Buongiorno prof.Bellissimo(come tutti i suoi video ) video. Mi sembra di capire che per Protagora vero e falso sono categorie inutili sul piano teoretico e speculativo.Sono troppe le questioni indecidibili.Quindi è inutile scervellarsi su teorie che non possiamo dimostrare empiricamente.Ciò che conta sono le verità con la "v" minuscola.Quelle verità che possiamo utlizzare concretamente per migliorare la società.La domanda è questa:se una teoria è empiricamente sbagliata,ma con l'uso della retorica si riesce a renderla utile a se stessi e alla comunità,va accettata?Viveversa,se una teoria è vera ,ma non è utile,va rigettata?Non capisco bene che cosa intenda Protagora con "utile".Non sempre ciò che viene ritenuto utile è necessariamente positivo per se stessi e la società.
La teoria di Protagora, che mira a sostituire il concetto di "verità assoluta" (volendo, con la V maiuscola) con quello pragmatico di "utilità", dal mio punto di vista, non risolve ma rinvia il problema. Come anche lei sottolineava, chi o che cosa garantisce che una teoria sia "veramente" utile? Il concetto di verità, una volta buttato fuori dalla finestra (e apparentemente sostituito con il concetto di utilità), rientra inevitabilmente dalla porta principale (perché siamo costretti a chiederci, prima o poi, che cosa sia "veramente" utile). Ovviamente possiamo dire che la verità a cui facciamo riferimento non è più una verità assoluta, fuori dal tempo, ma relativa, o meglio relazionale e contestuale. Ma evitare completamente il riferimento al concetto di verità, pur depotenziandolo da assoluto a relativo, sembrerebbe impossibile. Torno poi nello specifico sulle sue osservazioni. Quando Protagora parla di "utilità" ha in mente, per quello che mi sembra di capire, soprattutto il campo della politica. Non esistono leggi assolute, che possano essere imposte in tutti i tempi e in ogni luogo. Quindi le norme, morali e sociali, dovrebbero rispondere in primo luogo a ciò che effettivamente è utile all'interno di quella specifica comunità (il che ci porta inevitabilmente al problema, sottolineato prima, di distinguere ciò che è "veramente" utile da ciò che sembra solo esserlo, ma non lo è). Protagora, in fondo, intende proporre una versione politicamente positiva del sofista: certo, il sofista utilizza le armi della persuasione più che quelle della logica (e, d'altra parte, non può che essere così visto che molte questioni sono indecidibili dal punto di vista razionale); ma il suo compito, socialmente ed eticamente positivo, è individuare ciò che è utile alla comunità e convincere la collettività a realizzarlo. Il problema tuttavia è: chi ci assicura che il sofista utilizzi le sue arti oratorie in funzione del benessere della comunità e non, invece, come è più volte accaduto nell'agone politico anche più recente, in vista del suo utile personale? Al netto di questo problema, l'idea che le leggi debbano rispondere, più che a principi assoluti, a ciò che è utile per la comunità nel suo specifico contesto storico, geografico e culturale è interessante e apre un dibattito ancora attuale. Da un lato consentirebbe di avere, in ambito politico, un approccio più tollerante, aperto al confronto e meno integralista. Ad esempio, sarebbe difficile dire, come talvolta accade: "non dobbiamo garantire questi diritti a queste minoranze perché Dio stesso (o qualche altro assoluto) non lo vuole". Dall'altro, tuttavia, verrebbe forse naturale chiedersi se davvero non ci sia alcun principio assoluto a cui la politica dovrebbe ispirarsi, a prescindere da ciò che appare utile per la comunità. Ad esempio, supponendo che accada, in un particolare momento, che sarebbe utile per una comunità sterminare una minoranza o un'altra popolazione, potrebbe essere questa una scelta davvero accettabile dal punto di vista politico e morale?
Buongiorno prof.Bellissimo(come tutti i suoi video ) video.
Mi sembra di capire che per Protagora vero e falso sono categorie inutili sul piano teoretico e speculativo.Sono troppe le questioni indecidibili.Quindi è inutile scervellarsi su teorie che non possiamo dimostrare empiricamente.Ciò che conta sono le verità con la "v" minuscola.Quelle verità che possiamo utlizzare concretamente per migliorare la società.La domanda è questa:se una teoria è empiricamente sbagliata,ma con l'uso della retorica si riesce a renderla utile a se stessi e alla comunità,va accettata?Viveversa,se una teoria è vera ,ma non è utile,va rigettata?Non capisco bene che cosa intenda Protagora con "utile".Non sempre ciò che viene ritenuto utile è necessariamente positivo per se stessi e la società.
La teoria di Protagora, che mira a sostituire il concetto di "verità assoluta" (volendo, con la V maiuscola) con quello pragmatico di "utilità", dal mio punto di vista, non risolve ma rinvia il problema. Come anche lei sottolineava, chi o che cosa garantisce che una teoria sia "veramente" utile? Il concetto di verità, una volta buttato fuori dalla finestra (e apparentemente sostituito con il concetto di utilità), rientra inevitabilmente dalla porta principale (perché siamo costretti a chiederci, prima o poi, che cosa sia "veramente" utile). Ovviamente possiamo dire che la verità a cui facciamo riferimento non è più una verità assoluta, fuori dal tempo, ma relativa, o meglio relazionale e contestuale. Ma evitare completamente il riferimento al concetto di verità, pur depotenziandolo da assoluto a relativo, sembrerebbe impossibile.
Torno poi nello specifico sulle sue osservazioni. Quando Protagora parla di "utilità" ha in mente, per quello che mi sembra di capire, soprattutto il campo della politica. Non esistono leggi assolute, che possano essere imposte in tutti i tempi e in ogni luogo. Quindi le norme, morali e sociali, dovrebbero rispondere in primo luogo a ciò che effettivamente è utile all'interno di quella specifica comunità (il che ci porta inevitabilmente al problema, sottolineato prima, di distinguere ciò che è "veramente" utile da ciò che sembra solo esserlo, ma non lo è).
Protagora, in fondo, intende proporre una versione politicamente positiva del sofista: certo, il sofista utilizza le armi della persuasione più che quelle della logica (e, d'altra parte, non può che essere così visto che molte questioni sono indecidibili dal punto di vista razionale); ma il suo compito, socialmente ed eticamente positivo, è individuare ciò che è utile alla comunità e convincere la collettività a realizzarlo. Il problema tuttavia è: chi ci assicura che il sofista utilizzi le sue arti oratorie in funzione del benessere della comunità e non, invece, come è più volte accaduto nell'agone politico anche più recente, in vista del suo utile personale?
Al netto di questo problema, l'idea che le leggi debbano rispondere, più che a principi assoluti, a ciò che è utile per la comunità nel suo specifico contesto storico, geografico e culturale è interessante e apre un dibattito ancora attuale. Da un lato consentirebbe di avere, in ambito politico, un approccio più tollerante, aperto al confronto e meno integralista. Ad esempio, sarebbe difficile dire, come talvolta accade: "non dobbiamo garantire questi diritti a queste minoranze perché Dio stesso (o qualche altro assoluto) non lo vuole".
Dall'altro, tuttavia, verrebbe forse naturale chiedersi se davvero non ci sia alcun principio assoluto a cui la politica dovrebbe ispirarsi, a prescindere da ciò che appare utile per la comunità. Ad esempio, supponendo che accada, in un particolare momento, che sarebbe utile per una comunità sterminare una minoranza o un'altra popolazione, potrebbe essere questa una scelta davvero accettabile dal punto di vista politico e morale?