Maria Valtorta - Evangelo cap. 649: Transito beato di Maria Ss.
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- เผยแพร่เมื่อ 5 พ.ย. 2024
- Maria Valtorta - Evangelo cap. 649: Transito beato di Maria Ss.
21 novembre 1951.
Maria, nella sua stanzetta solitaria, alta sulla terrazza, tutta vestita di candido lino, sia nella veste che le copre le membra, sia nel manto che, fermato alla radice del collo, le scende dietro le spalle, sia nel velo sottilissimo che le scende dal capo, sta ordinando le vesti sue e di Gesù, che ha sempre conservate. Sceglie le migliori. E sono poche. Delle sue prende la veste e il manto che aveva sul Calvario; di quelle del Figlio, una veste di lino che Gesù usava portare nei giorni estivi e il manto ritrovato nel Getsemani, ancora macchiato del sangue sgorgato col sudore sanguigno di quell’ora tremenda.
Dopo avere ben piegati questi indumenti e baciato il manto sanguinoso del suo Gesù, si dirige al cofano dove sono, ormai da anni, raccolte e conservate le reliquie dell’ultima Cena e della Passione. Raduna tutte queste su di un unico piano, quello superiore, e depone tutte le vesti in quello inferiore.
Sta chiudendo il cofano quando Giovanni, salito silenziosamente sulla terrazza - e affacciatosi a guardare cosa facesse Maria, forse impressionato dalla sua lunga assenza dalla cucina - dove deve esser salita a passare le ore del mattino, la fa volgere di scatto col chiederle: «Che fai, Madre?».
«Ho messo a posto tutto quanto è bene conservare. Tutti i ricordi… Tutto quanto è testimonianza del suo amore e dolore infiniti».
«Perché, o Madre, riaprirti le ferite del cuore col rivedere quelle tristi cose? Sei pallida, e la tua mano trema… Tu dunque soffri nel vederle», le dice Giovanni venendole vicino, quasi temesse che Ella, così pallida e tremante come è, abbia a sentirsi male e cadere per terra.
«Oh! non è per questo che son pallida e tremo. Non è perché mi si riaprono le ferite… Esse, in verità, non si sono mai chiuse completamente. Ma pure la pace e il gaudio sono in me, e mai come ora sono stati completi».
«Mai come ora? Non capisco… A me la vista di quelle cose, piene di atroci ricordi, mi ridesta l’angoscia di quelle ore. E io non sono che un suo discepolo. Tu sei la Madre…».
«E come tale dovrei soffrire di più, vuoi dire. E, umanamente, dici giusto. Ma così non è. Io sono abituata a sopportare il dolore delle separazioni da Lui. Sempre dolore, perché la sua presenza e vicinanza erano il mio Paradiso in terra. Ma anche sempre volonterosamente e serenamente subite, perché ogni sua azione era voluta dal Padre suo, era ubbidienza alla Volontà divina, e quindi io l’accettavo perché io pure ho sempre ubbidito ai voleri e disegni di Dio per me. Quando Gesù mi lasciava, soffrivo. Certo. Mi sentivo sola. Il mio dolore quando Egli, fanciullo, mi lasciò occultamente, per la disputa coi dottori del Tempio, solo Dio l’ha misurato nella sua più vera intensità. Ma pure, tolta la domanda giusta che io, madre, gli feci per avermi lasciata così, non gli dissi altro. E così pure non lo trattenni quando mi lasciò per divenire il Maestro… ed ero già vedova dello sposo mio, e quindi sola, in una città che, salvo rare persone, non mi amava. E non mostrai stupore per la sua risposta al banchetto di Cana. Egli faceva la volontà del Padre. Io lo lasciavo libero di farla. Potevo giungere ad un consiglio o ad una preghiera. Consiglio sui discepoli, preghiera per qualche infelice. Ma più di così, no. Soffrivo quando Egli mi lasciava per andare tra il mondo, ostile a Lui e peccatore al punto che il vivervi in mezzo, per Lui, era sofferenza. Ma quanta gioia quando Egli tornava a me! In verità essa era così profonda che mi compensava settanta volte sette del dolore della separazione. Straziante il dolore della separazione conseguente alla sua Morte, ma con quali parole potrei dirti il gaudio che provai quando m’apparì risorto? Immensa la pena della separazione, che non avrebbe avuto fine altro che quando la mia vita terrena fosse compiuta, per la sua ascesa al Padre.
Ora io sono nel gaudio, immenso gaudio come immensa fu la pena, perché sento che la mia vita è compiuta. Ho fatto quanto dovevo fare. Ho finito la mia missione terrena. L’altra, quella celeste, sarà senza fine. Dio mi ha lasciata sulla Terra sinché io pure, come il mio Gesù, ho tutto compiuto di quanto dovevo compiere. E ho in me quella segreta gioia, unica goccia di balsamo nei suoi amarissimi estremi strazi, che ebbe Gesù quando poté dire: “Tutto è compiuto”».
«Gioia in Gesù? In quell’ora?».
«Sì, Giovanni. Una gioia incomprensibile agli uomini. Ma comprensibile agli spiriti già viventi nella luce di Dio e vedenti le cose profonde, nascoste sotto i veli che l’Eterno stende sui suoi segreti di Re, in grazia di quella luce. Io, così angosciata, sconvolta da quegli eventi, consocia a Lui, al Figlio mio, nell’abbandono del Padre, non compresi, allora. La Luce s’era spenta per tutto il mondo in quell’ora, per tutto il mondo che non l’aveva voluta accogliere. E anche per me....