Cortometraggio di Vittorio De Seta del 1955 sul lavoro agricolo nella Sicilia centrale.
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- เผยแพร่เมื่อ 2 พ.ย. 2024
- Nel 1954 Vittorio De Seta gira sei documentari in Sicilia (Lu tempu di li pisci spata, Isole di fuoco, Surfarara, Pasqua in Sicilia, Contadini del mare, Parabola d’oro). Fortemente innovativi, sono subito riconosciuti a livello internazionale. Isole di fuoco riceve il primo premio per il documentario del Festival di Cannes del 1955. L’anno seguente è Contadini del mare a vincere al Festival di Mannheim.
Nel ’58-59 dirige altri quattro importanti cortometraggi: in Sicilia (Pescherecci), in Sardegna (Pastori di Orgosolo; Un giorno in Barbagia), in Calabria (I dimenticati).
Martin Scorsese, presentando i suoi film nel corso di un omaggio al Tribeca Film Festival, ha definito De Seta ‟un antropologo che si esprime con la voce di un poeta”. E in effetti, vedendo i lavori raccolti in questo dvd, non si può che essere d’accordo. Che si tratti dell’epica lotta dei minatori con le vene di zolfo in Surfarara, della naturale eleganza e dignità dei pastori di Pastori di Orgosolo, o della danza feroce e arcaica dei tonnaroti in Contadini del mare, sempre De Seta rivolge il suo sguardo partecipe a realtà già allora minacciate da ‟uno sviluppo senza progresso”, donandoci una preziosa testimonianza di riti, usanze e saperi ormai scomparsi. E lo fa senza trascurare la bellezza delle inquadrature, le innovazioni tecniche più recenti e l’eredità del cinema più importante del mezzo secolo precedente.
1954/1959 I cortometraggi di Vittorio De Seta raccoglie i lavori di De Seta che vanno dal ’54 al ’59, cortometraggi che si collocano tra Ejzenstein e Flaherty, e tra i monumenti del cinema italiano.
De Seta ha diretto pochi film, sempre in difficoltà con il mondo circostante, scontento ed esigente, ma alcuni dei suoi lavori sono in assoluto tra i massimi capolavori della storia del cinema, non solo italiano. Penso in particolare alle meravigliosa serie dei documentari (a colori e senza commento parlato, contrariamente alle convenzioni di allora e di sempre).
Tra Sicilia, Sardegna e Calabria, egli si dedicò al cinema subito dopo il ritorno dalla prigionia, e documentò tra il 1954 e il 1959 “il mondo com’era”: la pesca e l’agricoltura, le zolfatare e la pastorizia, il rapporto con la fatica quotidiana e con la natura: mare e terra, in pace o in fermento, poiché la natura è amica e ci nutre ma può essere anche nemica, illuderci, opprimerci.
Allievo indiretto del grande Robert Flaherty, fu all’altezza del maestro in molti perfetti gioielli del cinema documentario-poetico, non di denuncia, di constatazione: Il tempo del pesce spada, Isole di fuoco, Solfatara, Contadini del mare, Parabola d’oro… Esordì nel lungomentraggio con un capolavoro (1961: Banditi a Orgosolo), in anni che per il cinema italiano furono ricchi di capolavori e di esordi memorabili (Pasolini, Olmi, Petri, i Taviani). Il suo secondo film a soggetto fu molto diverso, un’intensa autoanalisi “borghese”, Un uomo a metà, che sconcertò molti critici ed entusiasmò Pasolini.
Nel 1956 avrebbe dovuto esordire con un film sul giovane sindacalista di Sciara ucciso dalla mafia, Salvatore Carnevale, un’idea che ripresero più tardi i Taviani per il loro esordio nel lungomentraggio. Lo conobbi nel ’56, venuto in visita durante la preparazione di questo film da Danilo Dolci, presso cui lavoravo, ed era il primo regista che io conoscessi, un incontro per me memorabile. Tanti anni dopo ci frequentammo assiduamente, con alti e bassi per via del suo carattere molto ombroso. Nobiluomo siculo-calabrese, inquieto e talora ossessivo, ebbe un’ultima grande occasione, quando la sua opera venne riscoperta e apprezzata da schiere di giovani documentaristi di tutto il mondo (un suo sponsor accanito fu negli anni novanta Martin Scorsese) con un film che ha parti bellissime (in particolare il primo e l’ultimo terzo del film), Lettere dal Sahara, tra i primi esempi di un cinema italiano infine alle prese con il tema centralissimo delle nuove immigrazioni.
Formidabile era stato il suo contributo alla televisione, un modello che la tremenda televisione degli ultimi decenni ha combattuto e fatto dimenticare, in particolare con il Diario di un maestro, che mescolava con estrema abilità e serietà la presa diretta e la ricostruzione, i personaggi reali e gli attori.
Chi poteva pensare a cosa sarebbe successo dopo in Italia, con gli anni Sessanta? Chi poteva pensare, nel ’54, che pochi anni dopo, di colpo, questo tipo di pesca sarebbe finito? Le miniere di zolfo? Finite. La pesca del tonno? Finita. La mietitura del grano? Finita. I riti della Pasqua? Finiti…”
Grazie a De Seta, di questo mondo che sembrava eterno ci restano immagini di assoluta poesia