L'accento grafico

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  • เผยแพร่เมื่อ 9 ก.ย. 2024

ความคิดเห็น • 14

  • @ariannaqueen6622
    @ariannaqueen6622 2 ปีที่แล้ว +8

    Spieghi benissimo , mi hai aiutato tantissimo, grazie mille

  • @danieleddndandani
    @danieleddndandani ปีที่แล้ว +2

    Chiaro e preciso nella spiegazione

  • @paulorenatodemaria6106
    @paulorenatodemaria6106 4 หลายเดือนก่อน +1

    Grazie mille.

    • @MarcelloMeinero76
      @MarcelloMeinero76  4 หลายเดือนก่อน

      Grazie a te per aver lasciato un messaggio 😊

  • @patriziabisso231
    @patriziabisso231 10 หลายเดือนก่อน +1

    sono pronta per la verifica!

  • @susannaroselli1742
    @susannaroselli1742 2 ปีที่แล้ว +2

    Mi hai aiutato molto con il dialetto sardo-livornese

  • @utam.3210
    @utam.3210 ปีที่แล้ว

    Grazie mille, mi piace molto imparare la linguistica italiana 😊

  • @lilianaminotti1211
    @lilianaminotti1211 2 ปีที่แล้ว +2

    Grazie, sei bravissimo e chiaro

  • @susannaroselli1742
    @susannaroselli1742 2 ปีที่แล้ว +1

    Grandissimo come sempre 🦾 sei un grande

  • @gabrielezampella343
    @gabrielezampella343 3 ปีที่แล้ว +8

    Grazie a te ho capito più bene

  • @edenoliveira1351
    @edenoliveira1351 ปีที่แล้ว

    POEMA DI GRATITUDINE E LODE A GEOVA
    O Geova, sei magnifico! Santifica
    Il tuo nome, adempiendo il tuo proposito:
    L’intera terra stupenda, pacifica;
    La fine del funesto mondo inospito.
    Rivendica coi tuoi strumenti bellici
    La tua sovranità che non ha termini.
    I malvagi non vanno a dirti: “Svellici!”
    Ma gioia dalla giusta pace germini!
    “O Morte” ognuno ammette, “ognora sradichi
    I sogni i quali in seno e cuore semino.
    Momenti di sognar son più sporadichi
    Finché mi seppelliscano o mi cremino.”
    “O ultimo nemico, decomponimi!
    Ma non mi puoi assistere né ledere.
    Lasciami lì fra quei defunti anonimi.
    In sostanze trasformami per edere.”
    “Quelli nei cimiteri I quali tumuli
    Già ne vengano fuori! Sì, divarica
    Le labbra e siano liberi dai cumuli.
    Dio t’inghiottisca, Bocca più barbarica.”
    “Peccato, fino al feretro sei lievito.
    Da te non c’è ricovero: combattimi!
    Fracassami lo scheletro! Non evito
    Di averti adosso: annovero tre attimi.”
    “O Tempo, sei un orologio a pendolo
    E le lancette e prima che mi lascino
    Esser preso dal panico, attendendolo,
    L’avrò lasciato prendermi col fascino.”
    “O Vita, preferisco quel tuo carico
    Al riposo a cui credo e che procrastino.
    Di malattie in me non mi rammarico
    E i mesi belli e buoni non mi bastino.”
    Essendo ben robusto come il bufalo
    Il brillo cuor dei brevi sogni brulica.
    La brace che lo bruccia urlando: “Stufalo!”
    D’un botto è bruma: buia, brutta, abulica.
    Sorse il sole; la sacra vita persero:
    Poi non fu né gradevole né orrido.
    Non ne vedono il vivido riverbero.
    È tardi per sentirne il caldo torrido.
    Le bare sono il carico di mogano
    Ma prive di rammarico e dei brividi
    In cui defunti tumidi s’affogano
    Nei pianti altrui più umidi, più vividi.
    Per calarli nei buchi che si allargano
    (Non per tirarli su ai cieli) c’erano
    Una funebre fune lunga e l’argano.
    Ma mentre ci riposano, non sperano.
    Ognora gente ignota e gente celebre
    È seppelita sotto nuove lapidi,
    Inerte nel silenzio e nelle tenebre,
    Dove i minuti non saranno rapidi.
    Eredità o età ci son mortifere.
    L’inesistenza solo sa dissolvere
    Dei corpi le cervelle, carni e viscere:
    A terra l’uomo torna come polvere.
    Polvere, va nel vortice, diffonditi,
    Trasforma dei defunti in te, dirigine
    Le particelle ai posti più reconditi,
    Mescolati con cenere e caligine.
    Le vite corte vengono dal culmine,
    Sembrano salde, assicurate, solide,
    Fuggono con fulgore come il fulmine,
    E finiscono infine come il bolide.
    Non possono sapere quanto valsero.
    Non vissero mai come il vecchio rovere.
    Come il vento muoveva in vano un albero
    Nemmeno il terremoto li può muovere.
    Le folle se ne furono e nel cofano
    Già senza fame e sete non si cibano.
    Non guardano né guerra né garofano,
    Non percepiendo puzzo oppure olibano.
    Benchè sul ciglio i semplicioni basino
    La loro fede sulla farsa, l’anima
    Che pecca muore come muore l’asino:
    Osando esistere se ne disanima.
    Non è l’anima come la crisalide:
    Così né come il bozzolo il cadavere.
    I morti sono mere salme invalide
    Da cui un po’ di vita può evadere.
    Tu, Geova, ci dimostri in modo esplicito
    Che furono sfollate le necropoli.
    Il fiato dei defunti, il loro spirito,
    Già non è più: non paiono dei popoli.
    I morti sono morti come cenere.
    Nelle tombe non stanno mai per ardere.
    L’amor tuo non permette mai tal genere
    Di gran tormento eterno come carcere.
    Per mezzo dal peccato che dall’utero
    Provenne, negli uomini decrepiti
    Le malattie e morte si diffusero
    Come ci si diffondono gli strepiti.
    E vivevamo come se non fossimo
    Mortali e come se noi non cessassimo
    Di esistere nell’attimo più prossimo
    Dopo che fummo già vissuti al massimo.
    Ma dall’errore tu ci vuoi redimere
    Già non aggiungeremo mai un cubito
    Alla durata delle nostre effimere
    E dure vite che non sono subito.
    Fa certo l’esito del Regno; tieniti
    A forza, autorità, potenza; assumile
    Per mezzo di Gesù: dei primogeniti
    È stato il primo: splendido e più umile.
    Pel tuo nome hai un popolo e condottolo
    Sano e salvo al tuo santo monte schiudine
    La vista perché veda il vero viottolo
    Di giustizia e giudizio e rettitudine.
    Cristiani, le tue testimoni, stettero
    A predicar di casa in casa. Mandali,
    O Geova, a due a due da qui all’estero
    E ti piacciano i loro piedi e sandali.
    Tu dici loro: “Preghi, piangi, tremoli
    E quei persecutori ti depredano.
    Son l’erba verde come dei prezzemoli.
    Si seccheranno presto come il sedano.”
    “Porta la buona notizia, interrompiti
    Solo se te lo dico, metti in pratica
    L’ordine che ti diedi, adempi i compiti
    Di rendermi testimonianza enfatica.”
    La loro vita già fu uno sperpero.
    Furono parte delle masse armigere.
    Ma nel battesimo dall’acqua emersero.
    Sul bene non poterono transigere.
    Odine i gemiti: se i re li informano
    Di pene rigide o di chi li trucida.
    Sentine i tremiti perché non dormano
    In celle frigide con l’aria mucida.
    Scioglili quando sembrano la rondine
    Da quella freccia che gli spacca i fegati.
    Coprili, dall’uccellator nascondine
    L’allegro piccolini e diggli: “Slegati!”
    Gesù narrò parabole ai discepoli
    Perché i due greggi docili imparassero:
    Che valsero assai più di fiori deboli
    Come il giglio e d’uccelli come il passero.
    Pesa, Pastor, la pecorina, accettala
    Nel tuo pascolo, pascila e poi toltala
    Da ferro e fuoco, fascila: Protettala
    Da quei leoni, lupi e ladri, ascoltala.
    Cura ciascuna delle care pecore,
    Calmane il cuore e calcolane i palpiti.
    Sì, dell’amor che mostra a te sei memore
    E badi che la bestia non la scalpiti.
    Tutti i giusti cristiani in piede stavano
    Dinanzi al trono e vennero dall’unica
    Grande tribolazione. Quindi lavano
    Nel sangue di Gesù la loro tunica.
    Dai cieli puri sul cui già non specoli
    Michele e le sue schiere ardite espulsero
    Te, Dragone, e demoni dopo secoli
    E cadeste nel vostro mondo adultero.
    Uomini son del mondo senza regole,
    Testardi, con un pessimo carattere,
    Superbi, colle bocche più pettegole,
    Calunniatori, pronti per combattere,
    Amanti del denaro e delle rendite,
    Gonfi d’orgoglio e discussione frivola,
    Come Esaù amanti delle vendite,
    Sleali se la loro lingua scivola,
    Amanti di sé stessi e senza crediti,
    Bestemmiatori, traditori, apostati,
    Millantatori, a dei piaceri dediti.
    Ma Geova ci esortò: “Da questi scostati.”
    Dicono: “Carne sei per maschi e femine.
    Da te rimuovi il tuo amore, intridine
    Le menti delle perversioni e premine
    I corpi nudi e caldi con libidine.”
    Ma non diranno: “Rompici, succidici,
    O Signore, e così nel nulla chiudici.
    O noi e i nostri complici e causidici
    Vogliamo rimaner malvagi e sudici.”
    “La volontà d’indulgere già estortaci
    Ci venga incontro!” dicono. “Persuadici
    A vivere con ulcere ed esortaci
    A trasformarci in ubriachi fradici.”
    Anche nel tempo della fine l’ordine
    È presto data all’animale indomito:
    “O Bestia, amazza Babilonia, mordine
    Le molte carni e mangiala col vomito!”
    Tu, Altissimo, non gli dici: “Salici!”
    Perché vestita di scarlatto e porpora,
    In mano ha il più sudicio dei calici;
    Quando fornicazione in lei s’incorpora.
    Dice: “Dietro le maschere mie falsami,
    O Santimonia! Folla mia, rimanici,
    Perché ti posso pascere con balsami
    Ma satura di simboli satanici.”
    E per la propria crescita già intorbida
    Acque e fin dalla nascita le sgomina.
    Gli danno stima illecita, ben morbida,
    L’aprovazione tacita e la nomina.
    Ma dei demoni gli hanno detto: “Al margine
    Dell’ampia strada sei caduta. Vistici,
    Persegui i testimoni santi, spargine
    Il sangue e cerca i redditi egoistici.”
    La bestia più selvaggia macera
    La meretrice mistica, fantastica,
    La rende nuda con la veste lacera,
    L’ammazza, sì, la morde, sì, la mastica.
    Mangiandone le carni lei la spappola.
    Mercanti, naviganti e re, scorgendola
    Bruciata e devastata nella trappola,
    Diranno poi: “Sventura, pornivendola!”
    Onnipotente, puoi dai posti escludere
    Del mondo inicuo il governante becero
    Nel bel pianeta che tornò in rudere,
    I suoi ministri, il male a noi che fecero.
    Alla guerra di Har-maghedon, imponiti
    La bocca con la bile non ti biasimi.
    Conoscano che Geova sei, e attoniti
    Per la paura piangano gli spasimi.
    Re dei re, le nazioni non ti vollero.
    Prendi la lunga spada, (non dal cingolo),
    Dalla tua bocca e dille: “Non vi tollero!”
    Gesù, con essa dalle un colpo singolo.
    Batti i demoni e Satana e distruggine
    I subalterni umani che si levano
    Contro di te: Ne roda infine ruggine
    Le lingue e falsità che ti offendevano.