Tutto ormai deciso? Alla base c'è una conoscenza indotta, che all interno di una società marcia, si rivendica in un altra società più profonda. Ma crede nella salvezza? Perché è convinta di essere già salva
Direi il contrario: proprio perché non appare esserci salvezza al di fuori della fede nel Cristo, il fardello della decisione per ciò che riguarda la singola persona grava su quest’ultima - dunque tutto è ancora da decidere, e ogni convinzione versa nella precarietà
"Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato." Gv 1,18. Se l'umano intelletto, da solo, fosse in grado di comprendere Dio, allora questo intelletto non potrebbe che configurarsi come una totalità conoscitiva onnicomprensiva infinita, giacché è solo in Dio e per mezzo Suo che ogni cosa si comprende e tutto è compreso. Ma un tale intelletto sarebbe scevro innanzitutto dall'errore e da quella necessaria immanenza ontologica che costituisce l'entità del mondo fisico di cui l'uomo è parte. Un tale intelletto dovrebbe, cioè, coincidere con Dio stesso. Orbene, noi non solo sappiamo a priori, ma esperiamo quotidianamente che non è possibile per gli uomini, se non attraverso l'intelletto finito degli uomini stessi, tentare di interpretare gradualmente la realtà, senza sottrarsi incessantemente e irremediabilmente ad una certa quantità di insipienza che non può essere colmata, giacché il nostro intelletto non può, come detto, raggiungere né essere quella totalità totalizzante. La fisica, ad esempio, per quanto iscritta nella realtà e legge della realtà degli enti stessa, non si dimostra di per sé, ma necessita di essere compresa mediante questo intelletto finito per mezzo di certi uomini in certi tempi. Senza Newton non smetterebbe certo di esistere la legge gravitazionale, l'uomo, però, non avrebbe raggiunto quella comprensione che della stessa vi fu da quel preciso momento, giacché il processo di conoscenza sarebbe privo di quella tappa fondamentale dell'intelletto che come tale, cioè come intelletto umano, non può che essere collettivo ossia costituito di per sé da sapienza spiegabile e dimostrabile a tutti gli uomini tramite le forme conoscitive inscritte nella ragione e di cui sopra citate le caratteristiche di necessaria gradualità e perenne parzialità di completezza. Ciò è altrettanto vero per ogni tipo di sapere umano. Ora tale processo conoscitivo non può avere le stesse caratteristiche per quel che concerne la conoscenza di Dio ossia non può esservi quell'elemento di gradualità e incompletezza di conoscenza quando si tratta di conoscere quella totalità immutabile che vivifica e significa la realtà stessa. Non possono esservi degli uomini che meglio abbiamo compreso e dunque spiegato, nella mutevolezza e nella deficienza della conoscenza umana, Dio. Eppure è necessario, per quelle caratteristiche del nostro intelletto, che ciò avvenga comunque tramite chi benché e giacché carne umana, tramite parole ed opere che oltrepassino, ma che non neghino, i limiti innati del nostro intelletto, si faccia ri-conoscere, una volta che sia per tutte le volte e da sempre, come Dio stesso. Essendo Dio di per sè totalità ed ogni cosa è dunque in Egli, il Suo farsi uomo non coinciderebbe in alcun modo ad un degradarsi della sua perfezione, giacchè se la realtà stessa è stata resa conoscibile agli uomini tramite un grado di necessaria imperfezione, non certo si può limitare Dio ad essere solo quel concetto stabile e puro caro alla metafisica, Egli non deficitando di nulla, non può che provare da sé la sua esistenza di-mostrandosi in un Tempo che fu ed è da sempre oltre i tempi.
Tutto ormai deciso?
Alla base c'è una conoscenza indotta, che all interno di una società marcia, si rivendica in un altra società più profonda.
Ma crede nella salvezza?
Perché è convinta di essere già salva
Direi il contrario: proprio perché non appare esserci salvezza al di fuori della fede nel Cristo, il fardello della decisione per ciò che riguarda la singola persona grava su quest’ultima - dunque tutto è ancora da decidere, e ogni convinzione versa nella precarietà
"Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato." Gv 1,18.
Se l'umano intelletto, da solo, fosse in grado di comprendere Dio, allora questo intelletto non potrebbe che configurarsi come una totalità conoscitiva onnicomprensiva infinita, giacché è solo in Dio e per mezzo Suo che ogni cosa si comprende e tutto è compreso. Ma un tale intelletto sarebbe scevro innanzitutto dall'errore e da quella necessaria immanenza ontologica che costituisce l'entità del mondo fisico di cui l'uomo è parte.
Un tale intelletto dovrebbe, cioè, coincidere con Dio stesso. Orbene, noi non solo sappiamo a priori, ma esperiamo quotidianamente che non è possibile per gli uomini, se non attraverso l'intelletto finito degli uomini stessi, tentare di interpretare gradualmente la realtà, senza sottrarsi incessantemente e irremediabilmente ad una certa quantità di insipienza che non può essere colmata, giacché il nostro intelletto non può, come detto, raggiungere né essere quella totalità totalizzante. La fisica, ad esempio, per quanto iscritta nella realtà e legge della realtà degli enti stessa, non si dimostra di per sé, ma necessita di essere compresa mediante questo intelletto finito per mezzo di certi uomini in certi tempi.
Senza Newton non smetterebbe certo di esistere la legge gravitazionale, l'uomo, però, non avrebbe raggiunto quella comprensione che della stessa vi fu da quel preciso momento, giacché il processo di conoscenza sarebbe privo di quella tappa fondamentale dell'intelletto che come tale, cioè come intelletto umano, non può che essere collettivo ossia costituito di per sé da sapienza spiegabile e dimostrabile a tutti gli uomini tramite le forme conoscitive inscritte nella ragione e di cui sopra citate le caratteristiche di necessaria gradualità e perenne parzialità di completezza. Ciò è altrettanto vero per ogni tipo di sapere umano.
Ora tale processo conoscitivo non può avere le stesse caratteristiche per quel che concerne la conoscenza di Dio ossia non può esservi quell'elemento di gradualità e incompletezza di conoscenza quando si tratta di conoscere quella totalità immutabile che vivifica e significa la realtà stessa. Non possono esservi degli uomini che meglio abbiamo compreso e dunque spiegato, nella mutevolezza e nella deficienza della conoscenza umana, Dio. Eppure è necessario, per quelle caratteristiche del nostro intelletto, che ciò avvenga comunque tramite chi benché e giacché carne umana, tramite parole ed opere che oltrepassino, ma che non neghino, i limiti innati del nostro intelletto, si faccia ri-conoscere, una volta che sia per tutte le volte e da sempre, come Dio stesso.
Essendo Dio di per sè totalità ed ogni cosa è dunque in Egli, il Suo farsi uomo non coinciderebbe in alcun modo ad un degradarsi della sua perfezione, giacchè se la realtà stessa è stata resa conoscibile agli uomini tramite un grado di necessaria imperfezione, non certo si può limitare Dio ad essere solo quel concetto stabile e puro caro alla metafisica, Egli non deficitando di nulla, non può che provare da sé la sua esistenza di-mostrandosi in un Tempo che fu ed è da sempre oltre i tempi.