IPAP - Gianfranco Bonola - La muta del serpente - Casa della Psicologia, Torino, 16/12/2024
ฝัง
- เผยแพร่เมื่อ 27 ม.ค. 2025
- IPAP Istituto di Psicologia Analitica e Psicoterapia
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia (Ric. D.M. 25-05-2016, N. 1063)
Lezione aperta del Prof. Gianfranco Bonola
"La muta del serpente. Il Buddhismo, la sofferenza inevitabile e la terapia"
Casa della Psicologia, Torino (TO)
16 dicembre 2024
Nell'ambito dell'IPAP Open House 2024: "Forme e trasformazioni della relazione: uomo, natura, cosmo. Prospettive psicologiche e psicoterapeutiche, filosofiche e storico-artistiche”
www.ipap-jung.eu
Negli scritti più antichi che ci tramandano la predicazione del Buddha, il tono prevalente è quello dell’esposizione piana e razionale, quasi sempre accompagnato dall’esortazione a mettere in pratica gli insegnamenti, mentre soltanto qua e là balenano delle metafore illuminanti. Una delle più preziose ed efficaci è quella, citata nel titolo, della muta del serpente. Un fenomeno a tutti noto, ma non per questo meno mirabile, su cui si è soffermata la riflessione simbolica fin dall’ antichità. Risultava (e rimane) singolarmente eloquente il contrasto tra la vecchia pelle vuota e opaca che il serpente abbandona e la smagliante lucentezza delle nuove squame che ora lo rivestono. Non stupisce che anche in culture diverse questo abbia fatto pensare a un processo di guarigione o di autorigenerazione spirituale. A tale caratteristica di un animale per molti versi simbolico deve il suo titolo la prima parte del Suttanipāta [Raccolta dei discorsi], un’antica raccolta di discorsi del Buddha, inaugurata appunto dall’Uragasutta [Discorso del serpente], testo nel quale da un capo all’altro si ribadisce: “Come un serpente fa con la sua vecchia pelle consunta”. Questa metafora può essere un punto di partenza proficuo per affrontare in prospettiva buddhista il nodo costituito dall’esperienza della separazione e dell’abbandono, con il suo corredo dolente di rimpianto e nostalgia. Muovendo di qui si può mostrare come l’impianto stesso del buddhismo originario presenti dei tratti fondamentali che implicano una sua funzione “terapeutica”, a partire dal tema centrale della “sofferenza”, che il Buddha dichiara intrinseca e ineludibile nella vita degli esseri senzienti (umani e non). Si vedrà come nella pratica buddhista proprio le condizioni di separazione e allontanamento, che, se vissute come eventi cruciali nell’esistenza, sono fonte di aspra sofferenza, diventano oggetto di un’inversione dialettica totale e assumono la forma di strategie curative e liberatorie. Esse vengono perciò proposte come mezzi per il superamento della situazione di sofferenza, sia sul piano concreto che a livello metafisico. Soprattutto il motivo dell’“abbandonare”, del “lasciar andare”, “lasciar cadere”, come vedremo, risulta fondamentale per contrastare la dimensione negativa dell’“attaccamento” e risulta centrale nelle istruzioni fornite ai monaci e ai laici praticanti sia per la progressione spirituale, sia per la meditazione. Anche per queste non occasionali sintonie, si è oggi attenti in ambito psicologico a un uso terapeutico della meditazione, non senza riguardo all’impianto buddhista originario, valutato positivamente per la sua “laicità”. L’intervento, in stile seminariale, sarà incentrato sulla lettura e sull’analisi di testi buddhisti, introdotti dal relatore e discussi collegialmente.
Gianfranco Bonola è ordinario di Storia delle religioni all’Università degli Studi di Roma Tre. Si è formato all’Università di Torino e, successivamente, perfezionato presso l’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna e l’Università di Tübingen. Al centro dei suoi interessi vi è la relazione tra forme di espressione religiosa e filosofia, in particolare tra la Bibbia e le sue interpretazioni in ambito cristiano ed ebraico, soprattutto in relazione al tema messianico. Dopo avere lavorato sull’ermeneutica biblica in epoca illuministica, ha studiato e tradotto pensatori ebrei del ‘900, come Franz Rosenzweig (La radice che porta. Lettere su ebraismo e cristianesimo, 1992 e La stella della redenzione, 2005), Walter Benjamin (Sul concetto di storia, 1997 e Testi e commenti, 2013), Martin Buber (Il cammino dell’uomo, 2000), Gershom Scholem (Scholem/Shalom. Due conversazioni con Gershom Scholem su Israele, gli ebrei e la qabbalah, 2001) e Margarete Susman (Il libro di Giobbe e il destino del popolo ebraico, 1999). Tra i suoi saggi, ricordiamo Il paragrafo ariano. Le chiese evangeliche di fronte al nazismo (2013). Relatore a Eranos in più occasioni, ha curato, per la collana dei “Classici di Eranos”, la nuova edizione di Esistenza simbolica e sacramentale nell’Ebraismo di Martin Buber (in corso di pubblicazione). Da molto tempo si dedica all’indagine di alcuni aspetti fondamentali delle forme di spiritualità orientale che sono comprese nella tradizione buddhista mahāyāna. Vive ad Alagna Valsesia, dopo aver frequentato fin dall’adolescenza in vari modi il massiccio del Monte Rosa.