Questo tuo video podcast mi fatto sentire bene e rilassare molto perché mi sono rispecchiata in alcuni tuoi ragionamenti, in particolare quello sul raggiungimento degli obiettivi. Grazie per avermi dato questo momento di riflessione. Un saluto!💌
sono dell’idea che la felicità non sia un punto d’arrivo né uno stato mentale soggetto a un’effettiva presa di consapevolezza; piuttosto, credo che non siamo mai davvero felici finché pensiamo di essere tali, poiché nell’esatto momento in cui ci rendiamo conto di poter potenzialmente vivere un’esperienza felice, ci angosciamo nella paura che questa possa finire. Ecco dunque che il pensiero secondo il quale spesso e volentieri i ricordi risultano più piacevoli del momento stesso trova un’esplicazione concreta: se non sappiamo di essere felici, non possiamo rovinare il momento con pensieri intrusivi. Il fatto è che viviamo in un mondo dove l’individuo risponde al bisogno collettivo di andare alla ricerca della grande felicità, e questo implica una svalutazione delle piccole cose, che in realtà messe insieme danno modo all’essere di dire di aver vissuto, tutto sommato, una giornata felice. Al tempo stesso, qualora il singolo dovesse avere il coraggio di manifestare il proprio stato di gioia o approccio positivo nei confronti della vita, vi sarebbe in generale la tendenza a percepire la felicità dell’altro come un metro di paragone con la propria situazione, questo perché in molti (non tutti) fanno estremamente fatica ad empatizzare con l’altra persona nel momento in cui questa dimostra di star raggiungendo i propri obiettivi. Più in generale, l’uomo tende a rifiutarsi di credere in una vittoria altrui, poiché questo implicherebbe un senso di sconfitta. Il problema di base è che molti fanno fatica a scindere il percorso dell’altro dal proprio e sono propensi ad omologarsi a una sorta di processo per il quale discostarsi dal senso di insoddisfazione generale va a compromettere gli individui che ne fanno parte. Ritornando al discorso iniziale, la visione condivisa di una “felicità” come momento utopico e fine ultimo della vita dell’uomo va a ledere il piacere stesso per gli aspetti quotidiani, improvvisi e semplici della vita, e dunque il singolo che sceglie di vivere con un approccio positivo si ritrova ad aver paura di palesare tale scelta a causa di un atteggiamento condiviso che, sebbene da un lato invogli ad andare alla ricerca di una fantomatica felicità in senso assoluto, dall’altro cerca di ridimensionare chiunque provi ad avvicinarsi a una felicità in senso personale.
Stimo tanto come riesci ad aprirti sul web e ti ringrazio altrettanto💫
Questo tuo video podcast mi fatto sentire bene e rilassare molto perché mi sono rispecchiata in alcuni tuoi ragionamenti, in particolare quello sul raggiungimento degli obiettivi. Grazie per avermi dato questo momento di riflessione. Un saluto!💌
sono dell’idea che la felicità non sia un punto d’arrivo né uno stato mentale soggetto a un’effettiva presa di consapevolezza; piuttosto, credo che non siamo mai davvero felici finché pensiamo di essere tali, poiché nell’esatto momento in cui ci rendiamo conto di poter potenzialmente vivere un’esperienza felice, ci angosciamo nella paura che questa possa finire. Ecco dunque che il pensiero secondo il quale spesso e volentieri i ricordi risultano più piacevoli del momento stesso trova un’esplicazione concreta: se non sappiamo di essere felici, non possiamo rovinare il momento con pensieri intrusivi. Il fatto è che viviamo in un mondo dove l’individuo risponde al bisogno collettivo di andare alla ricerca della grande felicità, e questo implica una svalutazione delle piccole cose, che in realtà messe insieme danno modo all’essere di dire di aver vissuto, tutto sommato, una giornata felice.
Al tempo stesso, qualora il singolo dovesse avere il coraggio di manifestare il proprio stato di gioia o approccio positivo nei confronti della vita, vi sarebbe in generale la tendenza a percepire la felicità dell’altro come un metro di paragone con la propria situazione, questo perché in molti (non tutti) fanno estremamente fatica ad empatizzare con l’altra persona nel momento in cui questa dimostra di star raggiungendo i propri obiettivi. Più in generale, l’uomo tende a rifiutarsi di credere in una vittoria altrui, poiché questo implicherebbe un senso di sconfitta. Il problema di base è che molti fanno fatica a scindere il percorso dell’altro dal proprio e sono propensi ad omologarsi a una sorta di processo per il quale discostarsi dal senso di insoddisfazione generale va a compromettere gli individui che ne fanno parte. Ritornando al discorso iniziale, la visione condivisa di una “felicità” come momento utopico e fine ultimo della vita dell’uomo va a ledere il piacere stesso per gli aspetti quotidiani, improvvisi e semplici della vita, e dunque il singolo che sceglie di vivere con un approccio positivo si ritrova ad aver paura di palesare tale scelta a causa di un atteggiamento condiviso che, sebbene da un lato invogli ad andare alla ricerca di una fantomatica felicità in senso assoluto, dall’altro cerca di ridimensionare chiunque provi ad avvicinarsi a una felicità in senso personale.
Anche io stimo tanto come si apre
si sempre te stesso ovviamente con prudenza, perchè non tutto si può dire a tutti.
gioele che spiega l’inspiegabile
:)
gio, ci conosciamo per favore
brusssss, ma a te son mancati quei 2 amici veri a cui dicevi tutto, ecco cosa ti mancava
forse è quello sí :)