Credo che Dio, come rappresentazione, non possa che aderire alla rappresentazione di un essente . Ed è proprio in virtù dell'unicità dell'essente (o dell'oggetto - soggetto) che Dio non può che essere rappresentato come onnipresente nel tempo e nello spazio. Consequentemente la rappresentazione di Dio non può che essere unica per ogni essente . La domanda è se ci troviamo difronte ad un Dio capace d'ogni unicità, o difronte alle unicità di ogni Dio rappresentato all'essente . Personalmente possiedo un linguaggio sufficiente a se stesso ; uno per la tecnica dei versi, uno per la prosa, uno per le canzoni. Tra tutti, il linguaggio non tanto più ricco ma quanto più complesso è quello che uso per riflettere, per immaginare ed in definitiva per pensare; ulteriormente suddivisibile tra un pensiero fluviale ampio ma poco consistente, ed uno granitico, concentrato e denso . L'esposizione dell'esperienza sa da dove parte e sa dove arriverà, anche se nulla vieta esplorazioni di vario genere . La conoscenza astratta, quando va ad esprimersi, si autogenera man mano che si esprime attingendo dal vasto bacino del nostro sapere che, proprio come afferma il professor Cacciari , diventa pozzanghera appena assunta la consapevolezza di avere posto un altro mattoncino alla nostra "unica" conoscenza al nostro unico sapere. Padroneggiando più tecniche il mio cruccio più grande risulta quello di essere in grado di scegliere quella più adatta ad esprimere il bene che, tanto quanto il male, si dice per incauta definizione " banale". Tentare il percorso di esprimere il bene in forma "interessante" penso sia l'unica speranza di riequilibrare un po' la bilancia di questa rappresentazione antica , che, per inerzia o povertà di spirito mi pare non abbia mai penduto tanto verso il banale, certo, ma nauseabondamente magmatico e seducente "male" perpetrato non altro che per se stesso. Ringrazio per lo spazio e auguro al canale un prospero futuro . 🙏
Concordo. In effetti, nonostante la grande profondità filosofica espressa qui come altrove dal prof. Cacciari, a mio avviso il 'limite' (uso questo termine nel senso non polemico ma tecnico-filosofico) del suo discorso speculativo, da sempre, è questo voler tenere insieme nel concetto di metafisica due dimensioni ontologiche che sono in realtà tra loro logicamente non soltanto 'opposte' (come Cacciari sostiene) ma 'contraddittorie': la "ousia" dell'essente, ciò che solo possiamo determinare con la predicazione in ogni linguaggio/rappresentazione possibile degli enti e che si realizza nell'essere 'per altro' di ogni definizione d'essenza (relazione), non potrebbe MAI sussistere senza la "parousia" dell'essente, ovvero se l'essente non fosse già 'per sé' quell'Impossibile/Impensabile (singolarità), l'Uno-Arché che veramente "è" sostanza e che proprio in ciò è negazione "in atto" che ogni alterità abbia una sua sostanza. Come la grande metafisica classica, tra Parmenide Platone ed Aristotele, ha radicalmente saputo fin dagli inizi del filosofare (naturalmente con tutte le differenze anche radicali su come sia pensabile quella "sostanza" originaria, che intercorrono nelle rispettive tradizioni del parmenideismo, platonismo ed aristotelismo e che si sono fatte più acute a partire dall'ingresso nella storia del Cristianesimo).
🤗❤️😇
Credo che Dio, come rappresentazione, non possa che aderire alla rappresentazione di un essente . Ed è proprio in virtù dell'unicità dell'essente (o dell'oggetto - soggetto) che Dio non può che essere rappresentato come onnipresente nel tempo e nello spazio. Consequentemente la rappresentazione di Dio non può che essere unica per ogni essente .
La domanda è se ci troviamo difronte ad un Dio capace d'ogni unicità, o difronte alle unicità di ogni Dio rappresentato all'essente .
Personalmente possiedo un linguaggio sufficiente a se stesso ; uno per la tecnica dei versi, uno per la prosa, uno per le canzoni.
Tra tutti, il linguaggio non tanto più ricco ma quanto più complesso è quello che uso per riflettere, per immaginare ed in definitiva per pensare; ulteriormente suddivisibile tra un pensiero fluviale ampio ma poco consistente, ed uno granitico, concentrato e denso .
L'esposizione dell'esperienza sa da dove parte e sa dove arriverà, anche se nulla vieta esplorazioni di vario genere .
La conoscenza astratta, quando va ad esprimersi, si autogenera man mano che si esprime attingendo dal vasto bacino del nostro sapere che, proprio come afferma il professor Cacciari , diventa pozzanghera appena assunta la consapevolezza di avere posto un altro mattoncino alla nostra "unica" conoscenza al nostro unico sapere.
Padroneggiando più tecniche il mio cruccio più grande risulta quello di essere in grado di scegliere quella più adatta ad esprimere il bene che, tanto quanto il male, si dice per incauta definizione " banale". Tentare il percorso di esprimere il bene in forma "interessante" penso sia l'unica speranza di riequilibrare un po' la bilancia di questa rappresentazione antica , che, per inerzia o povertà di spirito mi pare non abbia mai penduto tanto verso il banale, certo, ma nauseabondamente magmatico e seducente "male" perpetrato non altro che per se stesso.
Ringrazio per lo spazio e auguro al canale un prospero futuro . 🙏
Concordo.
In effetti, nonostante la grande profondità filosofica espressa qui come altrove dal prof. Cacciari, a mio avviso il 'limite' (uso questo termine nel senso non polemico ma tecnico-filosofico) del suo discorso speculativo, da sempre, è questo voler tenere insieme nel concetto di metafisica due dimensioni ontologiche che sono in realtà tra loro logicamente non soltanto 'opposte' (come Cacciari sostiene) ma 'contraddittorie':
la "ousia" dell'essente, ciò che solo possiamo determinare con la predicazione in ogni linguaggio/rappresentazione possibile degli enti e che si realizza nell'essere 'per altro' di ogni definizione d'essenza (relazione), non potrebbe MAI sussistere senza la "parousia" dell'essente, ovvero se l'essente non fosse già 'per sé' quell'Impossibile/Impensabile (singolarità), l'Uno-Arché che veramente "è" sostanza e che proprio in ciò è negazione "in atto" che ogni alterità abbia una sua sostanza.
Come la grande metafisica classica, tra Parmenide Platone ed Aristotele, ha radicalmente saputo fin dagli inizi del filosofare (naturalmente con tutte le differenze anche radicali su come sia pensabile quella "sostanza" originaria, che intercorrono nelle rispettive tradizioni del parmenideismo, platonismo ed aristotelismo e che si sono fatte più acute a partire dall'ingresso nella storia del Cristianesimo).
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