Gassman Legge Dante - La Divina Commedia Inferno Canto XXIX

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  • เผยแพร่เมื่อ 19 พ.ย. 2024

ความคิดเห็น • 10

  • @gianmatteoryllo9230
    @gianmatteoryllo9230 4 ปีที่แล้ว +1

    Questi versetti di Gassmann sono bellissimi

  • @annademuro1007
    @annademuro1007 4 ปีที่แล้ว

    Bravissimo Gasma sei unico come spieghi ascoltate Gasma o leggete la divisa commedia in questo periodo che si sta a casa

  • @abdel5505
    @abdel5505 2 ปีที่แล้ว +3

    La molta gente e le diverse piaghe
    avean le luci mie sì inebrïate,
    che de lo stare a piangere eran vaghe. 3
    Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate?
    perché la vista tua pur si soffolge
    là giù tra l’ombre triste smozzicate? 6
    Tu non hai fatto sì a l’altre bolge;
    pensa, se tu annoverar le credi,
    che miglia ventidue la valle volge. 9
    E già la luna è sotto i nostri piedi:
    lo tempo è poco omai che n’è concesso,
    e altro è da veder che tu non vedi». 12
    «Se tu avessi», rispuos’io appresso,
    «atteso a la cagion perch’io guardava,
    forse m’avresti ancor lo star dimesso». 15
    Parte sen giva, e io retro li andava,
    lo duca, già faccendo la risposta,
    e soggiugnendo: «Dentro a quella cava 18
    dov’io tenea or li occhi sì a posta,
    credo ch’un spirto del mio sangue pianga
    la colpa che là giù cotanto costa». 21
    Allor disse ’l maestro: «Non si franga
    lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ello.
    Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 24
    ch’io vidi lui a piè del ponticello
    mostrarti, e minacciar forte, col dito,
    e udi’ ’l nominar Geri del Bello. 27
    Tu eri allor sì del tutto impedito
    sovra colui che già tenne Altaforte,
    che non guardasti in là, sì fu partito». 30
    «O duca mio, la violenta morte
    che non li è vendicata ancor», diss’io,
    «per alcun che de l’onta sia consorte, 33
    fece lui disdegnoso; ond’el sen gio
    sanza parlarmi, sì com’io estimo:
    e in ciò m’ha el fatto a sé più pio». 36
    Così parlammo infino al loco primo
    che de lo scoglio l’altra valle mostra,
    se più lume vi fosse, tutto ad imo. 39
    Quando noi fummo sor l’ultima chiostra
    di Malebolge, sì che i suoi conversi
    potean parere a la veduta nostra, 42
    lamenti saettaron me diversi,
    che di pietà ferrati avean li strali;
    ond’io li orecchi con le man copersi. 45
    Qual dolor fora, se de li spedali,
    di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre
    e di Maremma e di Sardigna i mali 48
    fossero in una fossa tutti ’nsembre,
    tal era quivi, e tal puzzo n’usciva
    qual suol venir de le marcite membre. 51
    Noi discendemmo in su l’ultima riva
    del lungo scoglio, pur da man sinistra;
    e allor fu la mia vista più viva 54
    giù ver lo fondo, la ’ve la ministra
    de l’alto Sire infallibil giustizia
    punisce i falsador che qui registra. 57
    Non credo ch’a veder maggior tristizia
    fosse in Egina il popol tutto infermo,
    quando fu l’aere sì pien di malizia, 60
    che li animali, infino al picciol vermo,
    cascaron tutti, e poi le genti antiche,
    secondo che i poeti hanno per fermo, 63
    si ristorar di seme di formiche;
    ch’era a veder per quella oscura valle
    languir li spirti per diverse biche. 66
    Qual sovra ’l ventre, e qual sovra le spalle
    l’un de l’altro giacea, e qual carpone
    si trasmutava per lo tristo calle. 69
    Passo passo andavam sanza sermone,
    guardando e ascoltando li ammalati,
    che non potean levar le lor persone. 72
    Io vidi due sedere a sé poggiati,
    com’a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
    dal capo al piè di schianze macolati; 75
    e non vidi già mai menare stregghia
    a ragazzo aspettato dal segnorso,
    né a colui che mal volontier vegghia, 78
    come ciascun menava spesso il morso
    de l’unghie sopra sé per la gran rabbia
    del pizzicor, che non ha più soccorso; 81
    e sì traevan giù l’unghie la scabbia,
    come coltel di scardova le scaglie
    o d’altro pesce che più larghe l’abbia. 84
    «O tu che con le dita ti dismaglie»,
    cominciò ’l duca mio a l’un di loro,
    «e che fai d’esse talvolta tanaglie, 87
    dinne s’alcun Latino è tra costoro
    che son quinc’entro, se l’unghia ti basti
    etternalmente a cotesto lavoro». 90
    «Latin siam noi, che tu vedi sì guasti
    qui ambedue», rispuose l’un piangendo;
    «ma tu chi se’ che di noi dimandasti?». 93
    E ’l duca disse: «I’ son un che discendo
    con questo vivo giù di balzo in balzo,
    e di mostrar lo ’nferno a lui intendo». 96
    Allor si ruppe lo comun rincalzo;
    e tremando ciascuno a me si volse
    con altri che l’udiron di rimbalzo. 99
    Lo buon maestro a me tutto s’accolse,
    dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»;
    e io incominciai, poscia ch’ei volse: 102
    «Se la vostra memoria non s’imboli
    nel primo mondo da l’umane menti,
    ma s’ella viva sotto molti soli, 105
    ditemi chi voi siete e di che genti;
    la vostra sconcia e fastidiosa pena
    di palesarvi a me non vi spaventi». 108
    «Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena»,
    rispuose l’un, «mi fé mettere al foco;
    ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena. 111
    Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco:
    "I’ mi saprei levar per l’aere a volo";
    e quei, ch’avea vaghezza e senno poco, 114
    volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo
    perch’io nol feci Dedalo, mi fece
    ardere a tal che l’avea per figliuolo. 117
    Ma nell ’ultima bolgia de le diece
    me per l’alchìmia che nel mondo usai
    dannò Minòs, a cui fallar non lece». 120
    E io dissi al poeta: «Or fu già mai
    gente sì vana come la sanese?
    Certo non la francesca sì d’assai!». 123
    Onde l’altro lebbroso, che m’intese,
    rispuose al detto mio: «Tra’mene Stricca
    che seppe far le temperate spese, 126
    e Niccolò che la costuma ricca
    del garofano prima discoverse
    ne l’orto dove tal seme s’appicca; 129
    e tra’ne la brigata in che disperse
    Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda,
    e l’Abbagliato suo senno proferse. 132
    Ma perché sappi chi sì ti seconda
    contra i Sanesi, aguzza ver me l’occhio,
    sì che la faccia mia ben ti risponda: 135
    sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio,
    che falsai li metalli con l’alchìmia;
    e te dee ricordar, se ben t’adocchio,
    com’io fui di natura buona scimia». 139

  • @cristianriccio5766
    @cristianriccio5766 9 ปีที่แล้ว +2

    Bello dovrei impararlo tutto a memoria per la fine dell'estate

    • @SSPTarkus
      @SSPTarkus 6 ปีที่แล้ว +1

      Ma lo stai ancora imparando?

    • @antonelle9175
      @antonelle9175 3 ปีที่แล้ว

      @@SSPTarkus ut

  • @francescocusato
    @francescocusato 9 ปีที่แล้ว +3

    Geri il bello parente di Dante ucciso da uno della famiglia dei sacchetti la famiglia di dante non lo vendicó

  • @francescocusato
    @francescocusato 9 ปีที่แล้ว +1

    Atmosfera

  • @ameliadiaz8040
    @ameliadiaz8040 4 ปีที่แล้ว

  • @francescomazzotta6474
    @francescomazzotta6474 4 ปีที่แล้ว

    bellissimo! avresti da caricare anche il XXXIII?