La grotta grande dell'Argentarola

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  • เผยแพร่เมื่อ 18 ก.ย. 2024
  • L’immersione è un tuffo nel passato e nella biodiversità, oltre che un’ottima palestra per tutti i “cave divers”.
    La grande grotta dell’Argentarola offre un’ambiente marino biologicamente peculiare e affascinante, tipico delle grotte. L’ingresso della grotta, abbastanza stretto, si trova a soli 5 metri di profondità.
    Una volta entrati, si apre un’ampia sala principale molto suggestiva, con stalattiti e stalagmiti. Dalla sala principale, che raggiunge circa 15 metri di profondità, è ancora possibile vedere l’uscita, ma i sedimenti e il finissimo limo fangoso sul fondo rischiano di ridurre improvvisamente la visibilità fino ad eliminarla del tutto. L’ingresso è pertanto consigliato ai sub addestrati per immersioni in ambienti ostruiti e in zero-visibilità.
    Qui sono possibili due jump di circa 20 metri di lunghezza. Un pozzo verticale conduce poi a un’altra sala fino a oltre 40 metri: il passaggio, molto stretto, avviene inevitabilmente in zero-visibilità a causa del limo. La penetrazione è quindi consentita solo a subacquei “Cave 2”, meglio ancora se in configurazione side-mount.
    LE SCOPERTE NELLA GROTTA DELL’ARGENTAROLA
    Quello che sappiamo sull’innalzamento del Mar Tirreno negli ultimi millenni lo dobbiamo quasi esclusivamente agli studi eseguiti su pochissime grotte sommerse, che hanno caratteristiche uniche, particolarmente adatte a questo tipo di ricerche. L’unica nel Tirreno centro-settentrionale è proprio la nostra grotta grande dell’Argentarola!
    La particolarità che rende speciale questa grotta è dovuta ad alcuni dei suoi “abitanti”: nelle epoche in cui è allagata dal mare, come l’epoca attuale, alcuni organismi marini chiamati serpulidi colonizzano le stalattiti fino a dare vita, nel tempo, a vere e proprie concrezioni biogeniche. Si tratta di anellidi, simili agli spirografi ma di dimensione inferiore, molto interessanti anche da osservare.
    Le ricerche scientifiche sono state eseguite a partire dal 1990. Sezionando alcune stalattiti, gli studiosi hanno trovato un’alternanza di strati di composizione diversa: alcuni di origine calcarea continentale (formate quando la grotta era asciutte) alternati ad altri di origine marina biogenica, formati appunto dalle concrezioni dei serpulidi nei periodi in cui la grotta era allagata. Calcolando la data di ogni strato (con varie tecniche tra cui il carbonio 14) e ripetendo l’operazione su diverse stalattiti tra i 3,5 e i 21,7 metri di profondità, è stato quindi possibile leggere una cronologia completa e contribuire a disegnare con precisione l’andamento del livello del mare negli ultimi 215mila anni!
    Nel giugno 2003 i ricercatori dell’ENEA, coordinati dal geologo Fabrizio Antonioli, hanno prelevato insieme ai sommozzatori dei Vigili del Fuoco, una stalagmite di 90 kg, alta circa un metro. Ci sono voluti 4 giorni di lavoro per tirarla fuori, ma i risultati sono stati oltre le aspettative. All’interno della stalagmite, analizzata nei laboratori della National Australian University di Camberra, sono rimaste chiaramente impresse 5 trasgressioni marine in un arco di tempo che va da 330.000 anni fa ad oggi, fornendo elementi di conoscenza circa la loro durata, le temperature dell’aria dei periodi glaciali (quando la cavità era ben lontana dal mare) nonché le temperature dell’acqua del mare per i periodi durante i quali la stalagmite era sommersa dal mare e ricoperta da serpulidi.
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    Un ringraziamento speciale va a tutto il team: Marco Bossi, il Milo, Mattia Mura, Paolino "l'esploratore" Fontana, Filippo Bargelli, Federico, Andrew Gaspar & Mitcha.

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