli improvvisati soldati di “Quella sporca dozzina”! Ho ragionato sul perché chiedere a dei ragazzi (per di più problematici) di “salvare il mondo”. E’ tra l’altro una delle critiche più sostenute dai detrattori dell’opera. Accendiamo una riflessione, che vada oltre le animazioni sullo schermo. Premessa: i giovani di oggi, sono gli adulti del futuro. In una società pacifica, dove il benessere prospera e l’equilibrio regna, per loro si possono aprire tutte le porte. Possono studiare, esplorare, fantasticare, costruirsi un percorso o anche più di uno, insomma, coltivare sé stessi. Senza fretta, prendendosi tutto il tempo necessario. In una società “in recessione”, minacciata dalla guerra, o comunque in crisi economica o di valori, la figura del giovane è messa sotto pressione, c’è poco da godersi, bisogna crescere in fretta, rinunciare ai propri sogni per “dare una mano” a mantenersi in piedi, o rialzarsi. E’ quello che succede in quest’opera (mi sovviene anche una situazione simile nella serie tv “Wayward Pines”). Possiamo quindi immaginare quanto sia precario un piano dove si affida un compito così delicato a dei giovani che possono già vantare un passato problematico, guidati da persone “anaffettive”, contro nemici dotati di una forza devastante. L’unico soggetto che ho visto “andare oltre” il proprio ruolo e la “necessità”, è Misato. L’ho apprezzata particolarmente nel cercare di uscire dal ruolo di leader, tentare di costruire un rapporto con i ragazzi (difficilissimo date le premesse) e regalare loro momenti di condivisione. Possiamo parlare di competizione? Quella di Asuka è quasi patologica, che in confronto Vegeta con Goku è un caro compagno di bisboccia. Ma Vegeta è piuttosto “maturo”, consapevole del suo ruolo di Principe dei Sayan. Lei non può esserlo, assolutamente. Per quanto possa risultare irritante, fa letteralmente pena. Ha bisogno di surclassare l’altro per sentirsi qualcuno. Ma nel suo caso, gli altri non competono. Shinji non vorrebbe fare quello che lo costringono a fare, mentre Rei è semplicemente “programmata” per farlo. Mai una gioia, insomma. Almeno collaborano? Questo sì, ma sono figure tenute assieme con lo sputo… c’è qualcosa da salvare in tutto ciò? Possono persone così lontane (da loro stessi, ancora più che dagli altri) avvicinarsi e migliorare? Non lo escluderei… ma se chi li guida li usa come pupazzi per i propri loschi scopi, la vedo difficile. Forse Shinji potrebbe trovare rassicurazione alla sua inadeguatezza nella pacata gentilezza di Rei, e acquisire un po' più di grinta da Asuka. Forse Rei potrebbe accendere la sua umanità specchiandosi nella sensibilità di Shinji, e magari stimolata dalla “vivacità” di Asuka. Forse Asuka potrebbe capire dai due compagni che il guardarsi attorno per chiedersi chi e cosa siamo, senza dover per forza vivere di competizione, ma che ci dev’essere posto anche per la riflessione e meditazione, non è affatto un male. E potrebbe finalmente “rilassarsi” un pochino. Sono tutte ipotesi, che però nel roboante mondo di Eva trovano difficile applicazione. Me li immagino da adulti. Ognuno potrebbe prendere la sua strada. Porteranno con sé qualcosa dell’altro? Visto quello che hanno passato, non mi meraviglierei se volessero dimenticare tutto. Forse Eva non è necessariamente un messaggio rivolto ai giovani (se lo avessi visto da adolescente mi avrebbe angosciato non poco), ma agli adulti? Nella buona e cattiva sorte, i giovani vanno sostenuti, incoraggiati, ascoltati, guidati, non bisogna farli sentire soli. Se il futuro è incerto, e le guide sono di pessimo esempio, tutto quello che può andare storto… andrà male sicuramente.
@@linkinmark83ok, ti assumo come pubblicitario del libro 🤣🤣🤣 Condivido praticamente tutto, e leggerai presto proprio queste riflessioni (anzi, spero che tu le stia già leggendo! 🤣)
@@mangasofiaLammoglia Ho iniziato con somma curiosità, credo che EVA sia un'opera che lascia molto spazio ai sentimenti del fruitore😉mi farò vivo finito il secondo capitolo 😄
@@mangasofiaLammoglia Giro con un pezzo di carta in tasca, ogni tanto quando mi viene in mente un pensiero tra i più disparati su Eva ce lo appunto su, è stata un’esperienza che andava fatta. Anni fa volevo approcciarmi a qualche opera portante dell’animazione orientale, ne vidi qualche puntata, ma non scattò il feeling, poi “ripiegai” su “L’Attacco dei giganti”… meglio così, è arrivata al momento giusto. Nel mio primo commento ho parlato di “salvare il mondo”. Certo, quello è lo scopo cui pensano di dover adempiere i ragazzi, ma sappiamo bene che i burattinai della Nerv puntano al “perfezionamento dell’uomo”. Cos’è questa idea? Arrivare all’Uno di Plotino? E chi sono loro per decidere qual è la strada giusta per l’umanità? Hanno chiesto il consenso a tutti? Poco fa ho assistito a uno spettacolo di musica e danze coreane. Intanto pensavo all’orchestra, che potremmo ricollegare al tema competizione/collaborazione. E’ un organico di “top player” del loro settore, e tutti insieme raggiungono vette di bellezza inaudite. Sacrificio, studio, applicazione, sfide personali, trovano il coronamento nel gruppo. Magari idealizzo un po' quel mondo, sicuramente ci saranno rivalità e situazioni non idilliache che non posso conoscere, ma voglio vederla nell’ottica dello spettacolo emozionante che tali organici regalano al pubblico. Ma riflettevo anche sulla bellezza delle varie culture, delle tradizioni, su queste persone che dall’oriente hanno portato qui uno spaccato del loro paese, ricevendo applausi e calore. E sentire parlare di amicizia e collaborazione tra popoli, ogni tanto, fa bene. Vogliamo quindi fondere tutto in una massa informe senz’arte né parte, unica, indivisibile, “superiore” (ma in cosa poi?) e tremendamente SOLA, lasciandoci alle spalle tutto questo? Lasciamo l’UNO lassù, dov’è giusto che stia, noi siamo quaggiù, e come dice Canuto in Vinland Saga si può cercare di costruire il Paradiso qui sulla Terra (vabbè qui sono quasi melodrammatico, zuccheroso ai limiti del diabete, me lo riconosco). La collaborazione e la (sana) competizione possono coesistere, portare al benessere collettivo, e non parlo solo in freddi termini numerici con concetti tipo PIL, ma un qualcosa di più. Chi sceglie la perfezione, sceglie il deserto.
Buonasera prof.! Mi piace questo argomento, stavolta posso dire cose concrete e pratiche. … e se competizione e collaborazione potessero convivere? C’è una remota possibilità che coesistano? Racconto la mia esperienza “recente”. Nel mio attuale posto di lavoro, arrivai con un bagaglio di esperienze variegate e tutte utili, anche le più brevi. Mi dicevo: se devo essere precario, almeno che ci sia un criterio logico nell’esserlo Mi presentai pertanto con conoscenze “ignorate” da chi faceva quel lavoro da anni e anni. L’aumento del carico di lavoro portò all’assunzione di tante giovani leve, che trovarono in me un supporto all’ingresso, salvo poi muovere i loro passi in breve tempo con ottimi risultati. In questo contesto trovai un giovane particolarmente promettente, e ci fu subito un’ “attrazione” reciproca. Lui mi “seguiva” come un maestro, ma in realtà come ambizione era già “oltre”, io “studiavo” lui, per capire da dove prendesse tutto quell’entusiasmo e sicurezza, di fronte a tutte le esperienze che aveva già affrontato, robe che alla sua età manco sapevo dove girarmi. Anche con un altro giovane collega si è creato un rapporto di collaborazione costruttiva: alla fine seppur con metodi, esperienze e caratteri diversi, confrontandoci perennemente ci siamo arricchiti a vicenda. Vedo questa situazione come quell’affascinante bilancino che usavano i farmacisti, dove anche il più piccolo peso può spostare dall’equilibrio perfetto. Può verificarsi, ma ammetto che è rara. In un clima del genere, un responsabile non deve “fare nulla”, basta assecondare l’armonia che si è creata tra i vari elementi. Nella maggior parte dei casi invece si deve gestire un gregge variegato e credo sia un compito difficilissimo, tra i vari caratteri e la pressione degli obiettivi da raggiungere. Queste “sfide costruttive” sono spesso raccontate nei nostri amati manga, ad esempio in “Record of Ragnarok” (sul quale potrei scrivere io un… opuscolo 🤭). Abbiamo duelli tra combattenti che nel corso della sfida imparano a conoscersi, attingere a risorse sconosciute, e infine rispettarsi e stimarsi. Quasi da diventare amici. Nella sfida con l’altro conosco LUI, ma anche e soprattutto ME STESSO, e in una sfida sana riesco a migliorarmi, e probabilmente a superare i miei limiti. Senza vedere più l’altro come un nemico da sconfiggere, ma quasi come se fosse un “compagno di percorso”. Chi si atteggia a “Dio che non può mai perdere”, è destinato a una gramo destino. Ho usato l’esempio fortunato del lavoro, ma non sempre è stato così. Una cosa l’ho capita, col crescere e l’acquisire consapevolezza di me, e del mio percorso. L’ALTRO può essere un esempio, uno stimolo, una figura dalla quale “rubare” i segreti del “successo” (mettiamo queste parole tra virgolette per non enfatizzarle troppo), ma non deve diventare un’ossessione! C’è solo una persona con la quale, che ci piaccia o meno, convivremo tutta la nostra vita… e solo una persona sulla quale possiamo lavorare, fare e disfare a nostro piacimento… soltanto noi stessi. Possiamo fare che “domani sarò una persona migliore di oggi”, che ne dite? Ma non è neanche obbligatorio, in fondo. Sono troppo importanti i primi anni di vita. Le figure genitoriali e gli insegnanti hanno il delicato compito di gestire il “bilancino” di cui parlavo prima, onere arduo ma neanche impossibile; dal canto mio io non rivesto nessuno di questo ruolo e credo potrei fare anche danni (ma all’opposto, della serie “battubelin di tutto e goditi la vita”). Nella zona da dove arrivo, un’azienda grossa (per fortuna) dà lavoro al territorio. I “ruoli” rivestiti lì dentro, spesso si proiettano anche nella vita di paese, lo trovo grottesco e mi trasmette un senso di vita stagnante: magari non serve ribadirlo, ma di fronte a ciò sono fuggito a gambe levate. Perché quella sfida, quel successo, non erano miei. Noi non siamo il nostro lavoro, un pezzo di carta appeso sul muro, una coppa, probabilmente se vogliamo cercare "chi siamo" lo possiamo trovare nel percorso che ha portato a quei “traguardi”, e siamo tanto altro ancora. Forse però lo si realizza solo con l’età, ma se ci si arriva, forse una inaspettata serenità è dietro l’angolo, e può fare da cuscinetto per il futuro.
Dei bambini si occupano le mamme perché le donne sono tendenzialmente afferenti più al profilo psicologico di chi si interessa alle persone più che alle cose, e viceversa nel caso degli uomini, e ciò sicuramente per una deformazione evoluzionistica imposta appunto dal fatto di essere le responsabili di una lunga gestazione della prole, prole che poi necessita di diversi anni di accudimento per divenire indipendente, mentre nel frattempo l'esemplare maschile sfrutta la propria superiorità fisica per, molto generalisticamente diciamo, intervenire nel mondo a vantaggio suo e del nucleo familiare (e sociale più avanti), nulla togliendo alla componente femminile che appunto diviene sempre più nel tempo (evoluzionisticamente continuando a supporre) detentrice del controllo sulle questioni emotive, private, relazionali del nucleo familiare. Uomo e donna sono diversi e necessariamente, ma altrettanto necessariamente si compenetrano completandosi (e allora noi maschi saremo anche "imbecilli" nell'ottanta percento dei casi dipendendo conseguentemente dalle donne, ma è altrettanto vero il contrario per molti altri aspetti, ossia che le donne sono buone a nulla, incapaci in un'altrettanto ottanta percento di loro casi senza il nostro aiuto. I movimenti politici di derivazione modernista di oggi mi fanno sbadigliare. A maggior ragione quando sono gli uomini stessi a sostenerli... Proseguendo nella (dolorosa) visione del tuo video, resto (purtroppo sempre meno) sbalordito dal vederti esporti con frasi del tipo "componente femminile non naturalmente portata ma socialmente addestrata a fare questo" riferendoti al lavoro di organizzazione della casa e della famiglia, prendendo come assunto aprioristico il fatto che la donna in sè sia stata oggetto di un complotto millenario che l'abbia relegata in una posizione atta semplicemente a sgravare l'uomo di certe incombenze. Andassero ad alzare ballini di cemento mi verrebbe da obiettare a questo punto, un po', me lo si passi, prosaicamente: non si prende in considerazione il caso dei lavori pesanti, o in ogni caso fisicamente usuranti, oltre che poco retribuiti in quanto poco specializzati, nei quali la componente lavorativa è a quasi totalità maschile? Lavori che poi costituiscono la maggior parte degli impieghi nell'economia globale. Attenzione a proseguire troppo con questo giochetto mentale del transfemminismo, perché poi le donne devono andare in cantiere a spaccarsi la schiena (meno robusta statisticamente di quella degli uomini) e i loro mariti a casa a guardare ed educare i bambini, con tutta la frustrazione del caso dovuta a un'inevitabilmente differente indole, livelli ormonali, modo di vedere il mondo... Oltre che conseguente inadeguata educazione dei figli probabilmente. Con il risultato che i bambini diventeranno adulti estremamente disfunzionali, e che non ci saranno più case solide dentro alle quali abitare, viste le condizioni dei cantieri.
@@Sam-bn7jk l’assunto evoluzionistico che esponi può anche essere una risposta sul perche questa disparità nei lavori di cura sia nata, ma da ciò non consegue affatto che debba rimanere così. E questo per molteplici motivi: 1) lo sviluppo tecnologico permette di alzare ballini di cemento (non in ogni caso, ma in molti) anche senza dover avere la necessaria forza fisica; 2) non tutti i maschi sono carpentieri, eppure molto pochi si occupano dei lavori di cura; 3) il lavoro extra casalingo è componente che, per vari motivi economico-sociali, occupa quasi in egual misura i due sessi, ma questo bilanciamento non si riscontra nel lavoro casalingo. Non vale per tutti, ovviamente, e la riflessione vorrebbe concentrarsi proprio sull’importanza di questo doveroso bilanciamento. Non dico che gli uomini dovrebbero caricarsi di tutto il lavoro di cura. Anche per le differenze che sostieni, che psicologicamente ci sono, la compenetrazione dei due aspetti costituisce un punto importante della funzione educativa (a patto, non scontato, di dare uguale dignità alle due figure). Questo non cresce affatto bambini disfunzionali ma consapevoli. La critica che muovi parte da un presupposto/pregiudizio (forse) errato dovuto ad un’immagine del femminismo (dovuta anche a certe derive femministe che tali non sono, tanto da essere criticate all’interno del movimento stesso) in cui ci sarebbe una sostituzione dei ruoli, mentre quello che si vuole cercare è una maggior integrazione e parità di diritti e dignità. In ultimo, ci sono molte femministe che riconoscono quello che tu dici: in occasione di lavori logoranti (che come detto al 2) non sono la totalità) è ovvio che ci sia uno squilibrio del lavoro di cura, sebbene si parta da un dialogo familiare che porta un riconoscimento della situazione. Consiglio, su questo, i temi e le discussioni di Francesca Bubba che si è esposta molto sul tema, ricevendo critiche assurde tanto da essere additata come nemica del femminismo, mentre mi pare che cerchi quanto più possibile di conciliare teoria e realtà.
Sinceramente non mi sembrano considerazioni che arricchiscono il dibattito di un nuovo punto di vista, anzi, alla fine è l'ennesima ricerca di stereotipi per additare alla disparità. Tutti fermi a trattare il tema del momento, il femminismo; come se si dovesse rendere uguali uomo e donna in ogni cosa. Su che base poi? Ma visto che si parla di famiglia l'attenzione andrebbe rivolta alla figura più debole, che non è non è la donna. Chiediamoci: cos'è meglio per i figli? Le risposte a questa domanda sono ciò che aiuterebbe a costruire una società migliore.
@@roby8169 il femminismo non punta a rendere uguali ma con uguali possibilità e diritti. Detto ciò, concordo con il tuo spunto finale. Parliamo di questo: cos’è meglio per i figli? Perché i padri sono “fragili” nella loro funzione famigliare? Cosa dovremmo/potremmo fare?
@@mangasofiaLammoglia conosco la definizione di femminismo, sostenere che i ruoli genitoriali siano immotivatamente stereotipati è un'affermazione superficiale, ogni giorno si vuole scovare un qualcosa da spacciare per discriminazione, questo non è femminismo. Vuoi un altro spunto interessante? Si parla solo delle mamme che scelgono di lavorare e di come agevolarle, nessuno però parla mai di quelle che invece vorrebbero essere solo mamme come una volta ma non possono farlo perché oggi uno stipendio non basta più. Di quelle donne non si parla mai, eppure a loro la possibilità di scelta è stata tolta.
Dato che il problema permane, non mi pare affatto superficiale. Se lo è per te, perché evidentemente sembra tu abbia una preparazione in tal senso, non significa lo sia per tutti. D’altra parte ti contraddici: non tutte scelgono di lavorare (come non lo scelgono gli uomini, del resto) ma siamo obbligati a farlo. Non è vero, infine, che si parla solo di mamme. Si parla tantissimo anche di padri, e del diritto che hanno a svolgere il ruolo genitoriale. Dare per scontato che ci siano solo donne che vogliono fare le madri senza considerare che questo desiderio possa venire anche agli uomini e accettare che possa essere così è uno dei motivi per cui anche un video superficiale o banale non lo è.
ciao, guarda sono parecchio in disaccordo con le idee espresse da quel fumetto. Faccio un esempio: il carico mentale. Allora da giovane ho lavorato al pass di una cucina di un birrificio che aveva 300 coperti e facevamo da mangiare alla carta. Il menù era ampio, avevamo primi, secondi, hamburger, affettati e così via... Il mio compito era quello di "leggere" le comande e di coordinare la cucina in modo che piatti diversi con tempi di cottura diversi uscissero assieme. giusto per chiarire dato che non premetto che tu abbia lavorato in una cucina, se arrivavano assieme 10 ordini, non è che ne si preparava uno alla volta. dovevo essere io a dare il tempo e i diversi ordini procedevano assieme in modo da essere "incastrati" e poter uscire nel minor tempo possibile senza accavallarsi. il servizio iniziava alle 20:00 e a seconda dei giorni finiva alle 24:00 o alle 01:00. Ora io so la difficoltà di incastrare tutte queste "cose da fare" che non sai quando arrivano, come arrivano e quanto ci metterai. Se però dovessi gestire una famiglia, credo che farei molta meno fatica, dato che magari con una buona agenda ho risolto il problema, senza considerare che molte cose sono ripetitive e prevedibili (la scuola dei figli è sempre quella così come le attività extrascolastiche, i mestieri posso calendarizzarli: lavatrice ogni lunedì e giovedì, stessa cosa con la spesa ecc...). Altro esempio, la storia di Emma. Innanzitutto mi offende il fatto che l'autrice pensi che io possa cazzeggiare al lavoro. Vedi, se io devo fare un fumetto posso "cazzeggiare" per poi spacciare il mio cazzeggio come momento di riflessione e di genesi creativa, se lavoro in catena di montaggio e devo fare 300 pezzi l'ora ovvero 2400/giorno non è che se faccio un'ora di straordinario (che magari è pure obbligatoria e che quindi non decido io) i pezzi che faccio quel giorno sono sempre 2400. saranno invece 2700 ( 300*9). quindi un'ora in più corrisponde a più lavoro, se poi l'autrice conosce qualcuno che cazzeggia sul posto di lavoro, la invito a segnalarlo ad datore di lavoro (non mi piacciono i lavativi). Tra l'altro questa storia mi fa pensare che sto povero cristo di marito (se veramente fa come descritto nella storia) sta talmente male a casa che piuttosto resta al lavoro (e di gente che ama stare al lavoro ne conosco pochissima, la stragrande maggioranza non vede l'ora di andare a casa) per poi scappare subito uscendo con gli amici. Narrazione che poi entra in conflitto con il "lavoro emozionale" che se come dice lei verrebbe svolto, magari sto marito a casa con una compagna che lo fa stare bene ci resterebbe. Voglio inoltre per fare un'altra riflessione su questo... lavoro emozionale. Se tu hai bisogno di svolgere un "Lavoro Emozionale" per essere sopportabile perchè altrimenti romperesti le scatole, faresti arrabbiare, offenderesti ecc... significa che magari non sei proprio una bella persona, altrimenti ti verrebbe naturale essere piacevole, non ti ci dovresti impegnare... (un po' come l'amico brillante che fa le battute divertenti, gli viene naturale non è che sta lavorando come comico). Ci potrebbe anche essere un'altra opzione, ovvero: questa ragazza sta vivendo in una relazione dove lui è abusante e in quel caso il suggerimento è scappa a gambe levate. Chiudo lasciano come da te richiesto una mia esperienza personale di discriminazione. a 27 anni sono stato molestato da una donna di mezza età (mano sul culo accompagnata da frase:" va qui che bel maschione") mentre parlavo con due mie conoscenti, le quali vista la scena, anziché capire che una violenza è una violenza anche se è un uomo a subirla e quindi quantomeno chiedermi se andava tutto bene, si sono messe a ridere. Perchè per qualche strano motivo una donna che abusa di un uomo non sembrerebbe essere una grave violenza (ricordo che stiamo parlando dell' art 609 bis. del codice penale) ma invece qualcosa di divertente... Per fortuna ho potuto chiedere aiuto ad un centro antiviolenza, giusto? No. Quelli sono solo per le donne, gli uomini si attaccano e tirano forte. E a chi pensa che sono pochi gli uomini che subiscono violenza, suggerisco di andare a vedere le statistiche sulla violenza sessuale verso gli uomini e confrontarle con il numero di donne (suggerisco quelle americane, in italia ci sono solo quelle sulle donne). Mi scuso se ho scritto un papiro, però forse è ora di capire che non tutto ciò che dice una femminista è buono, giusto o vero. grazie per avermi letto, ti auguro tante belle cose.
@@mattiabonfanti5147 mi prendo un po’ di tempo per rileggerti e ti rispondo. Per ora, grazie mille per la tua condivisione!
@@mattiabonfanti5147 ciao! Secondo me hai esposto dei punti molto interessanti su cui discutere. Parto dalla fine: sono sicuro che anche gli uomini subiscano violenza, ed è interessante e significativo ciò che hai segnalato. La domanda è: perché gli altri hanno riso? Perché è difficile pensare che anche le donne usino violenza? Credo che anche questo faccia parte del portato narrativo culturale che ha costruito questa situazione. Sul lavoro emozionale ho interpretato in modo diverso: non credo che lei debba farsi piacere, quanto piuttosto che sia educata a mettere a proprio agio. Invece di sbottare o di sottolineare l’ offensività di alcuni commenti/atteggiamenti li si accetta. Non è una cosa solo femminile, al lavoro lo facciamo quasi tutti, in particolare con i clienti. Le donne hanno più probabilità di farlo anche fuori. Sulla questione del lavoro ho riportato perché mi sembrava interessante, ma lei parla della situazione francese che non conosco. Per quello che riguarda noi, è abbastanza vero che è esistito (adesso meno, ma credo che sia semplicemente cambiato) il topos del bar dopo il lavoro. Non è un problema in sé, se non per ciò che concerne il lavoro di cura, appunto. Infine, hai ragione! Noi non siamo imbecilli. Siamo capacissimi di gestire una famiglia. Eppure deleghiamo. La barzelletta base dell’italiano medio è dov’è x? Chiedilo alla mamma. Che ne dici? Grazie per il confronto (e per i toni, che sono sempre molto apprezzati!)
L’aneddoto dell’asilo è un utile punto di partenza. Ancora prima che sulla tematica del video, mi viene da riflettere sull’apparente “banalità” del quotidiano, che ad un più attento esame nasconde infinite complessità. E’ curioso realizzare quanta routine viviamo senza mai approfondirla, senza accorgerci delle “regole” che la guidano, senza notare quel “qualcosa che non va”, a meno che non sia palesemente evidente. Oppure, qualora succeda, ci si ferma… e ci si riflette su…? Mah, difficile, più probabilmente si fa finta di niente, si scrollano le spalle e via, nel tourbillon di cose da fare. Quando dicevo che “la filosofia ferma l’attimo”, intendevo anche questo. Vivere una situazione e avere al contempo la capacità di saperla leggere, dote rara e di sicuro non agevolata dalla frenesia del portare a termine la giornata senza grandi intoppi. Io credo spietatamente che la quotidianità uccida tutto, ma io sono poca cosa, pertanto citerò due frasi che spiegano un po' meglio la mia riflessione sul video. Forse parto da lontano, ma per me sono le premesse fondanti i ragionamenti che porto avanti da anni. Tra le citazioni di True Detective che hanno lasciato il segno, una di queste è “Alcuni antropologi linguistici pensano che la religione sia un virus del linguaggio che riscrive percorsi nel cervello e offusca il pensiero razionale”. Non voglio qui parlare di religione, non è l’argomento del video (anche se non è del tutto estranea alla problematica), ora lo applicherei più generalmente al “chiacchiericcio quotidiano”, nei vari gruppi sociali che si frequentano (penso alle “domande scomode” alle quali spesso le donne sono sottoposte, tanto per fare un esempio). In aggiunta, sempre tanto tempo fa, negli approfondimenti stimolati dagli spunti forniti da Carmelo Bene al Costanzo Show, mi imbattei in un articolo del quale riporto un pezzo che mi colpì: “On n’échappe pas de la machine, diceva Gilles Deleuze pensando alla pervasività delle parole d’ordine che compongono il linguaggio sociale. Tutto alimenta la ricorsività rituale”. Questa riflessione era un attacco agli scontati convenevoli preconfezionati da utilizzare in determinate circostanze, ed anche questa si può tranquillamente applicare al quotidiano. Concludendo l’estenuante preambolo, e tornando per un attimo a Montaigne, mi vengono in mente i concetti di “abitudine” e “credenza” che sto approfondendo di recente con Hume. Il nostro vivere quotidiano non è una “imposizione divina”, ma “funziona così”. Giorni, settimane, mesi, anni, decenni di ripetitività di meccaniche, che diventano una “legge non scritta”. L’ABITUDINE è la GUIDA, e il LINGUAGGIO il suo VERBO. Messa così, sembra quasi una sentenza inoppugnabile. Può andare bene finché si parla del sole che sorge tutti i giorni o della gravità, ma se abbiamo una sensibilità, se ci accorgiamo che queste “leggi” non scritte rassicurano alcuni esseri viventi ma ne tormentano altri, e condizionano non poco il loro cammino, e la loro felicità, “abbiamo un problema”. C’è un malumore, un disagio, si deve affrontare. I valori Etici rimangono, ma la morale e le consuetudini possono variare nel tempo. Certamente, in merito alla domanda “se pensate alla vostra situazione vedete replicate queste meccaniche?”, beh rispondo sì. Venendo da una realtà piccola di provincia, tutti questi schemi sociali/comportamentali sembrano scolpiti nella pietra. Non potendo vincerli, sono fuggito in cerca di lidi migliori. Nella realtà cittadina, per quanto possa valere la mia piccolissima esperienza, ho trovato più apertura mentale. Tra i colleghi giovani, mi sembra di intravedere maturità e sensibilità sulle tematiche del rispetto reciproco. Tornando alla necessità di “correggere” le regole del gioco, come si può affrontare il problema? Prima soluzione brutale. Il tempo scorre, il vecchio “sparisce” e il nuovo “avanza”. Se ne parla, se ne dibatte, si tiene acceso il fuoco, in attesa che il tempo faccia il suo lavoro. Ma mi sembra un po' perfido da dire, e il miglioramento non aspetta “tempi migliori”, lo si cerca nel presente. Si può dunque lavorare sulle nuove generazioni. Qualcuno dirà “i ruoli sociali distinti sono un punto di riferimento, sono necessari per lo sviluppo armonioso della collettività”? Oppure “La famiglia è sacrosanta, è uno dei valori che regge la società”? Sarà anche così, conosco però con certezza quanto è difficile essere inquadrati in un ruolo che non si sente proprio, o come se non ci fosse alternativa al seguire un copione già scritto. La società è restia al cambiamento? Nessuno vuole “fare crollare tutto”, semplicemente sì propone l’ “alternativa”, un ragionamento che parte dalla “regola” (che, ricordiamolo, non è una legge scritta da nessuna parte) per mostrarne i punti deboli, ed aprire all’ “eccezione”, e fare capire che forse poi eccezione non è. Se si rispetta sé stessi e il mondo, ognuno dovrebbe poter provare a seguire il proprio percorso. Le mie non sono idee molto chiare, del resto se è impresa ardua reinventare sé stessi, figuriamoci cambiare la mentalità della società, ma con le nuove generazioni il discorso è fattibile. Certamente le persone hanno bisogno di certezze, di “punti di riferimento”… prendiamo i “gruppi sociali”, con le più disparate esigenze, chi reclama un valore, chi un altro, mettiamoci il mondo dei talk, l’influenza politica, religiosa, shakeriamo nella società odierna e otterremo… il caos? Forse basterebbe semplicemente ricordare che uno dei pochi valori immortali è il RISPETTO dell’altro, a prescindere dalle sue caratteristiche caratteriali e “accessorie”; la società dovrebbe poter garantire l’“eclettismo” delle persone, così da poter seguire le proprie inclinazioni senza il giudizio altrui… sembrano idee che arrivano dall’Iperuranio, ma sarebbe naturale applicarle! PS: mi sembra di aver scritto una supercazzola 🤔
@@linkinmark83 se è una super cazzola, è scritta benissimo! 🤣 Grazie come sempre del prezioso contributo. Ora lo medito un po’!
@@mangasofiaLammoglia Probabilmente è “la montagna che ha partorito il topolino”, un pastiche che attinge un po' dalla filosofia che ho assaggiato e lontanissimi ricordi di sociologia, l’unica materia umanistica (ahimè!!!) affrontata sui banchi universitari… c’entra fino a un certo punto con la tematica del video, forse mi riferisco più ai diritti “in generale”… mi rendo anche conto che predico tanto bene, ma non sono esente da colpe e probabilmente anch’io “non scappo dalla macchina” Anche se penso che abbozzare un “buon ragionamento”, seppur per la prima volta, e su argomenti mai riflettuti o solo sfiorati superficialmente, a seguito di uno “stimolo intelligente” (che, ribadisco, non trovo spesso nel quotidiano, e di cui avverto bisogno), sia un buon allenamento per migliorare l’etica personale💪
@@linkinmark83 ragionare su azioni possibili, con ampio anticipo, è un buon modo di allenarsi alla pratica, salvo poi avere il “sangue freddo” di ricordare i propri ragionamenti cercando di discostarsi dall’opportunismo egoista del momento.
@@mangasofiaLammoglia Mi viene in mente il Nobile Ottuplice Sentiero buddhista: dietro ogni cosa che facciamo dev’esserci una retta intenzione, un retto pensiero, e tradursi in una retta azione… ci vuole coerenza, e coraggio, nel quotidiano, ad esporsi. Ad esempio, un caso “concreto” che non ho citato prima, sono le classiche domande “scomode” poste, ad esempio, alle coppie, credo non sia neanche necessario riportarle. O anche le “pressioni sociali” per conseguire quei traguardi che per molti sono (sembrano?) obbligati, ma non per tutti forse, no? Difficile arrivare a capire che ogni persona, ma anche ogni coppia, ha delle meccaniche interne difficilmente sondabili? Eh no, bisogna trovare il modo di menarlo (e qui abbandono il linguaggio ricercato). Quando mi riferivo al parlare come un veicolo dell’abitudine, per me si traduce soprattutto in quelle domande fastidiose e invadenti, che vengono poste con leggerezza e superficialità. Credo che ci siano tematiche legate al proprio intimo, sia individuale che di coppia tanto per allargare il discorso. Il grado di confidenza dovrebbe aiutare a porgersi in modo prudente e discreto, quello che infastidisce è quando certe “intromissioni” arrivano da persone che hanno una scarsa conoscenza del soggetto al quale fanno la domanda. Nel corso del tempo con l’ironia, il nonsense oppure il rispondere… con una domanda, io ho imparato a gestire la situazione, ma riconosco che in soggetti più sensibili possano generare fastidio e una sorta di “violazione” del proprio intimo…
C’è un travalicamento del pubblico nel privato che è imbarazzante. In parte ne siamo artefici mettendoci in vetrina, in parte c’è sempre meno sensibilità, una maggior superficialità che porta inevitabilmente a ferire.
Buonasera prof.! La base per ragionare su questo tema mi giunge dalla Francia, più di 400 anni fa… SAGGI - CAPITOLO XXIII - Della consuetudine e del non cambiar facilmente una legge acquisita ... Infatti la consuetudine è in verità una maestra di scuola prepotente e traditrice. Ci mette addosso a poco a poco, senza parere, il piede della sua autorità; ma da questo dolce ed umile inizio, rafforzato e ben piantato che l’ha con l’aiuto del tempo, ci rivela in breve un volto furioso e tirannico, di fronte al quale non abbiamo più neppure la libertà di alzare gli occhi. La vediamo forzare ad ogni istante le regole di natura. ..... Le leggi della coscienza, che noi diciamo nascere dalla natura, nascono dalla consuetudine: ciascuno, infatti, venerando intimamente le opinioni e gli usi approvati e acquisiti intorno a lui, non può disfarsene senza rimorso né conformarvisi senza soddisfazione. In passato, quando gli abitanti di Creta volevano maledire qualcuno, pregavano gli dèi di assoggettarlo a qualche cattiva abitudine. Ma il principale effetto della sua potenza è che essa ci afferra e ci domina in modo che a malapena possiamo riaverci dalla sua stretta e rientrare in noi stessi per discorrere e ragionare dei suoi comandi. In verità, poiché li succhiamo col latte fin dalla nascita e il volto del mondo si presenta siffatto al nostro primo sguardo, sembra che siamo nati a condizione di seguire quel cammino. E le idee comuni che vediamo aver credito intorno a noi e che ci sono infuse nell’anima dal seme dei nostri padri, sembra siano quelle generali e naturali. Per cui accade che quello che è fuori dei cardini della consuetudine, lo si giudica fuori dei cardini della ragione: Dio sa quanto irragionevolmente, per lo più. Se, come abbiamo imparato a fare noi che ci studiamo, ognuno che ode una sentenza giusta guardasse subito in che modo essa lo concerne espressamente, troverebbe che non è tanto un buon detto, quanto un buon colpo di frusta all’abituale stoltezza del suo ragionare. Ma si accolgono gli ammonimenti della verità e i suoi precetti come se fossero rivolti agli altri, e mai a noi stessi; e invece di applicarli ai propri costumi, ognuno li mette a dormire nella propria memoria, molto scioccamente e inutilmente. ..... Chi vorrà liberarsi da questo acerrimo pregiudizio della consuetudine troverà molte cose ammesse con sicurezza scevra di dubbio, che non hanno altro sostegno che la barba bianca e le rughe dell’uso che le accompagna; ma, strappata questa maschera, riconducendo le cose alla verità e alla ragione, sentirà il suo giudizio come tutto sconvolto, e tuttavia rimesso in ben più saldo assetto. Per esempio, gli domanderò allora che cosa può esserci di più strano che il vedere un popolo obbligato a seguire delle leggi che non ha mai compreso, sottoposto in tutte le sue faccende familiari, matrimoni, donazioni, testamenti, vendite e acquisti, a regole che non può sapere perché non sono scritte né pubblicate nella sua lingua, e delle quali deve per necessità comprare l’interpretazione e l’uso.
Buonasera Prof! Tematica nuova per me, non ci ho mai ragionato sopra… potevo scegliere di stare zitto, tuttavia vedrò di buttare giù qualche idea, sperando di non andare troppo fuori tema. Intanto si può ragionare su cosa sia l’Arte… e già qui trovare una definizione che la categorizzi mi riesce difficile. Forse non è altro che un modo di comunicare, uno dei vari mezzi per esprimere il sé, nei confronti dell’altro. Probabilmente è un modo di interagire “non necessario”. Mi spiego meglio. Il parlare, ma in fondo anche la semplice gestualità, il vestirsi, insomma l’atto di “presentarsi” all’altro, è comunicare. Non vivendo in un’isola deserta, questo è inevitabile. L’arte è un modo di comunicare in aggiunta ai metodi “canonici”: non tutti evidentemente sentono il bisogno di esprimerlo (anche se un pizzico di fantasia e creatività, una qualche velleità “artistica”, penso accarezzi chiunque). Di sicuro coinvolge tutti, che interessi o meno. Può non esserci arte dentro di te, o magari non sei in grado di esprimerla, ma ne sei circondato. Basta anche solo passeggiare nel luogo dove abitiamo, guardandoci attorno. O accendere una radio. Definirla non è facile, categorizzarla forse un po' più agevole, giudicarla… superfluo? Quante volte sentiamo dire “puah, questa non è arte”. Ha suscitato una reazione, ha comunicato a modo suo, quindi ha fatto comunque centro? All’artista interessa piacere per forza a tutti, o suscitare un’emozione, generare un confronto, fare discutere? Per allenarmi un po' con i concetti cardine della materia, coinvolgo in questa incerta riflessione l’empirismo, spero non del tutto a sproposito, non me ne vogliate. Sui banchi ci insegnano cosa è l’arte, come va studiata, quali sono gli artisti più importanti, i loro “tratti caratteristici”, insomma ci vengono inculcate delle “idee generali e condivise”, chiamiamole così, per darci una base di partenza. Poi, “sul campo”, quando ci troviamo di fronte all’opera, l’esperienza che viviamo può andare oltre quello che ci è stato insegnato. Possiamo trovare conferme, scoprire nuove interpretazioni, innamorarci o detestare ciò che stiamo vedendo (anche se l’esperienza non può non essere un po' “filtrata” da quanto conosciamo già). Il procedimento può essere letto anche al contrario. E forse è quello che avviene più spesso, anche perché non tutti studiano arte a scuola, seguono trasmissioni a tema o frequentano regolarmente mostre/musei. Come detto giustamente nel video, spesso in un museo, per il “visitatore della domenica”, quale ad esempio mi sento io, c’è una scorpacciata di opere tale da stordire. Alla fine della visita è difficile ricordare la maggior parte dei dettagli, c’è la sensazione di avere visto dei “bellissimi quadri con paesaggi realistici e colori vivi” o delle “sculture imponenti con dettagli curatissimi”, ma resta poco altro. Da qui l’esperienza può portare alla voglia di approfondire, di studiare un determinato artista, o anche solo di capire il perché si esprimeva in quel modo. Dall’esperienza allo studio, quindi. Mi domando: che l’Arte sia una “realtà” tra le più libere in assoluto? Nel momento in cui tu la definisci con “confini immaginari”, la limiti? Penso, tanto per fare un esempio, alla musica. Alcuni gruppi vengono associati ad un genere o sottogenere ben specifico, e se provano a sperimentare qualcosa di diverso generano stupore e, sovente, dissapori tra i fan. Perché dovrebbero ripetersi? L’etichetta semplifica la vita, ma allo stesso tempo può risultare limitante. E l’abitudine “disabituare” al nuovo, al diverso, al cambiamento, alla sperimentazione. L’Arte, quindi, può insegnarci ad allargare gli orizzonti, a cambiare prospettiva, a metterci nei panni dell’altro. A volte l’Arte può andare oltre il suo creatore. Soprattutto il messaggio. Uno realizza un prodotto con uno scopo, vivendo un particolare stato d’animo, in un determinato periodo storico, e nel corso del tempo il prodotto può divenire oggetto di studio e chi si approccia può fornire nuove interpretazioni, infinite chiavi di lettura, trovare simbolismi (riflessione nata entrando nel mondo di “Neon Genesis Evangelion” ). L’Arte ci comunica tutto o qualcosa dell’altro, ma ci fa indagare anche dentro noi stessi. Rivedere “Donnie Darko” a 20 anni di distanza mi ha portato a nuove riflessioni, ho il doppio degli anni rispetto alla prima visione e faccio ragionamenti diversi, la mia esperienza di vita accumulata dopo la prima volta ha cambiato la gradazione delle lenti degli occhiali con i quali leggo la realtà (e me stesso). “V per Vendetta” visto da ragazzino è un gran film “figo”, che parla del ribellarsi al sistema, da adulto lo raffronti alla realtà, e ti fa un certo effetto vederne replicati alcuni meccanismi. L’Arte ci racconta la storia. O fa la storia? Porta all’oggi immagini del passato, testimonia il presente, e anticipa il futuro. Ma visto che tutto scorre, quindi… trascende il tempo!!! L’Arte è anche follia, imprevedibilità, scherzo. Sa non prendersi sul serio. Estremizzo un po'… tiro una riga su una tela, due tre botte di pennello qua e là, gli affibbio un titolo pomposo o criptico, e se mi gira bene sfruttando i social tra qualche anno decine di critici si accapiglieranno per cogliere un’essenza (che magari non c’è), e muoverà €€€ a palate… per poi concludere che era tutto un bluff. Come sarebbe il Mondo senza l’Arte? Immagino solo ordine, rigore, grigiore, freddezza… c’è quindi bisogno di una miccia che inneschi il Caos, nel senso buono, che tiri fuori da noi tutto ciò che non sia solo ragione e logica. Secondo me ha il pregio di rendere lo “svago” utile, e potenzialmente istruttivo e quindi costruttivo. E’ variegata e multiforme, ce n’è in abbondanza per tutti i gusti. Concludendo, l’Arte ben si accompagna alle infinite sfaccettature dell’Uomo e alla mille pieghe delle sua Storia. PS: anche saper lavorare bene, o vivere serenamente, a volte vengono definiti “arte”… ma preferisco associarla all’ambito della creatività. PS2: anche questo canale è una piccola forma d’arte… l’arte del conversare e ragionare insieme
@@linkinmark83 Grazie mille! Ci sono tantissime riflessioni interessanti. Questa volta non ti rispondo puntualmente ma ti invito ad una caccia al tesoro nel canale: ci sono alcuni video sull’arte e altri sulla bellezza, che raccontano un po’ di cosine rispetto a quello che dici. Se questo canale è una piccola forma d’arte, è grazie a chi ne fruisce come te. Come hai detto, l’arte è comunicazione, e non può esistere senza qualcuno che la condivida. Quindi, una volta di più, grazie!
@linkinmark83 ci tenevo a ringraziarti per i bellissimi doni. Lo faccio sotto questo video perché ormai ti sento uno della ciurma, ed è stato bellissimo poter condividere con te un pezzo meraviglioso della tua vacanza. Grazie di cuore!❤
Nel condividere una bella esperienza c'è un surplus di piacere e gratificazione 😊
@@linkinmark83 mi hai davvero sorpreso ed emozionato. Ed è stato un piacere incontrarti dal vivo!
@@mangasofiaLammoglia Grazie grazie troppo buono! A questo punto, aggiungo due riflessioni alla luce dell’incontro di venerdì. Per una volta ho potuto sentire parlare dal vivo due categorie di “esemplari” tanto bistrattati dalla società, figure mai realmente approfondite e troppo spesso coinvolte in dibattiti “diseducativi”, fondati solo su stereotipi e banalità. Parlo di insegnanti e adolescenti. Contro i primi, anche in questi giorni su alcuni social, leggo tante aggressioni da parte di altre categorie di lavoratori, che poi si riducono ad un grottesco dibattito sulla lunghezza delle “vacanze estive”. Non si va da nessuna parte così, chiariamolo subito. E’ una “guerra tra poveri”. Il rispetto reciproco tra le varie “figure professionali” sarebbe un buon punto di partenza per un vivere il mondo del lavoro in modo più armonioso: insegnanti, lavoratori della sanità, forze dell’ordine, impiegati degli uffici, operai, liberi professionisti… A volte leggo post talmente assurdi che penso che ci siano profili fasulli che scrivano apposta belinate per gettare benzina sul fuoco. Una pochezza che mette tristezza: piuttosto si dovrebbe ragionare sulla qualità del servizio offerto, e se queste figure hanno i mezzi per poter svolgere adeguatamente il loro delicato compito. E anche una volta che hanno i mezzi e le qualità per tirare fuori il potenziale degli alunni, a quale società vanno incontro i giovani una volta terminato il percorso sui banchi? E qui passo agli studenti. Anche loro sono rappresentati nei modi più curiosi, solitamente quasi mai positivi, da ciò che sono i mezzi di… di….. di……. non ce la faccio a dirlo, ma dovrebbe essere “informazione” la parola incriminata. Sentire confessare le proprie paure, anzi principalmente una, ovvero ammettere di avere dei sogni, delle aspirazioni, ma con il timore che non ci sia un futuro per realizzarli, è spiazzante. A tutti quelli che criticano e sparlano della “gioventù”, chiediamoci, abbiamo mai parlato con un adolescente? Forse la crescita disfunzionale della nostra società accentua le differenze e le incomprensioni tra le varie generazioni, ma il "buon senso" è un valore senza tempo: vediamo di usarlo. Non sono titolato per parlare, e certamente ho un’età per affrontare le difficoltà con un certo bagaglio di esperienze, eppure dico lo stesso la mia suggerendo di non farsi “fregare” dalle paure che vi vogliono instillare. La paura serve per crescere, certo, e trovo quasi “sano” che venga da dentro di sé, di fronte agli anni a venire, alla propria storia da scrivere. Ma ricordiamoci che la paura è anche un ottimo strumento di controllo delle masse. Ritengo ci siano una paura “sana”, e una paura “artificiale”. Questi giovani hanno tanti mezzi rispetto a generazioni passate ma anche tante (nuove e diverse) fragilità. Alle famiglie e agli insegnanti spetta sicuramente il compito più delicato di accompagnarli in questo percorso, rassicurandoli sulla naturalezza delle loro paure intime, e tutelandoli dalle pressioni e dalla perfidia del mondo esterno, che a me pare dia loro più bastone che carota (quando parleremo del Discorso di Étienne ne avremo da dire…). E per ultimo, tutto il contesto comunitario dovrebbe smetterla di farsi la guerra e prepararsi ad accogliere queste nuove leve permettendo loro di continuare a coltivare e mostrare i loro talenti, senza avvelenarli con stupide rivalità e gare su chi è più schiacciato “dalla macchina”, o chi ottiene il massimo con il minimo sforzo, frustrazioni e amenità varie. Facciamo bene ognuno il nostro compito, rispettiamo l’ “altro”. Rispondiamo al veleno con la serenità.
@@linkinmark83 Grazie! È proprio uno dei temi principali della chiacchierata di venerdì. E spero con tutto il cuore, tradotto nel lavoro educativo, che i ragazzi e le ragazze trovino la forza e il coraggio di affrontare questa sfida.
@@linkinmark83 p.s. in questo video th-cam.com/video/scf0wcNg5mM/w-d-xo.htmlsi=_NSDBq4_jzN3zrue che é un po’ lunghetto, al minuto 27 circa parliamo proprio della paura sana.
Bentornato Prof!!!!! Abbiamo già assaggiato questa tematica tante volte, parlando di corpo&mente, maschere, aspettative, pressioni e privilegi: mi sembra l’ora di giungere ad una svolta, arrivando, una volta per tutte, alla Verità. … scherzavo, ovviamente aggiungerò solo altre domande, facendo tesoro dei confronti avvenuti in precedenza, e di quanto sto leggendo. “Nessuna qualità ci riveste totalmente e universalmente” (cit. MdM) Chi siamo? Come descriverci? O forse è più facile dire cosa NON siamo? Ragionavo in questi giorni sui rapporti con gli altri. Pochi sono sinceri, autentici, resistono al tempo, alle pressioni, ai cambiamenti, alle differenze. Tanti invece si logorano, si sfilacciano, si perde trasporto. Fino a che punto è una colpa? Perché siamo cambiati noi? Perché sono cambiati gli altri? Perché il rapporto è nato in un momento contingente, e nel trascorrere del tempo il mutare della situazione ha spento il “trasporto” emotivo, facendo venire meno le basi che lo hanno generato? Perché non è facile gestire bene il tempo che si ha a disposizione? Forse un mix di tutto. Chi siamo, quindi, agli occhi degli “altri”? Chi ci “conosce” realmente? Belle domande… ma torniamo al “noi stessi”, che è già di per sé ben complicato affrontare. Una quindicina di anni fa si accesero in me delle riflessioni importanti, e per fortuna ne ho lasciato traccia scritta. Così posso confrontarmi. E quello che commento oggi su questo canale, è un’altra testimonianza ed occasione di confronto con il “me” del futuro. Chi ero prima dell’accensione di quel “sacro fuoco”? Molto severo con me stesso, oggi rispondo “poca cosa” (un “dormiente”, come penserebbe Eraclito, già che si parla di fuoco 😆). Riscontro un’indole, in quelle parole, che non è mai cambiata più di tanto. E’ cambiato il contesto, decisamente in meglio. E’ cambiata la realtà che vivo, le persone che mi circondano. Non è cambiato l’approccio alla vita, meditato e sempre alla ricerca dello scavare in tutte le situazioni per cavarne l’essenza. Questo è l’eterno confronto tra Essere e Divenire: forse c’è una sfumatura di noi, una bozza, come uno schizzo su un foglio, un gusto, un profumo, una sagoma colorata che nella nebbia si riesce a intravedere in linea di massima, ma mai in modo nitido. Un IO percettibile e sfuggevole, allo stesso tempo. Siamo fatti di mattoncini Lego: può essere che ogni giorno siamo una costruzione diversa? Quanti e quali mattoncini c’erano nello scatolone che ci hanno fornito alla partenza? Quanti ne abbiamo aggiunti? Quanti ne abbiamo buttati? Quanti ne hanno aggiunto gli altri, o ce ne hanno portato via? Le gioie, i traumi, le realtà che viviamo (famiglia, lavoro, religione, passatempi) ci influenzano. O direttamente, o in riflesso/reazione ad esse. Un buon contesto di partenza dovrebbe aiutare a procedere bene nel cammino della vita, ma comunque, “che vada tutto liscio”, non è scontato. Sappiamo complicarci la vita da soli. Guardando invece a situazioni negative, magari una famiglia eccessivamente pressante può rendere il figlio represso e infelice (o l’esatto opposto), un partner totalizzante causare l’allontanamento da altre persone positive, un lavoro che logora portare all’esaurimento e al crollo del benessere psicofisico, ecc… Ci sono poi le ambizioni, ma anche le paure, che tirano fuori in noi reazioni totalmente diverse. Anche solo una domanda di un esterno può suscitare una conseguenza emotiva non solo nell’immediato, ma anche cambiare il modo di pensare. Bloccandoci, o magari stimolandoci a reagire? “Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là. Il timore, il desiderio, la speranza, ci lanciano verso l'avvenire, e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è, per intrattenerci su ciò che sarà, quando appunto noi non saremo più” (cit. sempre lui, MdM) Abbiamo mai scelto CHI essere? … liberamente? Forse possiamo trovare noi stessi nella solitudine? Ammetto che l’ho spesso pensato: forse lì c’è l’IO più autentico? Beh, probabilmente, non è così. L’unico vantaggio della situazione è il poter riflettere “a bocce ferme”, quello sì. Leggersi dentro, senza interferenze esterne. Ma senza l’interazione con “il mondo”, verrebbe a mancare una considerevole parte di personalità. Chissà, forse tutti questi pensieri, letti dall’ “uomo della strada” (ricorriamo un po' a questo stereotipo, per agevolarci il compito), possono spaventare, generare la vertigine. Pascal dice che “Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, per essere felici hanno scelto di non pensarci”. Chi è riflessivo, introspettivo e tutte queste “brutte cose” qua, è un equilibrista nella vita. Il NON riflettere mi porta tristezza, e la mefitica quotidianità, unita al “pensare comune” del più e del meno, è la più acerrima nemica, per chi ha questa indole. Credo che la Filosofia possa aiutare a tenere un po' più saldo il filo, a camminare con un pizzico in più di sicurezza. Ma poi, in fondo, chi dice che ciò non può valere anche per gli altri? Non siamo nella testa di chi ci sta attorno, e non possiamo sapere quando e quanto facciano introspezione. Definire gli altri “superficiali”, è probabilmente un grande errore di presunzione, che non si dovrebbe commettere. Una cosa è certa: il dubbio mi piace. Non mi spaventa. Demolire certezze non mi destabilizza, anzi. Mi fa sentire vivo, e affamato. E, contrariamente a quanto si può pensare, mi dà una certa serenità d’animo. Prendere i nostri “idola”, buttarli giù dal trono, per ergere al loro posto una curiosità perenne. Forse è per contrastare questo atteggiamento che ci riempiono di concetti IDENTITARI: la nazionalità, la fede, il partito politico, la squadra di calcio, il luogo di origine, ideologie varie&eventuali: non è che sono “stampelle” che il “sistema/società” ci fornisce (impone?) per reggerci nel precario equilibrio della vita? O per distoglierci dalla ricerca interiore, e dallo sviluppo del tanto agognato “pensiero critico”? Togliamoci di dosso questi “orpelli”. Cosa resta? Giocando a fare il Socrate dè noantri, concludo questo caotico vagabondaggio di riflessioni… con una domanda, l’ennesima, e giuro, l’ultima: CONOSCEREMO MAI NOI STESSI? PS: ho scoperto per vie traverse la teoria delle Big Five, di McCrae e Costa… interessante 😉
Grazie di esserci sempre con riflessioni e spunti arricchenti. Credo non potremmo mai conoscerci, anche perché dovremmo poter vedere la cicogna ma, come dice Blixen, essa compare solo al termine della notte. Non possiamo conoscere la nostra vita fino al momento della morte dove, probabilmente, non conosceremmo affatto. È interessante la dinamica dei mattoncini lego, poiché richiama il dilemma della nave di Teseo: se cambia ogni pezzo di me, resto me stesso perché mantengo la stessa forma (diciamo il codice del DNA)? Il punto che più mi preme, però, è quello delle amicizie. Anche io ne ho perse molte negli anni. Ci ritrovavamo in una bar a fare due chiacchiere e, più la relazione si allentava, maggiore era il numero di birre bevute: il vuoto relazionale veniva colmato dal consumo fino allo spegnersi completamente degli incontri. Credo che cambino molte cose: le persone, ma anche la relazione stessa. Vengono meno gli interessi che ci univano, probabilmente perché sono riviste le priorità. Cambiano le esperienze di vita, che sono spesso la partenza della condivisione, tanto che si rivangano sempre "i bei tempi" o i "ti ricordi quando"? Ma questi discorsi funzionano solo se alimentati da esperienze nuove condivise o condivisibili. Al contempo, però, sono nate nuove amicizie. Né migliori né peggiori: diverse. P.S.: cos'è la teoria dei Big Five?
@@mangasofiaLammoglia E' una spiegazione "scientifica" che prova a delineare cinque macroaree della personalità... Ma ce n'è un'altra, di tale Cattell, che ne delinea 16... cito: "sono i tratti più significativi in grado di spiegare la maggior parte della varianza della personalità negli adulti normali"... mi piace quel "normali" alla fine
molto interessante come sempre
Gentile come sempre 🫶🏻
Questo mi mancava!!! Grazie
Buonasera Prof! Credo che i fattori in gioco siano principalmente tre. In primis metto la curiosità personale, un’attitudine senza la quale la discussione non può nemmeno iniziare. Non so se è innata, se può svegliarsi nel tempo, sicuramente se c’è può affievolirsi (fino a spegnersi?). Nel mio caso, determinante è stato lo spostamento dal piccolo centro di provincia alla grande città. Ma tornerò su questo concetto al terzo punto. Secondo fattore metterei il tempo. Dirò cose scontate, ma non tutti riescono ad avere lo stesso tempo libero, non tutti hanno un lavoro che può garantire alla fine della giornata una “freschezza mentale” tale da poter approfondire cose nuove alla sera, e non è detto che pur avendone molto a disposizione, lo si spenda sempre bene. Non mi dilungo, almeno qui la faccio breve. Terzo fattore, non meno importante, anzi, il contesto in cui si vive. Come dicevo prima, il trasferimento nella città ha solleticato in me una curiosità che prima era solo latente. Dopo gli studi, anni di precariato mi hanno messo di fronte a diverse sfide che consistevano nell’imparare un mestiere in poco tempo così da rendermi utile il più possibile… ed è proprio quando questo girovagare in diverse realtà lavorative è finalmente cessato, ho avvertito il bisogno di mettermi alla prova con qualcosa di nuovo. Da zero. Mi mancavano nuove sfide. “Adesso sei a posto, chi te lo fa fare?” mi dicevano. Avevo lo stimolo di tornare su quanto studiato all’università, ma oramai in quel mondo ho dato tutto; mi incuriosiva la storia, o il riscoprire una lingua… poi è arrivata la Filosofia, ed è andata bene così. Ma il contesto è tiepido in questo senso. Ho concluso un pensiero. Non positivo, ma tant’è. A volte vedo i vari contesti che si frequentano (più o meno volontariamente, dalla famiglia al lavoro, per intenderci) come un “blob” che cerca di avvolgerti, e far sì che le tue qualità possano apportare qualcosa di utile al contesto. Nel momento in cui tu approfondisci una “skill” che non ha nessuna utilità a quel gruppo sociale (per quanto possa essere nobile), esso metterà in piedi i meccanismi per far sì di disincentivarti ad andare avanti. Con disinteresse, demotivazione, derisione ecc. ecc. Io ad esempio vorrei poter leggere un libro in santa pace, senza essere interrotto. Non è come affrontare manga o fumetti, con i quali ho dimestichezza assoluta, e comunque ho letto poco in vita mia, quindi non mi è esercizio facilissimo. Non vedo poi nei vari contesti la voglia di approfondire chissà che di profondo e intelligente, non a caso approfitto di questo spazio (e del corso di filosofia attiva che frequento, che però, sono ben consapevole non è LA Filosofia) per allenarmi un po' ad oliare le rotelle. Nel mezzo del cammin della mia vita, avverto la ricerca di un “qualcosa di più”. Anche poco, pochissimo, ogni giorno, ma sento di averne bisogno. Perché ne traggo piacere. Difendo per tanto con le unghie e con i denti, da chicchessia, ciò che mi appassiona e rasserena. Perché il segreto è riuscire a “sedersi sugli allori” come stato emotivo (cioè avere una serenità di fondo, cosa difficilissima peraltro) senza però farlo "attivamente", senza mai perdere voglia di imparare qualcosa di nuovo, approfondire, confrontarsi, mettersi in gioco, e possibilmente con persone di età diverse, perché da tutti e da tutto c’è da imparare. Vedrei in extremis altri fattori in campo: approccio generale che incentiva a migliorarsi economicamente più che culturalmente, o quantomeno lo studio ti serve principalmente per il lavoro e poco altro; informazione che non ritengo affidabile che crea - di proposito - confusione e disordine, ed aggiungo ignoranza… può bastare? Mi viene in mente il titolo del film di Totò “Chi si ferma è perduto”… ma chi smette di pensare, forse, non esiste neanche più.
@@linkinmark83 Grazie per questi spunti. Sopratutto per i tre fattori che nel video sono un po’ sottovalutati. Mi sembra di tornare alla bellissima introduzione di quel corso di filosofia che è “Il mondo di Sofia”, quando si parla della pelliccia del coniglio. Con l’attenzione che, a volte (o forse spesso) abbandonarsi alla quotidianità non è una scelta. Grazie davvero!
@@mangasofiaLammoglia “Abbandonarsi alla quotidianità” è il punto focale della questione. Non è necessariamente una colpa, a volte la vita è un flusso che trascina, il tempo scorre e non c’è la possibilità di accorgersene… qui solo la consapevolezza può dare una scossa, e subito dopo serve la volontà, per combattere e difendere quell’angolo di vera libertà che possiamo concederci. Mi vengono in mente le parole di Valerie di V per Vendetta, anche se qui le utilizzo in un contesto diverso: “tranne quell’ultimo centimetro… un centimetro… è piccolo, ed è fragile, ma è l’unica cosa al mondo che valga la pena di avere. Non dobbiamo mai perderlo, o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino…” Interpretiamole come se fosse un invito a mantenere acceso l’animo dello “studente” che può essere in noi, ma non con l’atteggiamento delle scuole dell’obbligo, dove non tutto può piacere e qualcosa lo si fa forzatamente; non con lo spirito universitario, dove si impara per poi ritagliarsi un buon posto nel mondo del lavoro; non con la realtà dei corsi professionali, che si fanno per accrescere le skills e migliorare la propria posizione; facciamolo una volta tanto per NOI stessi. Diranno: non ci porterà niente in tasca. E ALLORA? La miglior difesa alle osservazioni inopportune di questo tipo, è rispondere con domande. Mostratemi queste “tavole della legge” dove sta scritto che finita l’università io non possa più imparare niente. Confermatemi che solo ciò che porta soldi in tasca è utile. Dimostratemi che la vita è fatta di tappe obbligate che si devono fare e basta, e ogni cosa è a suo tempo, e una volta finiti gli studi “non voglio più aprire un libro in vita mia”. “Perché gli altri fanno così”, “Alla tua età dovresti pensare a…”. Questi precetti chi li ha decisi? Perché imparare cose nuove dovrebbe essere un pericolo, o visto come un fastidio? C’è solo la distrazione, come ricompensa del dovere? Le ferie a ferragosto? Il programmino in tv la sera che ti fa vedere posti del mondo dove realizzi che non potrai andare mai per tutta una serie di motivi, però è come ci fossi andato guardandolo? Osservare, imparare, conoscere, se non è tutto, poco ci manca. Lo si può fare con un libro, con delle lezioni online, il top sarebbe viaggiando, ma basta anche solo guardarsi attorno, solo se con la mente ben accesa. Oggi sarei un ottimo studente. Metterei l’impegno totale, senza però puntare al massimo del risultato, anzi, sarei solo contento di aggiungere cose nuove al mio bagaglio, e al diavolo il voto. A volte è anche questione di tempistiche, di eventi che stimolano curiosità, che incentivano il “risveglio”… le tappe della vita sembrano fissate, ma ognuno ci arriva " a modo suo", e non sempre è pronto al momento giusto. Concludendo, non bisogna ascoltare le vocine petulanti che ti bisbigliano “ma chi te lo fa fare… rilassati”. Per dormire c’è la notte.
Mi torna in mente questo video, e voglio riportare qui le parole prese dai Saggi di Montaigne, per dedicarle a tutti gli "addetti ai lavori" della materia, compresi gli appassionati È molto strano che al nostro tempo le cose siano giunte al punto che la filosofia è, anche per le persone d’ingegno, un nome vano e fantastico, che non serve a nulla e non ha alcun pregio, sia in teoria sia in pratica. Credo che ne siano causa quei cavilli che hanno invaso i suoi accessi. Si ha gran torto a descriverla inaccessibile ai fanciulli, e con un viso arcigno, accigliato e terribile. Chi me l’ha camuffata sotto questa maschera, esangue e ripugnante? Non c’è nulla di più gaio, di più vivace, di più giocondo e, direi quasi, burlone. Essa non predica che festa e buon tempo. Una cera triste e sconsolata dimostra che non è qui la sua dimora. Il grammatico Demetrio, incontrando nel tempio di Delfi una compagnia di filosofi seduti insieme, disse loro: «O mi sbaglio, o a vedervi in atteggiamento così calmo e gaio, non state discutendo fra voi». Al che uno di essi, Eracleone di Megara, rispose: «Spetta a quelli che cercano se il futuro del verbo βάλλω ha la doppia λ, o a quelli che cercano la derivazione dei comparativi χεῖρον e βέλτιον, e dei superlativi χείριστον e βέλτιστον, di aggrottar la fronte quando discutono della loro scienza. Ma quanto ai ragionamenti della filosofia, son soliti rallegrare e allietare quelli che li trattano, non irritarli e rattristarli». Deprendas animi tormenta latentis in ægro Corpore, deprendas et gaudia: sumit utrumque Inde habitum facies (Si può scorgere il tormento dell'animo nascosto in un corpo malato e così pure la gioia: il volto riflette ambedue questi stati.) L’anima che alberga la filosofia deve, con la sua sanità, render sano anche il corpo. Deve far risplendere anche al di fuori la sua tranquillità e il suo benessere; deve dare la sua impronta al portamento esteriore e guarnirlo quindi di un’amabile fierezza, di un’aria attiva e allegra e di un contegno soddisfatto e bonario. Il segno più caratteristico della saggezza è un giubilo costante; la sua condizione è come quella delle cose che sono al di sopra della luna: sempre serena. Sono “Barroco” e “Baralipton” che rendono i loro sostenitori così impastoiati e fumosi, non lei: quelli non la conoscono che per sentito dire. Come? Essa conta di rasserenare le tempeste dell’anima, e di insegnare a ridersi della fame e delle febbri; non con qualche epiciclo immaginario, ma con argomenti naturali e palpabili. Ha per fine la virtù, che non è, come dice la scuola, piantata sulla cima di un monte scosceso, dirupato e inaccessibile. Quelli che l’hanno avvicinata la ritengono, al contrario, situata in una bella pianura fertile e fiorente, da cui essa vede, sì, tutte le cose ben al di sotto di sé, ma dove chi ne sa la direzione può arrivare per strade ombrose, erbose e dolcemente fiorite, agevolmente e per un pendio facile e liscio, come quello delle volte celesti. Per non aver praticato questa virtù suprema, bella, trionfante, amorosa, dilettevole e al tempo stesso coraggiosa, nemica dichiarata e irreconciliabile di amarezza, dispiacere, apprensione e oppressione, avente per guida la natura, e fortuna e voluttà per compagne, essi sono andati, seguendo la loro debolezza, ad inventar quella sciocca immagine, triste, litigiosa, corrucciata, minacciosa, arcigna, e a collocarla sopra una roccia, in disparte, fra i rovi: fantasma per spaventare la gente. […]
@@linkinmark83 Grazie mille!!!!
Buonasera Prof.! Di recente ho visitato un’importante città italiana, famosa, come la sua terra, per le bellezze storiche dovute al passaggio di varie culture. Accanto ad indiscutibili gioielli che mi hanno lasciato senza parole, ho riscontrato degrado, difficoltà, povertà, insomma una vacanza dai risvolti dolceamari. Ho cercato di ragionare sul perché di tale rovina, sicuramente non un fenomeno occasionale, ma consolidato negli anni, non necessariamente colpa degli autoctoni, ma probabilmente indice di una cattiva gestione politica del territorio. Ho pensato, come in quella triste metafora, che gli abitanti, una volta entrati nel tunnel, anziché cercare di avanzare e vedere una via d’uscita, abbiano deciso di arredarlo. Tornato nella mia città, mi sono guardato attorno con occhi un po' diversi, ma fino a un certo punto, dal momento che ne sono sempre piacevolmente assuefatto e so coglierne la bellezza ogni giorno (anche Nietzsche si trovò bene qui, ma ne parleremo un’altra volta). E, nel mio infimo piccolo, cerco sempre di rispettarla, difenderla e portarla a vanto. Cosa intendiamo per PRIVILEGIO? Ancora prima di dare una risposta “materiale”, ne fornisco una più riflessiva ed intima. Io credo, guardandomi attorno, che difficilmente ci si fermi a riflettere sulla nostra condizione. Tralasciando che siamo nella regione del “mugugno”, in generale difficilmente sento le persone definirsi soddisfatte, appagate, o riconoscere le proprie “fortune” in pubblico. Spesso, quando ribadisco che “non mi manca niente”, riscontro stupore. Può essere che viviamo in una società materialistica? Personalmente, nel momento in cui ho iniziato a prendere per mano le redini della mia vita, lì è iniziata la mia “fortuna”. Da quel momento ho affrontato tutto con maggiore serenità. Penso che cercare di migliorarsi, economicamente (ci sta) e “spiritualmente”, sia una cosa buona (soprattutto la seconda). Purché non diventi un’ossessione cieca e furiosa, alzare l’asticella della propria condizione è una caratteristica dell’umano, e non possiamo neutralizzarla. Il problema è che forse ci si incammina nel percorso senza avere ragionato sui “punti fermi” da cui si parte. Come iniziare un viaggio senza pianificarlo, o pensare al bagaglio. Va bene avere un’ambizione, lecito, comprensibile, però sono consapevole delle cose buone che ho già? Cosicché qualora il mio tragitto non porti dove ho voluto, possa almeno tornare al rifugio di partenza? Credo che nel crescere, il confronto con l’altro spesso ci porti a considerare chi sta meglio e a ignorare chi sta peggio, ma non credo sia così scontato, magari l’empatia ce l’hanno più persone di quanto si creda, ricordiamoci sempre delle maschere che si utilizzano in pubblico, magari mostrarsi sensibili può essere visto come un segno di debolezza. Forse l’ “altro” più sfortunato, che sia malato, povero, o generalmente una persona di “insuccesso”, ci ricorda quello che NON vorremmo essere, e ci voltiamo dall’altra parte per non iniziare a rimuginarsi su. Montaigne nei Saggi ammette onestamente che visitare i malati lo “imparanoiava” (termine non tecnico ma tanto per capirci), si immedesimava così tanto che si sentiva pure lui gli stessi sintomi del paziente visitato. E finiva per stare peggio. Avere una famiglia che cresce bene e supporta, fedeli amicizie, un lavoro stabile, risparmi da parte, la salute… essere VIVI!!! Da cosa partire per valutare cos’è un privilegio? Lo studio e il viaggio, uniti alla sensibilità personale, possono aiutare a vedere il mondo con occhi più profondi. La Filosofia, secondo me, ci dà un'arma in più. E’ una materia che ti permette, per una frazione di secondo, di “fermare l’attimo”, e riflettere sulla situazione. Quante volte ci stiamo rendendo conto di stare bene? Ragioniamo sui nostri meccanismi dello stare bene, possiamo farcela, usiamo il cervello che ci è stato donato (funzionante, un gran bel privilegio☺) E ascoltiamoci. Un sano esame di coscienza può portare alle giuste risposte. Una volta consapevoli di ciò, credo che la via giusta sia usare bene ciò di cui disponiamo. Se si ha una considerevole “fortuna”, materiale e morale, sono quasi sicuro che ci sia la giusta sensibilità anche nel cercare di condividerle con gli altri. Mi verrebbe poi un piccolo ragionamento conclusivo sul “senso di colpa”, che una fortuna “immeritata” può portare. Non credo ci sia niente di male nel goderne, purché non sia stata raggiunta con metodi scorretti, e a danno di qualcuno. Concludo con Pascal, che ci ricorda che: “Con poco ci si consola, perché di poco ci si affligge”
@@linkinmark83 quanti spunti! Sul degrado delle città e l’abitarle, c’è il bellissimo frammento de “I cento passi” che analizzo qui: Bellezza e politica th-cam.com/video/D1DoDmixKlo/w-d-xo.html Per il resto, è bellissima la concezione secondo cui la filosofia ferma l’attimo. E la condivido appieno. Infine, sulla questione privilegi, sarebbe bello che il goderne fosse altresì stimolo per condividere, allargare i diritti e le possibilità a chi queste non le ha.
@@mangasofiaLammoglia 1) Mi riferivo proprio alla terra di Peppino Impastato: quanta bellezza, il passato ci parla, basterebbe alzare lo sguardo e sentire l’orgoglio ribollire nelle vene… ma questa è retorica, la realtà è ben diversa. Ho avuto modo di parlare con diversi autoctoni: trattandosi di gente molto ospitale e socievole, scambiare due parole è facile. Pur discutendo del “più e del meno”, sembrava quasi volessero spostare il discorso sulle criticità della loro terra, quasi per “dissociarsi”, e scusarsi con l’ospite. Non devono farsi alcuna colpa secondo me, penso che invertire la rotta si possa sempre, ma serve tanto lavoro, tantissimo, più la strada intrapresa è lontana dalla via maestra. Mi vengono in mente i concetti di “karma individuale” e “karma collettivo”, che si influenzano a vicenda… sono i cittadini a formare la comunità, ma allo stesso tempo le organizzazioni che la dirigono devono essere all’altezza per avviare e guidare il cambiamento. A volte penso che dove c’è l’uomo ci sarà sempre meraviglia e miseria, forse è insito in noi. Nel nostro incessante avanzare, chi rimane indietro è sempre più distante. E resta perduto, forse? Riconosco che nella mia stessa città, vivendo in centro, mi prendo quasi tutto il meglio che possa offrire. Parlando con chi abita in quartieri “periferici”, emergono tante magagne da mettersi le mani nei capelli… però penso anche alla riqualificazione di zone un tempo inospitali, che oggi sono un gioiello da vivere, per abitanti e turisti. Ci vorrebbe la stessa attenzione per tutti i quartieri, il centro è spesso visto come il biglietto da visita, ma non basta! In questi dibattiti, trovo forte l’influenza dell’ideologia partitica. Un po' come in altre tematiche l’imprinting religioso fa il suo. Si potrà mai riuscire ad essere lucidamente pienamente obiettivi? A lavorare per il bene di un luogo, di una comunità, senza tifoserie? Non ci credo granché. Io ad esempio sono un gran bastian contrario, di fronte a un simbolo partitico, divento come il toro quando vede il rosso. Insomma, partiamo già male. Per fortuna non sono io il prof 😉 2) Poiché questa materia fornisce, tra le tante cose, un’attenta analisi dei tempi che corrono, perché non possiamo applicarla al nostro quotidiano? Ogni materia è cultura, e tutte assieme ci forniscono anche una “cassetta degli attrezzi” utile per il vivere… Riuscire, pertanto, ad acquisire una profondità di pensiero che ci possa aiutare a capire i nostri stati d’animo, a bearci dei momenti buoni, e a sostenerci nei momenti difficili, e a rasserenarci nel capire che (se…) possiamo passarli e ce li lasceremo alle spalle: è un qualcosa su cui voglio provare a lavorare. 3) In realtà la mia visione è più disincantata di quanto ho scritto, ma in fin dei conti cos’è l’altruismo? Si può manifestare con diverse azioni: una parola o un gesto di conforto, coltivare sani rapporti umani, fare volontariato, impegnarsi nel civile; ci sono molteplici modi per avvicinarsi al prossimo… Chissà quante persone fanno beneficenza con discrezione e silenzio… (e chissà quanta falsità invece c’è dietro a chi sbandiera il bene fatto). Se poi parliamo di povertà, degrado, diritti violati ecc. ecc., la questione si fa un po' più ampia, il singolo può fino a un certo punto, allora coinvolgiamo la società nel complesso e le istituzioni politiche… ma su questo ho già espresso il mio disincanto al punto 1)
@@linkinmark83 ti capisco, e condivido tutto. Ma dobbiamo resistere al disincanto e, anche se ci sembra di non far nulla, continuare imperterriti ad essere, quantomeno, fari di speranza. Per tutte le situazioni che hai lucidamente descritto. Sono quadri dolci e amari, che possiamo provare a recuperare e ricostruire, comunitariamente.
@@linkinmark83 è sempre la mia speranza. Buttare un semino, una goccia, che possa aiutare a riempire questo mare in secca.
"il mio punto di vista non è assoluto" andrebbe insegnato a scuola. il dogmatismo è uno dei più grandi mali del mondo, assieme all'intolleranza che ne deriva
@@giorgiaoodjrjdjdjfj8368 bisognerebbe quanto meno aiutare a comprendere l’esistenza di prospettive diverse.
Il glicine è una pianta bellissima, profumata, dall’aspetto gentile, rigoglioso e vivace. Parte da un rametto quasi insignificante, poi piano piano cresce e ha una forza tale che con le sue radici può piegare l’acciaio, e spaccare muri. Insomma, se si mette d’impegno riesce ad essere una “cattiva bestiaccia”. Questo preambolo botanico introduce un aspetto della volontà umana. Una determinazione lenta, ma costante, regolare ed efficace. In cui un po' mi riconosco. C’è chi è disposto ad aspettare e lavorare piano per raggiungere un obiettivo; c’è chi vuole tutto e subito, correndo rischi, e buttando il cuore oltre l’ostacolo; c’è chi avanza a passi sicuri, chi incerti, chi un passo avanti e uno indietro; ognuno ha la sua indole, il suo bagaglio di esperienze, la sua educazione, i suoi slanci di fierezza e le sue timidezze… magari l’obiettivo può essere IL MEDESIMO, ma infiniti sono i modi e gli atteggiamenti per raggiungerlo. E da dove arriva l’obiettivo? Ce lo ha chiesto qualcuno? E’ totalmente nostro? E’ nato dentro di noi come desiderio spontaneo, o per riscattarci nei confronti di qualcuno? E’ alla nostra portata? E’ utopistico? Quante variabili in gioco!!! E forse è bello così, no? Basta che ognuno “trovi il suo modo” (… e qui mi veniva la battuta su Hodor, ma fingerò di essere una persona seria). Però, tra noi e l’ “altro”, c’è un qualcosa che si forma, potrei dire si insinua, fin da subito, che è l’OPINIONE. Che può essere data un po' dai nostri principi “innati” (inculcati dalla famiglia, dall’insegnamento, dai valori della nostra società), e tanto dalla nostra esperienza. Magari già dai primi gesti una persona può ricordarci qualche atteggiamento di un amico, e quindi potremmo prenderla in simpatia, così come da una rispostaccia o da un modo brusco, ci può trasmettere un senso di antipatia. Ci sono poi i livelli di conoscenza, che ingigantiscono l’opinione rendendola grossolana e talvolta imprecisa (quando il rapporto è superficiale), mentre sicuramente siamo più equilibrati e misurati nei confronti di una persona a noi vicina, conoscendola meglio. Montaigne ci dice che da lontano una cosa sembra molto più grande di quanto sia in realtà vista da vicino… E’ possibile NON farsi un’opinione? La vedo difficile… e quante probabilità abbiamo di azzeccarla subito? Pensiamo all’esempio dei Pokemon. Magari una persona può ricevere più motivazioni essendo spronata energicamente, piuttosto che con la pacatezza e la “morbidezza”. Io, ad esempio, non sarei mai un leader “aggressivo”. Ma non mi sento neanche leader. Se non di me stesso, ma in passato neanche troppo. Insomma, tiro per la mia strada. Cosa possono pensare gli altri di questa indole??? Ci sarà anche una questione di “istinto animalesco”, nel profondo del nostro DNA, che ci fa “schierare”, o quantomeno farci un’idea su tutti quelli che incontriamo, per capire quali sono i più affini a noi, con cui "costruire" qualcosa. Pertanto, non avere un’opinione mi sembra difficile. E non averla, significa comunque ESPRIMERE un disinteresse, che in fondo è un giudizio. Essendo di per sé una cosa naturale, e istintiva, potremmo provare a mitigarla con l'empatia, la misura, prendendosi tempo per valutare, per costruire un rapporto, ma questo vale a livello teorico, non possiamo certo conoscere tutti al 101%... allora facciamo così, che l’opinione non si trasformi in PREGIUDIZIO, lì sì che sarebbe più critico uscirne, e comprometterebbe rapporti che possono ancora sbocciare. Questo ragionamento mi fa pensare a una cosa, con cui concluderei il mio intervento. Quante volte si parla di “temere il giudizio altrui”? Ma ci pensiamo che per gli altri quell’ “altrui” siamo noi? PS: il ragionamento sul pregiudizio mi è partito pensando al capitolo del Suo libro su AoT 😉 PS2: a volte non condivido quello che scrivo, il mio Saint preferito era Luxor, quello che credeva solo nei lupi… devo preoccuparmi 🤣
@@linkinmark83 🫶🏻❤️🫶🏻😂
Buonasera Prof.! Ho scoperto di recente la collana “I Grani” della Farina Editore. Si tratta di volumetti sottili e all’apparenza leggeri, ma dal contenuto concentrato, essenziale e illuminante, alla portata di tutti ma assolutamente attenente alla Materia, anche perché contestualizza il pensiero del filosofo nel periodo storico di corrispondenza. Mi ha anche fatto scoprire la figura di Flavio Claudio Giuliano “l’Apostata”, tra l’altro. Prima di quest’ultimo, ho letto proprio “Vita Scettica”, dedicato a Pirrone. Da quanto ho capito, lo scopo dell’epochè non è tanto il non prendere mai una posizione, ma valutare attentamente tutti i fattori in gioco, non facendosi prendere subito dall’emotività che possono portare i sensi; una sorta di serenità d’animo dovuta al “non schierarsi mai in maniera rigida e dogmatica”. So di non sapere la verità al 100%, quindi è inutile “scaldarmi” per difenderla con la spada sguainata. Insomma, la filosofia dei talk show italiani Le scuole elleniste mi hanno regalato tante soddisfazioni. Ho anche scoperto le figure dei “gimnosofisti”, trovo interessante questo incontro tra Grecia e India durante la spedizione di Alessandro Magno, mi sono sempre chiesto se ci fosse stato mai un contatto tra i “due mondi” e ho avuto la risposta che cercavo!
@@linkinmark83 sono stato un po’ veloce, ma è proprio il non essere dogmatici il punto dell’epoché, di cui parlerò presto in un video! I gimnosofisti dovrei proprio approfondirli anche io!
@@mangasofiaLammoglia Queste video-pillole sono utili per sintetizzare le parole chiave della Materia, ed associarle alle scuole di riferimento; per chi è nuovo in questo mondo aiutano ad “andare dritto al punto”, attorno al quale si può e si deve approfondire con il pensiero più vasto. Ma intanto sono un buon stimolo di partenza. Se posso dire la mia, cercando di trarre un insegnamento per vivere meglio il quotidiano, credo che una parola che accomuna le quattro scuole elleniste sia DISTACCO. Dall’esagerazione nei modi di essere, dalle paure, dall’esaltazione, dalla rigidità del pensare ed esprimersi, ma anche dai beni materiali. Tuttavia, farei anche una precisazione. Penso che se chiedessimo in giro se la parola “distacco” assume un significato positivo o negativo, probabilmente la seconda opzione prevarrebbe. Allora, in questo caso, preferisco tramutarla in “MISURA”, in “giusta distanza”. Mi sembra più equilibrata. Del resto non vedo molto praticabile… vivere seminudi in una botte, seguire sempre “la virtù” senza mai sbagliare, non esprimersi mai e non provare a difendere una nostra opinione, non avere un po' di paura di fronte a uno spauracchio e non esaltarsi di fronte a un successo; queste grande menti ci invitano a ricordarci qual è la nostra strada, a fare attenzione a non discostarci troppo, a non perderci nel cammino… su questo possiamo lavorarci 😉
@@linkinmark83 è una questione storica, o geopolitica: dopo il declino della polis, le persone passarono da essere cittadini (con più o meno diritti) a sudditi macedoni. Questo comportò la venuta meno della vita activa (per dirlo con Arendt), ossia della partecipazione politica. La politica era centrale come pienezza esistenziale (vedi Platone e Aristotele). Per far fronte a questa mancanza, si dovette ricercare una nuova felicità fatta non di pienezza ma di “misura” come l’hai chiamata: di piaceri semplici e sostenibili. Potremmo dire una vita tranquilla, da cui il distacco che, in termine tecnico, è l’atarassia, cioè l’assenza di ogni possibile turbamento, termine che pervade direttamente o indirettamente tutte le scuole ellenistiche.
@@mangasofiaLammoglia Esatto, questo aspetto oramai mi è chiaro! Ho cercato anche di recuperare un po' di storia della civiltà greca, troppo lontani i ricordi scolastici Alla fine la Filosofia è un termometro dei tempi che attraversa. La società stimola domande diverse e ci si riflette su… tempi buoni portano a esplorare il contesto e a guardare in alto e a sognare, … in tempi grami si "vola più basso" e si ragiona su come cercare di stare bene/meglio… semplificando al massimo. Ad esempio di recente ho visto come due rivoluzioni, dalle modalità ed esiti diversi, abbiano influenzato il pensiero di Hobbes e Locke… sto facendo anche un viaggio nella Storia. Mi mancava questa bella sensazione!
@@linkinmark83 la bellezza della filosofia è anche questa: da un lato è lo specchio dei tempi, per cui per comprenderla appieno bisogna prestare un pochino di attenzione al contesto storico; dall’altro, la buona filosofia, è capace di offrire riflessioni che superano il loro tempo e permettono ad ogni persona di riflettere sul suo proprio tempo.
Buonasera Prof, “purtroppo per lei” questa è una riflessione che ho fatto fresca fresca in questi giorni. Mi sono trovato in una particolare situazione lavorativa, dall’esito (per me) incerto, ma per chiunque mi conoscesse, sicuramente positivo (avevano ragione loro). Nell’attesa, mi sono un po' guardato dentro e ho ripensato al mio percorso lavorativo (leggere Montaigne ha questa controindicazione ). Non avrei mai pensato che le difficoltà caratteriali che ho vissuto nel percorso universitario (un peccato, ma ho toccato con mano i miei limiti, e ho costruito da zero il legame con la città cui oramai appartengo) NON le affrontassi nel mondo del lavoro, anzi! Di fronte all’ordinaria precarietà (un decennio di tempi determinati, tante volte al posto giusto, ma nel momento sbagliato), ho trovato sempre motivazioni, voglia di fare bene, sfida più con me stesso che con gli altri. Ho lasciato ovunque un buon ricordo ed oggi, attorno a me, si è costruita l’immagine di un lavoratore (quasi) perfetto, una macchina da lavoro precisa, efficiente e ai limiti dell’infallibilità. In questi giorni di attesa e riflessione, anziché al bagaglio di cose positive, ho pensato ai limiti di questi anni, ai possibili passi falsi, a qualcosa di “negativo”… insomma a fare un po' di sana autocritica. Ho concluso che alla fine non mi sento "semi-perfetto" come vengo etichettato, è semplicemente un’idea che si sono fatti di me, certamente supportata dall’indole equilibrata e dalla voglia e curiosità di imparare e fare bene, dal saper condividere e aiutare "l'ultimo arrivato" (avendo io vissuto tante volte questa situazione, è un modo per onorare e ringraziare i tanti tutor avuti), ma sicuramente sono “sopravvalutato”. … e, pensando anche alle etichette appiccicate in passato (nella vita stagnante nel piccolo borgo di provincia si “categorizza” molto), mi sono reso conto di quante lacune denotino questi “universali”, alla banalità di questi significanti con limitato, poco o nullo significato, a quante sfumature di una personalità perdono per strada. Quindi, di buono, le etichette, hanno davvero poco. Come un like a un intervento ben fatto. Semplice, efficace, immediato. Ma sapresti argomentare il perché di quel like (e in questo io esagero 🤣)? La semplificazione applicata a una professionalità, o ancora peggio a un modo di essere/vivere, lascia il tempo che trova. Può svilire la figura, e se la combiniamo con le aspettative, può diventare un peso da sostenere, magari controvoglia, una trappola. Per non essere troppo critici, potremmo dire che più si avvicina alle caratteristiche della persona, meno "danni" fa... ma se con il tempo la persona muta, o l'etichetta si ingigantisce, allora può essere pericoloso togliersela di dosso. L'OPINIONE E' UN AVVERSARIO POTENTE, ARDITO E SENZA MISURA (cit.) Posso fare un pensiero provocatorio e un po' malvagio? Pensi ad avere l’etichetta di “bravo ragazzo, figlio modello, ecc. ecc.”, e decidere di truffare tutti. Tanti ci cascherebbero come polli. E probabilmente neanche di fronte all’evidenza, ammetterebbero la fregatura (caso estremo, la storia che ha ispirato il libro e il film francesi "L'avversario"). Quindi concludo con una diversa interpretazione all’idea di etichetta, di dubbia etica, e come dicono in tv “non fatelo a casa”... e se fosse un’arma da usare a nostro vantaggio???
È uno dei capisaldi delle truffe. “Prova a prendermi” o “The Wolf of Wall Street” si basano proprio sul costruire pregiudizi positivi per poter sfruttare questa nomea ed attuare le truffe.
Comunque, scrivimi su Instagram perché io voglio sapere chi sei e poter dialogare con te! 🤣
@@mangasofiaLammoglia ... o anche mostrare il bel faccino d'angelo di Patrick Bateman
@@mangasofiaLammoglia Non ho né Facebook né Instagram, facciamo Linkedin?
@@linkinmark83 mamma mia quanto è vero!
Mi sento di cambiare un po' questa storica frase, suggerendo un’alternativa: “Il Potere AMPLIFICA” Un’espressione che dice tutto e il contrario di tutto… Vediamola dal lato di “chi ce l’ha”. Hai qualità buone? Hai l’occasione per metterle in pratica e guidare bene il tuo popolo, e perché no, migliorarlo. Hai un’indole aggressiva, perfida, vendicativa, paranoica? Allora povero chi si trova sotto di te… Certamente il potere amplifica le tue caratteristiche caratteriali, dando loro libero sfogo, ma per quanto tu sia in alto, pensiamo anche a quanto “subisci”: le pressioni di chi il potere te lo ha concesso, l’influenza (disinteressata?) di chi ti circonda (non vorrai mica comandare da solo senza consiglieri?), la diplomazia necessaria per confrontarti con le altre fonti di potere… tante mani tirano la tua giacca, ed è dura da gestire. Logorante, forse? E per “chi non ce l’ha?”. Non voglio usare la parola “subire”, che non mi piace. Rimaniamo nell’esempio familiare, o scolastico. Un “potere illuminato” può aiutare a crescere un buon figlio, un buon studente, quindi un buon cittadino… viceversa, si possono produrre danni incalcolabili. Quindi si amplificano le conseguenze su chi “sta sotto”: una buona guida ti può portare in alto, una pessima ti può fare sprofondare. Ma in fondo anche un “pessimo potere” può portare al risveglio della tua coscienza, alla consapevolezza dei tuoi diritti, alla scoperta delle tue energie e alla voglia di lottare per ciò che è giusto… Concludo con una domanda provocatoria: il “buon potere” è un concetto “utilitaristico”? Il “buon padre di famiglia” che crea buoni cittadini, quasi un gregge mansueto: non mi piace l’idea di addomesticare gli umani. Ma del resto il POTERE è anche un ottimo mezzo per l'ORDINE...
Concordo su quasi tutto, tranne due cose: 1) la persona buona rischia di essere corrotta (non necessariamente, ma è una possibilità) dal potere. Non per indole, ma per circostanze. A causa delle persone che stanno intorno. I casi storici di progressisti fagocitati dal conservatorismo del potere è enorme. 2) il potere è ordine. Senza se e senza ma. Il potere necessita di una forza coercitiva: senza questo, manca lo strumento che renda efficace il potere. E questo è estremamente problematico (da cui, l’abuso di potere).
@@mangasofiaLammoglia Concordo con le osservazioni! Che il potere possa corrompere è una delle possibilità: magari quando si è mal consigliati, o più semplicemente il deragliamento parte dentro di sé, quando in un angolino remoto della personalità germoglia pericolosa la gemma dell’ambizione! Ma anche quando subentra la sensazione di essere un “deux ex machina” (Light Yagami ci stai ascoltando?), cioè il non ascoltare più i buoni consigli e autoconvincersi di essere l’unico che può salvare tutti! E per quanto riguarda il connubio Potere-Ordine, effettivamente non so se sia mai esistita qualche società che si autoregola da sola; magari qualche antropologo potrebbe dirci la sua. Mi vengono in mente le laboriose api, ma lì probabilmente è più una manifestazione “meccanicistica” della natura… e comunque c'è una Regina da "servire" 🐝
@@linkinmark83 hai mai letto “La favola delle Api” di Mandeville?
@@mangasofiaLammoglia Non lo conosco, la mia ignoranza letteraria rasenta l'analfabetismo! Però in compenso ho intervistato di recente un giovane apicoltore, che mi ha raccontato nel dettaglio la società delle api, impressionante la loro organizzazione! Peccato che la loro sopravvivenza in natura sia a forte rischio
@@linkinmark83 se ti capita, è un libricino edito da Laterza, in cui in realtà si parla della troppa efficienza delle api. (Non dal punto di vista scientifico eh)
Il video che aspettavo! Una volta, per definire Vinland Saga, usai il seguente paragone “prendi il Re Leone, e fai crescere Simba da Scar e dalle iene”. Rende l’idea, no? [il commento contiene SPOILER] Fresco di papiro sull’Uomo Tigre, Thorfinn mi ricorda tanto la figura di Naoto (all’inizio dell’opera). Entrambi sono il frutto di un’educazione animalesca. Poco più che bambini, sbattono il muso contro tutto il peggio che la vita può mostrare. Naoto viene addestrato al MALE, mentre Thorfinn vi si rifugia per sopravvivere (non possiamo dire che, almeno all’inizio, la truppa di mercenari che uccide il padre lo “educhi”; in realtà lo abbandonano a se stesso, e per curiosità poi vogliono vedere se può cavarsela). Ricordo ancora come uno shock (quasi quanto le “Nozze Rosse” di GoT, e che mi capiti con il cartaceo non è facile) il volumetto 8, quello “della svolta”. La beffa non era soltanto avere un obiettivo totalizzante, ma anche che questo sfuggisse “sotto il naso” del ragazzo. Se avesse ucciso Askeladd avrebbe perlomeno raggiunto il suo “unico” obiettivo, ma ne avrebbe tratto giovamento? La sorte vuole sbattergli in faccia l’amara realtà: puoi anche impegnarti tutto te stesso per una meta, trascurando tutto il resto, ma il risultato non è garantito. Se vogliamo fare una “critica” all’atteggiamento della prima parte di storia di Thorfinn (ma sottovoce, anche perché va ribadito, una vera educazione non l’ha proprio avuta, o quantomeno la violenza che lo ha coinvolto/travolto ha sicuramente sbiadito gli insegnamenti valorosi del padre), nel suo percorso avrebbe anche occasione di conoscere persone importanti e di valore ed arricchirsi, ragionare, scoprire sé stesso. Persino Askeladd, pur nella sua ambiguità, forse (con lui il condizionale è d’obbligo), nutre un affetto per il giovane vichingo, addirittura provocandolo/spronandolo in punto di morte, a CERCARE (sé stesso, il suo percorso). Thorfinn passa dall’eccesso delle emozioni brutali all’apatia estrema nella seconda parte della storia, poi (come per Naoto) avviene il risveglio della coscienza, inizia a porsi dei dubbi, affrontando i propri demoni e leggendo nei ricordi, e solo allora inizia a cercare il suo posto nel mondo e a credere negli altri. INIZIA A COSTRUIRE SÉ STESSO. Ragionando sugli insegnamenti di quest’opera, di fronte a un “compito totalizzante”, proporrei alcuni quesiti. 1) Chiediti innanzitutto: l’hai scelto tu? Ne vale così la pena? Hai idea degli imprevisti? Hai pronto il piano B nel caso fallisse? E’ un obiettivo con una “fine”? E dopo? Hai la forza e nuove idee per proseguire? Non è meglio ritagliarsi un pizzico di energie per qualcosa che allieti la sfida e “distragga” un pò? 2) … e qui il secondo quesito: e se non l’avessi scelto tu, ma qualcun altro per te? Ne vale veramente la pena? Ti appartiene? (… e qui mi viene in mente la riflessione su Gohan e Goku). PS: Un giorno sarebbe bella un’analisi del personaggio di Askeladd, uno dei più intriganti mai incontrati in decenni di opere fumettistiche e non solo… non trovo parole per definirlo, lo adoro e lo temo, allo stesso tempo.
Sto leggendo pian piano Vinland, lo sto centellinando. Askeladd è stata una figura estremamente interessante. Per dove sono ora (non so se tornerà, come memoria di Thorfinn visto che i flashback sono all’ordine del giorno) ho ancora forti dubbi sulle sue motivazioni. Cosa lo ha spinto fino a dove è arrivato nel volume 8? Quale progetto ha intravisto nella sua morte accolta e cagionata a ragion veduta? Si è immolato come padre putativo di Thorfinn? Veramente una figura interessante. Mi viene (quasi) da associarlo a Kenny Ackermann, tanto che aspetto con bramosia il volumetto di AoT sulle origini di Levy!
@@mangasofiaLammoglia La figura di Askeladd lascia tanti enigmi, si può provare a ragionarci su, senza uscire troppo dalle tematiche del video. Qual è il suo obiettivo? E se ne ha uno, è totalizzante? Trovo che sia un uomo figlio del suo tempo, cresciuto sbattendo subito il muso contro la durezza della vita, come dal flashback che racconta la sua infanzia. Si nutre subito del sentimento della vendetta, denotando certamente un’indole spietata, ma anche una notevole capacità di pianificare. Che cosa cerca Askeladd? Siamo sicuri che abbia un vero e proprio obiettivo? Guida una ciurma di “reietti”, che lo seguono non tanto per stima (tranne Bjorn, unico uomo di fiducia), ma perché è forte ed è soprattutto scaltro e abile, insomma un “vincente”. Ma avrebbe potuto esserlo di più, se si fosse messo a disposizione di qualche signore della guerra. Magari avrebbe ottenuto il comando di qualche esercito. Forse vuole godere dei privilegi di essere un bandito, libero e, quando necessario, a disposizione del miglior offerente. A differenza della gente che lo circonda, lui ha un’abilità strategica innata, unita ad un sano opportunismo. Credo che più che cercare soldi e potere, faccia buon viso a cattivo gioco: “è un mondo spietato, impossibile trovare un angolo dove rifugiarmi e vivere in pace, io sono forte ma anche molto intelligente, come posso sfruttare questo a mio vantaggio? Perché farmi sopraffare dagli altri? C’è un’alternativa? Non mi sembra proprio…” Mi è capitato diverse volte di affezionarmi a personaggi “negativi” (lo metto tra virgolette, perché è una definizione troppo semplicistica). Ebbene, spesso la rovina di queste persone è stato il compiere un gesto insolito, solitamente “buono” e positivo. Possibile che Askeladd, stanco di passare da una parte all’altra della barricata, abbia avvertito, calcando il suolo della terra natia, una sorta di richiamo alle origini, e un senso di stanchezza nel vivere? C’è un momento meraviglioso con Thorfinn quando, circondati da rovine dell’impero romano, preannuncia l’imminente tramonto dell’era che stanno vivendo. O parla forse di sé, delle sue motivazioni che forse iniziano a venir meno? E’ possibile che la figura di Thorfinn risvegli in lui un senso paterno che ovviamente non può mostrare di fronte agli altri, per non rivelarsi “debole”. Credo che le provocazioni nei suoi confronti siano un invito (magari non tanto delicato) a TROVARE LA SUA STRADA. Askeladd non può più farlo. Incanalato nel binario della violenza e dell’eterna lotta, forse vuole spingere il ragazzo a cercare un’alternativa alla violenza, spegnendo il fuoco della vendetta che lo divora, e seguendo la via indicata dal valoroso Thors (tra l’altro l’unico uomo degno dell’ammirazione di Askeladd, da sottolineare!). Ed è anche probabile che veda in Canuto (un po' repentino il suo cambiamento, unico difetto della prima parte a mio avviso) un sovrano “illuminato”, e decida (magari non subito, ma sicuramente nel corso delle loro vicissitudini) di appoggiarlo, al fine di lasciare al mondo un uomo valoroso a governarlo. Tenta infine un ultimo coup de théâtre con Re Sweyn, ma sappiamo che per quanto tu sia in gamba, c’è sempre qualcuno più scaltro di te. E allora forse è il caso di lasciarsi andare, cercando con i tuoi ultimi attimi quei gesti di vero coraggio ed umanità (spianare la strada a un sovrano dalle qualità umane importanti, proteggere il paese natio, indicare la via a un discepolo) che non hai mai potuto mostrare per decenni. Personaggio sfaccettato all’infinito: ambiguo, magnetico, carismatico, astuto, terribilmente pericoloso, lascia il segno nella storia dei manga.
@@linkinmark83 io penso che Askeladd sia una figura in lotta con se stessa: L’uomo del Galles, ispirato alla tradizione dell’Impero Romano, con sogni e ambizioni di grandezza, che si ritrova ad essere Askeladd, il ragazzo nella cenere. Askeladd è un guerriero di quelli che odia. Non è il re che vorrebbe essere. Anche se passato per follia, forse, il suo ultimo gesto è il più coerente di tutti.
@@mangasofiaLammoglia Dono della sintesi, a me sconosciuto 😉 Direi che ha centrato il punto: Askeladd è nato “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Pertanto la personalità che vediamo è una reazione necessaria ad affrontare l’epoca che vive. A questo punto il dialogo con Thorfinn in mezzo alle rovine romane acquista ancora più significato; e tutto l’atteggiamento che mostra, quando torna a calpestare il suolo natio, fa trasparire un senso di “rispetto”, che mai ha riservato ai suoi contemporanei (anzi!). Lui, sempre così sarcastico e sprezzante, di fronte a Gratianus appare così misurato e rispettoso… non è certo un caso! In quanto abile mercenario l’ho definito libero, al servizio del miglior offerente ma senza padrone alcuno, ma la sua tragedia personale è che non ha vissuto nel tempo che ha immaginato e sognato, anzi si è dovuto circondare di persone che ha sempre disprezzato… è triste, sentirsi “fuori tempo”. Più che libero ha dovuto “adattarsi”, e i suoi gesti più fieri ed orgogliosi li compie in prossimità della fine. PS: forse un’alternativa “pacifica” c’era, poteva fare il navigatore 😉
«Tra favori grandi e piccoli, tra guadagni e maneggi legati al tiranno, si arriva insomma al punto che il numero di persone a cui la tirannia sembra vantag. giosa risulta quasi uguale a quello di chi preferirebbe la libertà». E. De la Boetie, Della servitù volontaria.
Buonasera Prof! Lessi il manga dell’Uomo Tigre una decina di anni fa, e ammetto che lo trovai un po' deludente, “privo di mordente” e di pathos, soprattutto nella parte finale. Ricordo invece con somma nostalgia il cartone, più di una spanna sopra all’originale cartaceo. Sono giudizi un po' forti, sarò severo, possibile che la mia memoria abbia scordato qualche bel passaggio che sicuramente avrò letto, però questo sentenziai all’epoca. Di sicuro la tematica del video si manifesta anche nell’anime. Naoto Date viene cresciuto in un ambiente senza scrupoli, dove la violenza e la sopraffazione sono gli unici modi di esprimersi per primeggiare nel mondo della lotta. L’incontro con i bambini dell’orfanotrofio e la scoperta dell’amicizia (con Baba, Inoki, Kentaro e Daigo) cambiano la sua prospettiva, e gli regalano i (pochi) momenti lieti della sua esistenza. Ripenso a Naoto come ad una delle figure più tragiche mai incontrate nel mondo delle opere che ho affrontato. Parte come un contenitore vuoto, nel tempo viene riempito dei lati peggiori dell’uomo, e quando inizia ad accogliere cose buone e positive, deve lottare come un animale per difenderle. Penso che dopo una gioventù come la sua, l’avvicinarsi di persone “buone” (semplifico ma per rendere l’idea) inevitabilmente lo spiazzi. Abituato ad essere educato ed usato come macchina da guerra, circondato da uomini che di umano hanno poco, belve feroci forse è il termine più corretto, la scoperta di un modo di vivere “alternativo” a quello crudele impostato da Tana delle Tigri, risveglia in lui la propria umanità, e questo “shock” non può che portare inizialmente a spiazzamento, stupore e diffidenza. Proprio mentre scrivo questo, mi parte un ragionamento sul concetto di MASCHERA. Forse andrò un po' fuori tema, o forse no. Poche come quest’opera raccontano quanto una maschera possa rappresentare non solo una persona, ma un modo di essere (beh poche fino a un certo punto, già mi viene in mente V per Vendetta). Nella prima parte della storia la maschera di Tigre incute terrore, pericolo, direi la sola visione suscita disprezzo per un lottatore violento, brutale e scorretto. Dopo la “redenzione”, la sua maschera rappresenta invece la lealtà, la correttezza, l’amicizia, l’invito a dare sempre il massimo rispettando le regole e l’avversario, il farsi carico delle speranze altrui, essere d’esempio. La maschera ha certamente un significato per noi, mai come in questo caso ambiguo ed ambivalente, ma per chi la indossa? [SPOILER!!!] … e qui mi ricollegherei al finale del manga, che non avrà il pathos dell’anime ma è sicuramente d’impatto, e sensibilizza su cosa vuol dire essere un uomo che indossa la maschera. Tutti ammirano Tigre, e tutti lo rimpiangeranno. Il povero Naoto non se lo filerà nessuno. La maschera ha surclassato l’individuo che la indossa. La maschera resta, il messaggio pure, per certi versi non è una cosa malvagia, però lo trovo ingiusto per Naoto. Ricapitolando: la maschera che indossi rappresenta i valori che vuoi divulgare. Però tu in quanto persona comune, devi condurre un’esistenza misurata e sobria, per non dare nell’occhio. Solo con la maschera tiri fuori il meglio di te. E’ un po' triste tutto ciò, concorda? La maschera così, la intendo come una trappola. V non ha una vera e propria identità, oramai non ce l’ha più. Vuole solo lanciare un messaggio. Naoto, invece, ha sicuramente aspirazioni, desideri, ma la maschera di Tigre lo schiaccia, e lo richiama alle sue responsabilità. Introdotto questo concetto, e passando alla “suckerfobia” nella società odierna, credo che gli ultimi anni abbiano esasperato tutto. Alcune maschere del potere sono cadute, ottenendo solo due risultati: molle obbedienza, o diffidenza/sfiducia. Da “hai sentito che hanno detto alla tv?” a “è tutto falso”, da “io non seguo più niente, arrivato a casa stacco la testa e voglio distrarmi” a “occhi aperti ci vogliono fregare tutti, anzi lo stanno già facendo”, forse è un po' scomparsa la sana via di mezzo. Là, dove sta l’analisi critica. Il mettere in discussione tutto rischia di diventare controproducente, ma oramai ritengo di fare parte di questa “gentaglia”, e il DUBBIO mi guida. Non è che non mi fido delle persone. Non mi fido “del potere”. Le persone, invece, in generale, non le trovo affidabili. Che è diverso. Faccio tante domande, ascolto, valuto, ma difficilmente “seguo”. Questo è il mio leitmotiv di questi tempi. Magari cambierò idea. Ma di sicuro questa "scontentezza", ha alimentato lo stimolo alla ricerca di "nuovi punti di riferimento" e "metodi da usare per una buona vita e giuste scelte", pertanto mi ha avvicinato alla Filosofia 🤗 Ultimo, ma non meno importante, non dia ascolto e non consideri le offese gratuite dei “buontemponi” che infestano i social con la loro nefasta presenza. Credo che la sua opera, unita a quella di tanti altri appassionati, sia un ottimo volano per la materia, un’interessante opportunità per avvicinare i curiosi e fornire approfondimenti. Siamo sempre pronti a massacrare la tecnologia, è sbagliato, voi fate parte del bello del web 😉 La scuola non si esaurisce al suonare della campanella per un prof, e tantomeno raggiunta la maturità per chi è stato studente, ogni occasione è buona per confrontarsi e imparare sempre!
Bellissima integrazione alla riflessione. Su V per Vendetta c’è da qualche parte un video, nella playlist leggere il presente, in cui si ragiona proprio sulla maschera come simbolo. Ma concordo che per tigre è altro. Tanto da doverla “difendere” da un impostore che sfrutta la maschera per svilire l’uomo (è proprio nell’ parte finale del manga, forse la saga più bella). Il tema della maschera e delle diverse sfaccettature che assume è super interessante. Magari ci faccio un video (me lo segno subito!)
@@mangasofiaLammoglia Lieto di avere fornito ispirazione! Tra l’altro, questo è un concetto di “maschera” diverso da quello che usiamo nel parlare del nostro quotidiano, dove le vediamo come strumenti utili a muoverci nella società… qui è il contrario! La maschera ha bisogno del “quotidiano” per sopravvivere! Da “nascondo il vero me stesso per indossare la maschera” a “mi nascondo dietro a un finto/anonimo me stesso, per poter indossare la maschera con la quale esprimo… me stesso”… curioso!
@@linkinmark83 sto leggendo proprio ora “Per farla finita con se stessi” dove si discute del termine persona e del suo essere maschera, che è strumento per poter agire in modo legale. (A Roma, ma non solo….)
@@mangasofiaLammoglia Per riderci un pò su... il titolo è alquanto ambiguo 🤭 per fortuna ha anticipato il contenuto 😆
È interessante come Platone formuli nel Fedone la tesi secondo la quale un'Idea possa " fuggire " da un ente in determinate circostanze. L'esempio che si fa è quello delle neve. Essa partecipa dell'idea del freddo, ma quando gli si avvicina il fuoco l'idea del Freddo viene sostituita dall'Idea del Caldo. Interpretrazione delle trasformazioni fisiche che suona piuttosto bizzarra per noi.
Ammetto che ho dovuto rileggere il passo in questione perché non lo ricordavo! È bizzarra perché la leggiamo con gli occhi della fisica contemporanea dei passaggi di stato. Ma se la contestualizziamo nel discorso sulle idee che sta facendo è affascinante: il mondo è mutevole, ma le essenze (come le chiama in quel passo, cioè le idee) non possono mutare perché altrimenti non potremmo definire ciò che ci circonda. Quindi le idee in qualche modo fuggono nella trasformazione degli opposti proprio perché non possono trasformarsi. In questo passo, oltre la bizzarria, vedo la capacità platonica (che mi affascina da sempre) di trasformare in immagini chiare e accattivanti concetti tutt’altro che intuitivi. Grazie per avermi fatto fare questo tuffo nel Fedone che non maneggiavo da troppo tempo! 🫶🏻
@@mangasofiaLammoglia Grazie a te per il video e la risposta.
@@TheArmstrong1969 il mio sogno è riuscire a creare una bella comunità che dialoghi di questi temi. Quindi, davvero, grazie a te!
come sempre il problema alla base è il capitalismo, il pensiero che tutto sia fatto o debba essere fatto per soldi, come se fosse l'unica cosa che conta
Il capitalismo che reca in sé una società performativa per cui ci si sente sempre sotto esame. E ogni passo falso lascia una traccia indelebile.
Ho sempre sentito parlare di questo titolo, ma non ho mai avuto modo di capire se valga la pena o no. Mi piacerebbe sapere qualcosa di più in merito (prima di vedere il video che magari contiene qualche spoiler 😅)
È una narrazione complessa sulla morte. In particolare, il protagonista gira una serie di video/film con al centro la morte di una persona cara. Il cuore è capire come e perché li gira (nulla di paranormale).
@@mangasofiaLammoglia ed è molto breve giusto?
Si. Non supera le 200 pagine. Il che non significa però che sia breve. È possibile anzi che tu possa dividerlo e volerlo leggere pian piano. Io lo lessi in quelle che identificai come tre parti ben distinte.
il tema dell'immortalità e delle relazioni che ne conseguono è il tema centrale di un manga che sta facendo tanto successo (e giustamente aggiungerei): Frieren. Molto bella la prospettiva in cui viene affrontato, con uno sfondo quasi da slice of life, piacevole e rilassante, ma che si fa leggere volentieri. Manga molto consigliato! Interessante il video comunque professore. Il personaggio di Von Hohenheim è decisamente uno dei più interessanti di FMA, arricchisce la narrazione con questa tematica che personalmente mi ha sempre affascinato molto, il tempo e la caducità della vita sono evidenti dalla prospettiva di chi non deve temere la morte. Come sempre ci riscopriamo necessitati in qualche modo all'amore, in ogni sua manifestazione, e l'amore si può vivere solo nella dimensione del tempo, in cui le relazioni hanno un valore reale.
Frieren lo cerco subito!!!! Sulla necessità dell’amore è interessante anche la posizione del “Padre” e del suo bisogno di una famiglia, per quanto strana.
@@mangasofiaLammoglia Frieren è un post-fantasy che racconta, diversamente dal genere classico, il seguito del viaggio di un gruppo di eroi che ha già sconfitto il re demone. Il nucleo narrativo è che l'elfa protagonista, Frieren appunto, è praticamente immortale, perciò vede morire uno a uno i suoi compagni. Si accorge di non aver dedicato loro il tempo che meritavano e si mette nuovamente in viaggio, incontrando due giovani in particolare con cui proverà a comportarsi diversamente, scavando in sé stessa e auspicabilmente modificando il suo modo di vivere procrastinando.
@@matteo.01 è un tema che mi interessa moltissimo. Mi innamorai della serie “Altered Carbon”, come di “A good place” proprio per le riflessioni sull’eternità.
@@mangasofiaLammoglia la prima serie non la conosco, la seconda è piaciuta molto anche a me, riflette su quello e non solo, davvero valeva la pena vederla
@@matteo.01 la prima è una serie molto interessante. Il cuore della faccenda è che puoi caricare la “coscienza”’su una pila che si infila nella nuca. Quindi, quando il corpo deperisce, puoi spostarti in un altro corpo o in uno sintetico. Ovviamente se ne hai diritto o se lo puoi pagare.
Buonasera Prof, stasera parlerò “con la pancia” da cittadino. Innanzitutto, la inviterei alla tranquillità: tra poco iniziano gli Europei, ed è quello che conta. Ironia a parte, non mi stupisco di niente. Non entro nel dettaglio di quanto abbia sfiducia nella politica, ci sono situazioni personali (anche lavorative) che mi hanno portato lontano da questo mondo, ammesso che lo abbia mai sentito vicino. Frequentai le piazze non troppi anni fa, quelle piazze odiate e bistrattate da tutti, prese di mira dalla politica, dai mezzi di “informazione” (🤡) e anche dalla gente comune. Il “copione” che stiamo vivendo sulla nostra pelle mi era stato “rivelato”, un po' più nel dettaglio di quanto non avessi già intuito. Penso saremo tutti d’accordo che Istruzione e Salute siano i pilastri portanti di qualsiasi Società degna di essere chiamata tale (ci metto anche la Sicurezza): sbaglio o noto che si tenti di renderle appannaggio di pochi eletti, e ciò non sia un andazzo casuale, ma ben tracciato?. Quando in questi mondi entra la parola Profitto sono guai, penso a quanto successo negli Stati Uniti negli anni ’80 nel mondo farmaceutico. Spiace non solo per gli utenti ma anche per le persone che operano in questi settori. Non si tratta di semplici “mestieri” e basta, svolti per sbarcare il lunario: credo che dietro ci sia una “vocazione” per l’ALTRO, nel curarlo, educarlo e proteggerlo, e ne concludo che questa precarietà sia frustrante, demotivante e vada ad intaccare e svalutare anni di studio e sacrifici. Forse stare a dibattere di Destra e Sinistra è oramai una bega da pollaio per “galline di Stalin”, poiché penso che sopra queste grigie marionette ci sia “qualcun altro”. Ammetto pertanto una grossa sfiducia nel futuro. Organizziamoci per essere “autosufficienti” in qualche modo, studiamo un piano B, sento che piano piano lentamente perderemo un pochino di tutto. Prima un pezzo a te, poi un pezzetto a me, un po' alla volta, colpendo le categorie più disparate in momenti diversi (fregati dall’istinto egoistico “ah a me questa cosa non tocca, chissenefrega”), così da non accorgercene nemmeno quando saremo nella bratta più totale. TUTTI, nessuno escluso. A volte penso che il benessere che abbiamo (avevamo?) raggiunto (economico ma soprattutto INTELLETTUALE) sia la nostra “arma” più temuta dal POTERE… e piano piano vada sgretolato, o comunque “contenuto”. Ed è buffo che io inviti a “mettere da parte un tesoretto” per il futuro, quando oramai il denaro è tutto virtuale, e con un click possono spegnerci! Concludo pertanto amaramente il mio sfogo, ammetto il mio limite nel non riuscire a proporre una soluzione, del resto “nessuno si salva da solo”... PS - Posso spararla tra di noi? Siamo nelle mani di quattro fondi d’investimento…
Purtroppo condivido la visione nefasta. Siamo in un mondo dominato dal profitto e dal capitale. E per ora, sanità e istruzione non “rendono” ma sono una voce di spesa. Potrebbero arricchire il paese se solo ci fosse un po’ di lungimiranza… Ma la politica, ormai eternamente in campagna elettorale, deve mostrare risultati immediati: tagli, accumulo, vendita… E così, senza accorgercene, ci impoveriamo sempre di più. E come hai ben detto, istruzione e salute saranno sempre più voci elitarie. Il tempo del figlio di operaio che può diventare dottore è già finito da un pezzo. Ora bisogna “tornare a lavorare”. C’è un chiarissimo disegno che mira a far finire quanto prima la scuola (licei quadriennali, ad esempio) formando lavoratori di bassa lega pronti per impieghi sottopagati (se non a titolo gratuito… D’altronde lo imparano già con il PCTO, quando lavorano senza nessun compenso e non ritornano con grandi competenze). Io però credo ancora nelle piazze. Sopratutto in questi bistrattati giovani che hanno il coraggio di chiedere a gran voce un futuro più giusto e più equo, nonostante i manganelli di Stato. E credo anche che questa violenza del potere costituito possa essere un segno di paura: il timore di perdere i proprio privilegi coltivati di generazione in generazione a causa di un rinnovato impegno civico e di una forte partecipazione politica dal basso che va ben oltre lo sterile dibattito parlamentare dove, come dicevi, non c’è dialettica tra destra e sinistra perché, bene o male, i principali partiti si muovono nei fatti alla stessa maniera. Io voglio lottare.
@@mangasofiaLammoglia Sicuramente pochi come un professore sono sul pezzo nel tastare il polso dei giovani, e può aiutarli a muovere i passi in questi “tempi difficili”. Quindi il suo grido di battaglia finale è benaugurante 😉 Io a volte sono così critico da pensare che anche le proteste siano “veicolate”. Mi spiego meglio. Questo “Leviatano” tira i fili anche del mondo dell’intrattenimento (e qui mi ricollego al PS, vedasi fondi d’investimento e partecipazioni nei più disparati settori), quindi una volta scelto il “settore” su cui vuole mettere la mano, tou lì che apre una bella Finestra di Overton. Nel commento a “V per Vendetta”, dicevo che oramai lo schiavo moderno si mette da solo le proprie catene. Le persone, credo in buona fede, sono spinte a discutere di un argomento, si crea un dibattito, e probabilmente è necessario che il confronto venga frammentato, avvelenato o comunque si getti benzina sul fuoco, così che si riduca tutto a un litigio da osteria (nel mentre i pensieri più critici vengono emarginati, o comunque messi in condizione di non nuocere). Bazzicando un po' il mondo del “dissenso”, sono venuto a conoscenza della figura del “gatekeeper”. Tu hai un gregge ben ammaestrato. Alcune pecorelle nere scappano e vanno per il cavoli loro (consapevolmente, intenzionalmente). Un po' per spirito critico, un po' per ribellione, un po' per volontà di contraddizione, ma anche per ignoranza, o per seguire chi dissente… insomma, per differenti casistiche. Il gk è un pastore che sembra arrivare da chissà dove, ma anche lui proviene dall’allevamento, raduna le pecorelle nere “più docili”, e le riavvicina al recinto. Non le fa entrare, ma intanto le ha raggruppate ed ammansite. Rimangono a questo punto pochissime pecorelle nere, potenzialmente le più pericolose, ma oramai sono così frammentate che non possono più nuocere a nessuno. Anche perché loro stesse non credono più in nessuna figura che le rappresenti. Così vedo la realtà odierna. Qualcuno ci vedrà del “complottismo”, probabilmente esagero. O un invito all’ “anarchia”? Chissà. (detto tra noi, mi piacerebbe troppo scoprire se qualche filosofo moderno abbia fatto pensieri simili ai miei) Se volessi dare una definizione più equilibrata, uscendo un po' dal vissuto di questi ultimi anni che mi ha portato ai pensieri di cui sopra, probabilmente quello di cui stiamo dibattendo è semplicemente il lato oscuro del progresso. Nessuno vuole solamente il nostro MALE per arricchirsi e basta, sarebbe troppo semplicistico, alla fine quello che ci danno è anche quello che vogliamo e chiediamo, e consumiamo. Siamo noi che alimentiamo il Leviatano che ci dà carota e bastone. E se avessimo raggiunto un livello di benessere tale, che per mantenerlo è necessario che qualcuno rimanga indietro, o semplicemente cada? Forse non avremo la soluzione, ma il parlarne è già un piccolo passo per tenere le coscienze accese!
Probabilmente c’è anche nel dissenso una certa regia. Ma non sono così convinto che si riesca a mantenere. Di certo in molti hanno ciò che vogliono e stanno bene così, nel loro privilegio. Ma sempre di più, i tantissimi che non ci stanno fanno rete. E forse, un domani, riusciranno a ribaltare la situazione.
Grazie mille. Ti ascolto molto bene, sei chiaro e semplice. Complimenti.
Grazie di cuore! ❤️
Molto interessante. Riesce ad offrire uno sguardo umano e personale sulla resistenza curda e le difficoltà vissute dalla popolazione locale. Zerocalcare utilizza uno stile umoristico e di introspezione, riuscendo ad affrontare temi complessi e drammatici e a coinvolgere profondamente il lettore, sensibilizzando su una realtà spesso ignorata dai media tradizionali. Evidenzia l'importanza della solidarietà internazionale e della consapevolezza globale riguardo alle ingiustizie. Inoltre il fumetto, attraverso un linguaggio visivo e personale, riesce a trasmettere emozioni e dettagli che altrimenti potrebbero andare persi.
Questo è un dato importantissimo: spesso la Storia non insegna perché manca una dimensione emotiva: quando i fatti restano parole su carta, ci sembrano lontanissime. Al contrario, un racconto maggiorente empatico ed emozionante è più efficace nel trasmettere il senso della storia e degli eventi che, a quel punto, entrano nella biografia personale del lettore quasi come un’esperienza.