fabriziomeni
fabriziomeni
  • 98
  • 18 890

วีดีโอ

Pensieri e parole a 33 giri: ep.22: Guccini parte prima: città e viaggi invisibili
มุมมอง 28หลายเดือนก่อน
Prima parte del racconto sui vinili di Francesco Guccini: L'eskimo, l'America, le città e i viaggi invisibili,
Pensieri e parole a 33 giri: ep.18 Vecchioni seconda parte: canzoni da lontano
มุมมอง 422 หลายเดือนก่อน
Seconda parte del racconto dedicato a Roberto Vecchioni: L'isola., la prigione, l'evasione, i sogni e i sentimenti. ecco le canzoni da lontano
Pensieri e parole a 33 giri ep. 15: Roberto Vecchioni parte prima
มุมมอง 782 หลายเดือนก่อน
In questo episodio, il primo di una serie dedicata a Vecchioni, Samarcanda, il destino, gli amori, gli abbandoni...
Pensieri e parole a 33 giri: episodio 13: Alberto Fortis, l'amore, l'odio, il cielo e l'inferno
มุมมอง 516 หลายเดือนก่อน
I vinili di Alberto Fortis i diari di scuola e gli amori e le amicizie tra demonio e santità.
Pensieri e parole a 33 giri episodio 12: gli U2 seconda parte: l'Irlanda, le fotografie il viaggio
มุมมอง 396 หลายเดือนก่อน
Seconda parte del racconto dedicato agli U2: il viaggio in Irlanda, la ricerca dello Joshua Tree, le fotografie come opere d'arte, la melodia per sovrastare il rumore e il dolore.
Pensieri e parole a 33 giri ep.10: Gli U2 e quel fuoco indimenticabile
มุมมอง 337 หลายเดือนก่อน
Pensieri e parole a 33 giri ep.10: Gli U2 e quel fuoco indimenticabile
pensieri e parole a 33 giri ep.4 Tom Waits e l'invito al blues
มุมมอง 488 หลายเดือนก่อน
pensieri e parole a 33 giri ep.4 Tom Waits e l'invito al blues
pensieri e parole ep. 2 Battiato Punk
มุมมอง 479 หลายเดือนก่อน
pensieri e parole ep. 2 Battiato Punk
pensieri parole ep 1
มุมมอง 869 หลายเดือนก่อน
pensieri parole ep 1
Un due tre stella! ad Alba 23 settembre 2023: libreria Milton
มุมมอง 40ปีที่แล้ว
Un due tre stella! ad Alba 23 settembre 2023: libreria Milton
Un due tre stella! a Cogne 17agosto 2023
มุมมอง 46ปีที่แล้ว
Un due tre stella! a Cogne 17agosto 2023
pontestura 17novembre 2023: Un due tre stella!
มุมมอง 38ปีที่แล้ว
pontestura 17novembre 2023: Un due tre stella!
Un due tre stella! Zeta e Piccola Europa
มุมมอง 60ปีที่แล้ว
Un due tre stella! Zeta e Piccola Europa
Piccola Europa - Zeta e Un due tre stella!
มุมมอง 41ปีที่แล้ว
Piccola Europa - Zeta e Un due tre stella!

ความคิดเห็น

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 6 วันที่ผ่านมา

    Chissà se Vecchioni, scrivendo il testo de "Il castello", ha pensato a questo racconto: Buzzati, "Il mantello" (1968) Dopo interminabile attesa, quando la speranza già cominciava a morire, Giovanni ritornò alla sua casa. Non erano ancora suonate le due, sua mamma stava sparecchiando, era una giornata grigia di marzo e volavano cornacchie. Egli comparve improvvisamente sulla soglia e la mamma gridò: «Oh benedetto!» correndo ad abbracciarlo. Anche Anna e Pietro, i due fratellini molto più giovani, si misero a gridare di gioia. Ecco il momento aspettato per mesi e mesi, così spesso balenato nei dolci sogni dell'alba, che doveva riportare la felicità. Egli non disse quasi parola, troppa fatica costando gli trattenere il pianto. Aveva subito deposto la pesante sciabola su una sedia, in testa portava ancora il berretto di pelo. «Lasciati vedere» diceva tra l e lacrime la madre, tirandosi un po' indietro «lascia vedere quanto sei bello. Però sei pallido, sei». Era alquanto pallido infatti e come sfinito. Si tolse il berretto, avanzò in mezzo alla stanza, si sedette. Che stanco, che stanco, perfino a sorridere sembrava facesse fatica. «Ma togliti il mantello creatura» disse la mamma, e lo guardava come un prodigio, sul punto d'esserne intimidita; com'era diventato alto, bello fiero (anche se un po' troppo pallido). «Togliti il mantello, dammelo qui, non senti che caldo?» Lui ebbe un brusco movimento di difesa, istintivo, serrandosi addosso il mantello, per timore forse che glielo strappassero via. «No, no lasciami» rispose evasivo «preferisco di no , tanto, tra poco devo uscire...» «Devi uscire? Torni dopo due anni e vuoi subito uscire?», fece lei desolata, vedendo subito ricominciare, dopo tanta gioia, l'eterna pena delle madri. «Devi uscire subito? E non mangi qualcosa?» «Ho già mangiato, mamma» rispose il figlio con un sorriso buono, e si guardava attorno assaporando le amate penombre. «Ci siamo fermati a un'osteria, qualche chilometro da qui...» «Ah, non sei venuto solo? E chi c'era con te? Un tu o compagno di reggimento? Il figliolo della Mena forse?» «No, no, era uno incontrato per via. È fuori che aspetta adesso.» «È lì che aspetta? E perché non l'hai fatto entrare ? L'hai lasciato in mezzo alla strada?» Andò alla finestra e attraverso l'orto, di là del cancelletto di legno, scorse sulla via una figura che camminava su e giù lentamente; era tutta intabarrata e dava sensazione di nero. Allora nell'animo di lei nacque, incomprensibile, in mezzo ai turbini della grandissima gioia, una pena misteriosa ed acuta. «È meglio di no» rispose lui, reciso. «Per lui sarebbe una seccatura, è un tipo così». «Ma un bicchiere di vino? glielo possiamo portare, no, un bicchiere di vino?» «Meglio di no, mamma. È un tipo curioso, è capace di andar sulle furie.» «Ma chi è allora? Perché ti ci sei messo insieme? Che cosa vuole da te?» «Bene non lo conosco» disse lui lentamente e assai grave. «L'ho incontrato durante il viaggio. È venuto con me, ecco.» Sembrava preferisse altro argomento, sembrava se ne vergognasse. E la mamma, per non contrariarlo, cambiò immediatamente discorso, ma già si spegneva nel suo volto amabile la luce di prima. «Senti» disse «ti figuri la Marietta quando saprà che sei tornato? Te l'immagini che salti di gioia? È per lei che volevi uscire?» Egli sorrise soltanto, sempre con quell'espressione di chi vorrebbe essere lieto eppure non può, per qualche segreto peso. La mamma non riusciva a capire: perché se ne stava seduto, quasi triste, come il giorno lontano della partenza? Ormai era tornato, una vita nuova davanti, un'infinità di giorni disponibili senza pensieri, tante belle serate insieme, una fila inesauribile che si perdeva di là delle montagne, nelle immensità degli anni futuri. Non più le notti d'angoscia quando all'orizzonte spuntavano bagliori di fuoco e si poteva pensare che anche lui fosse là in mezzo, disteso immobile a terra, il petto trapassato, tra le sanguinose rovine. Era tornato, finalmente, più grande, più bello, e che gioia per la Marietta. Tra poco cominciava la primavera, si sarebbero sposati in chiesa, una domenica mattina, tra suono di campane e fiori. Perché dunque se ne stava smorto e distratto, non rideva di più, perché non raccontava le battaglie? E il mantello? Perché se lo teneva stretto addosso, col caldo che faceva in casa? Forse perché, sotto, l'uniforme era rotta e infangata? Ma con la mamma, come poteva vergognarsi di fronte alla mamma? Le pene sembravano finite, ecco invece subito una nuova inquietudine. (....) «Giovanni» supplicò lei. «Che cos'hai? che cos'hai, Giovanni? Tu mi tieni nascosta una cosa, perché non vuoi dire?» Egli si morse un labbro, sembrava che qualcosa gli ingorgasse la gola. «Mamma» rispose dopo un po' con voce opaca «mamma, adesso io devo andare». «Devi andare? Ma torni subito, no? Vai dalla Marietta, vero? dimmi la verità, vai dalla Marietta?» e cercava di scherzare , pur sentendo la pena. «Non so, mamma» rispose lui sempre con quel tono contenuto ed amaro; si avviava intanto alla porta, aveva già ripreso il berretto di pelo «non so, ma adesso devo andare, c'è quello là che mi aspetta». «Ma torni più tardi? torni? Tra due ore sei qui, vero? Farò venire anche zio Giulio e la zia, figurati che festa anche per loro, cerca di arrivare un po' prima di pranzo...» «Mamma» ripeté il figlio, come se la scongiurasse di non dire di più, di tacere, per carità, di non aumentare la pena. «Devo andare, adesso, c'è quello là che mi aspetta, è stato fin troppo paziente.» Poi la fissò con sguardo da cavar l'anima. Si avvicinò alla porta, i fratellini, ancora festosi, gli si strinsero addosso e Pietro sollevò un lembo del mantello per sapere come il fratello fosse vestito di sotto. «Pietro, Pietro! su, che cosa fai? lascia stare, Pietro!» gridò la mamma, temendo che Giovanni si arrabbiasse. «No, no!» esclamò pure il soldato, accortosi del gesto del ragazzo. Ma ormai troppo tardi. I due lembi di panno azzurro si erano dischiusi un istante. «Oh, Giovanni, creatura mia, che cosa ti han fatto? » balbettò la madre, prendendosi il volto tra le mani. «Giovanni, ma questo è sangue!» «Devo andare, mamma» ripeté lui per la seconda volta, con disperata fermezza. «L'ho già fatto aspettare abbastanza. Ciao Anna, ciao Pietro, addio mamma». Era già alla porta. Uscì come portato dal vento. Attraversò l'orto quasi di corsa, aprì il cancelletto, due cavalli partirono al galoppo, sotto il cielo grigio, non già verso il paese, no, ma attraverso le praterie, su verso il nord, in direzione delle montagne. Galoppavano, galoppavano. E allora la mamma finalmente capì, un vuoto immenso , che mai e poi mai nei secoli sarebbero bastati a colmare, si aprì nel suo cuore. Capì la storia del mantello, la tristezza del figlio e soprattutto chi fosse il misterioso individuo che passeggiava su e giù per la strada, in attesa, chi fosse quel sinistro personaggio fin troppo paziente. Così misericordioso e paziente da accompagnare Giovanni alla vecchia casa (prima di condurselo via per sempre), affinché potesse salutare la madre; da aspettare parecchi minuti fuori del cancello, in piedi, lui signore del mondo , in mezzo alla polvere, come pezzente affamato.

  • @maurizio5951
    @maurizio5951 11 วันที่ผ่านมา

    Fanno il TAV in Valle di Susa per trasferire il trasporto merci su gomma verso la rotaia e poi abbandonano le linee ferroviarie passeggeri locali: perché il trasporto su autobus ed automobili non è su gomma? Bel video! Non so se avete già esaminato la Chivasso - Asti: stessa storia.

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 หลายเดือนก่อน

    Nessuno ha espresso l'inadeguatezza delle vuote parole del nostro presente come Eugenio Montale, quando dice: " bisogna rassegnarsi a un mezzo parlare. /Una volta qualcuno parlò per intero /e fu incomprensibile./ Certo credeva di essere l’ultimo parlante;/ invece è accaduto/ che tutti ancora parlano/ e il mondo/ da allora è muto" ("Incespicare", da "Satura"); e ancora, "Certo/ meglio che nulla siamo/ noi fermi alla balbuzie" ("La lingua di Dio"). A me sembra che in Guccini oltre alla fatica di dare alle cose un senso assoluto e perfetto ci sia un contrasto continuo tra vero e falso, tra verità e apparenza. Falsi miti, falsi ideali, false parole che dissolvono l'io, a cui contrapporre immagini salde nella mente, le radici appunto di una gente antica, i segni di un eroismo che consiste nel non aver ceduto a compromessi e nell'aver preservato pochi onesti e saldi valori. Certo nel presente lo spazio per l'eroismo si riduce e si fa difficile, come se gli eroi di oggi dovessero confrontarsi con quelli del passato e scoprire che la propria immagine non corrisponde alla loro, così netta e limpida. Nella balbuzie generale, la parola e l'immagine faticano a diventare nette e univoche. Mi sembra che questo percorso di difesa del vero contro i falsi miti del presente diventi più chiaro e più netto col passare del tempo: se all'inizio sembra esserci quasi un vergognarsi del proprio vivere di illusioni, che ti rende diverso e fuori moda, che fa sembrare "che per le mie navi son quasi chiusi i porti", in "Canzone quasi d'amore", poi si approda alla sfida e orgogliosa rivendicazione di "Cirano": "Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato", in un mondo pieno di arrivisti che si vendono per soldi e che cercano le verità "per terra, come maiali". Cirano no, vuole conservare il potere dell'illusione e del sogno: "tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali". In un altro suo brano, "Stelle", anche Guccini si interroga sul destino, contemplando i disegni illusori delle costellazioni celesti e chiedendosi dove si nasconda il senso della nostra vita: "Si fingono animali favolosi, pescatori che lanciano le reti, Re barbari o cavalli corridori lungo i pianeti E sembrano invitarci da lontano per svelarci il mistero delle cose O spiegarci che sempre camminiamo fra morte e rose O confonderci tutto e ricordarci che siamo poco o che non siamo niente E che è solo un pulsare illimitato, ma indifferente Ma guarda quante stelle su nel cielo sparse in incalcolabile cammino Tu credi che disegnino la traccia del destino? E che la nostra vita resti appesa a un nastro tenue di costellazioni Per stringerci in un laccio e regalarci sogni e visioni, Tutto sia scritto in chiavi misteriose, effemeridi che guidano ogni azione, Lasciandoci soltanto il vano filtro dell'illusione". Comunque più ascolto Guccini e più penso ai fili che lo legano a Pascoli, non solo per il suo ricordo del passato familiare ma anche per il suo rapporto con gli anarchici

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 หลายเดือนก่อน

    "(...) il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto. Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti. Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi. - Viaggi per rivivere il tuo passato? - era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: - Viaggi per ritrovare il tuo futuro?" Italo Calvino, "Le città invisibili"

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 หลายเดือนก่อน

    Eugenio Montale BOTTA E RISPOSTA II Uscito appena dall'adolescenza per metà della vita fui gettato nelle stalle d'Augìa. Non vi trovai duemila bovi, né mai vi scorsi animali; pure nei corridoi, sempre più folti di letame, si camminava male e il respiro mancava; ma vi crescevano di giorno in giorno i muggiti umani. Lui non fu mai veduto. La geldra però lo attendeva per il presentat-arm: stracolmi imbuti, forconi e spiedi, un'infilzata fetida di saltimbocca. Eppure non una volta Lui sporse cocca di manto o punta di corona oltre i bastioni d'ebano, fecali. (...) A liberarci, a chiuder gli intricati cunicoli in un lago, bastò un attimo allo stravolto Alfeo. Chi l'attendeva ormai? Che senso aveva quella nuova palta? e il respirare altre ed eguali zaffate? e il vorticare sopra zattere di sterco? ed era sole quella sudicia esca di scolaticcio sui fumaioli, erano uomini forse, veri uomini vivi i formiconi agli approdi?

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 หลายเดือนก่อน

    Ascoltando questa presentazione mi è venuto naturale pensare che i Pink Floyd con questo album siano i moderni rappresentanti del poeta veggente, gli eredi del Decadentismo, di Baudelaire, di Pascoli. Questo per diverse ragioni: la prevalenza del suono, del significante sul significato, attraversa tutto il decadentismo e trova la sua espressione migliore nelle cellule foniche della poesia di Pascoli, là dove è il suono a generare il senso, e non il contrario. E' il suono a creare una rete sottile attraverso la quale si svolge la comunicazione del poeta verso il lettore, prima di ogni comprensione logica e razionale. Il lettore si trova coinvolto in un insieme di suoni che si rivolgono alla sua dimensione profonda, proprio come i ritornelli e le ninne-nanne infantili, ed è attraverso il suono che il poeta trasmette la sua interpretazione del messaggio segreto del cosmo. I Pink Floyd come grandiosi e ultimi esponenti della sottile comunicazione dei misteri segreti della natura, dunque: "A saucerful of secrets" appunto, che solo gli eletti o i puri possono comprendere e trasmettere. Leggendo i testi dell'album, benché le parole siano secondarie forse rispetto alle musiche, noto due costanti: una è la presenza dell'acqua, che sembra un'acqua cosmica, un fiume cosmico che scorre sotto le cose, invisibile ai nostri occhi: "un verde fiume scorre non visto al di sotto degli alberi" (Grantchester Meadows), "Fluttuando giù, il suono riecheggia tra le gelide acque sotterranee" (Astronomy Domine): in questo senso l'acqua primordiale, costitutiva del mondo e dell'intero universo, prima forma di vita sulla quale fluttiamo credendoci ancorati alla terra, è certamente alla base del collegamento con l'aldiprima, con l'acqua uterina, con il pre-mondo della nostra nascita. La seconda costante è il motivo del viaggio: sembra esserci un viaggio cosmico in "Astronomy Domine", qualcosa che fluttua giù all'interno della galassia, ritrovando un mondo forse già conosciuto prima, e soprattutto in "The narrow way", un viaggiatore che si dirige sul sentiero "verso l'oscurità del nord" e che riposa momentaneamente le sue "membra doloranti" ma per breve tempo, perché "non può indugiare". Incrociando questi versi con il brano su Sisifo, mi vien da pensare a un viaggio verso il regno dei morti, come nella epopea di Gilgamesh, là dove bisogna affrontare lotte con potenze primordiali spaventose per poi riconoscere il limite della vita umana. Un ultimo pensiero: Esiodo dice che la fatica non è disonore né vergogna ma la radice della vita umana, chi se ne libera non può che vivere una vita ingiusta, di gioia e successo solo apparente: "la pietra che Sisifo deve portare su, l'Intelligenza Artificiale ce la nasconde, non ce la evita"

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 2 หลายเดือนก่อน

    Quanti percorsi apre nella mente questo album! "Ciondolo" mi ha fatto pensare al paladino Astolfo, il non-eroe, il paladino goffo e imbranato ma senza il quale neppure Orlando ritroverebbe il suo senno. "Tirò col naso dove si sa che ha sede l'intelligenza" mi sembra una allusione scherzosa al suo viaggio sulla Luna, dove può recuperare la sua stessa intelligenza perduta, che neppure sapeva di aver perduto, solo tirando su col naso il contenuto della sua ampolla, quella col suo nome scritto sopra. Poi c'è "L'anno che è venuto", che capovolge proprio il titolo dell' "Anno che verrà" di Dalla, uscito appena l'anno prima. Ecco, in quel cambio di verbi, dal futuro al passato, a me sembra che stia tutto Vecchioni: il suo sguardo sempre indietro nel tempo, verso l'unica epoca in cui possiamo essere stati felici, come direbbe Leopardi, l'infanzia, quella in cui la vita non si conosce e le attese si proiettano sul futuro. Nel "Ciondolo" mi colpisce un altro verso, "Da navigante prese barca ma non andò lontano", che per questo sogno di navigare fallito e il riferimento a quel "lontano" all'orizzonte mi fa pensare a "Il cielo capovolto" di 15 anni dopo, in cui afferma che gli uomini "sognano di navigare, ma non è vero". L'idea comunque, presente in questo album, della sofferenza e della solitudine alla fine di un amore, della fragilità dei sentimenti che non riescono mai ad essere totali ed assoluti come quel legame assoluto e totale che lega figli e genitori, la tristezza di una vita fatta di strade che per breve tempo si incrociano e inevitabilmente si dividono e proiettano su scenari differenti gli amori di un tempo, proprio nel "Cielo capovolto" verrà attribuita a Saffo. La sofferenza che qui è dell'uomo-poeta, solo di Vecchioni, lì diventa universale, davvero una "cifra" di una condizione eterna: anche lì come in questo album la parola "lontano" segna sempre il destino di separazione: "scrivimi da un altro amore", per indicare la rassegnatezza all'abbandono, "vorrei essere l'ombra/l'ombra di chi ti guarda/ e si addormenta in te", tre versi straordinari dove gelosia e rimpianto si mescolano nell'immaginazione della persona amata e della sua nuova vita. E poi "Lontano, in Sardi, ella è", è l'incipit di un frammento della poetessa a cui "La canzone da lontano" mi ha fatto pensare. Forse una Saffo che qui è sotto-traccia ma che qualche anno dopo riemergerà, dando vita a un altro formidabile album.

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 2 หลายเดือนก่อน

    Cuore, mio cuore, turbato da affanni senza rimedio, sorgi, difenditi, opponendo agli avversari il petto; e negli scontri coi nemici poniti, saldo, di fronte a loro; e non ti vantare davanti a tutti, se vinci; vinto, non gemere, prostrato nella tua casa. Ma gioisci delle gioie e soffri dei dolori non troppo: riconosci quale "ritmo" governa gli uomini (Archiloco)

    • @FabrizioMeni-jq3bi
      @FabrizioMeni-jq3bi 2 หลายเดือนก่อน

      ecco l'algo-ritmo! inutile i Greci prima di ogni altro

    • @rossanalevati7364
      @rossanalevati7364 2 หลายเดือนก่อน

      @@FabrizioMeni-jq3bi sì, la vita è un ritmo che nel suo insieme comprende dolore e gioia, indissolubili come dice Socrate quando li paragona a due ciliegie attaccate allo stesso vertice. Il "ritmo" è tutto nella poesia, per la quale non si da' risultato senza ritmo, che di ritmo vive, e lo stesso vale per la musica dei Pink Floyd! E' formata, come tu dici, da un ritmo, che può trascinare l'ascoltatore in un mondo diverso, dove si compensano e si ingrandiscono le cose che nella realtà sono invece limitate. La musica è un ritmo, come quello della poesia, fatto di note in crescendo e in diminuendo, che ritornano su se stesse a creare ritornelli, che aprono d'improvviso nuovi sentieri del pensiero, che trascinano. Ho subito pensato che "The piper at the gates of dawn" avesse a che fare con la favola del pifferaio magico, che libera la città dal male (i ratti) ma la cui musica trascinatrice spinge poi per vendetta i bambini della città a seguirlo nella morte. Così, vita e morte, salvezza e distruzione, ecco ancora il ritmo. Il ritmo che come dice il mio amato Ritsos è il ritmo stesso della spola del telaio che va avanti e indietro, il ritmo della stella che in cielo brilla e pulsa tra gli alberi, il ritmo del verso del poeta che sale e scende. Arsi e tesi sono, dicono gli esperti, i due momenti in cui la voce sale e scende negli accenti del verso e nella successione di sillabe. E' così che si forma il ritmo, alternando salite e discese, gioia e dolore: se si esce da questa successione ordinata di sillabe, il verso deraglia, la poesia non comunica, non raggiunge il suo effetto terapeutico. E nemmeno la musica: diventa vuota, prevedibile, magari ripetitiva come in tante canzoni-canzonette che non guidano a sfiorare le porte dell'alba. L'algo-ritmo non può sostituire questo ritmo arcaico, forse primordiale, degli artisti che ti portano con mano a sfiorare il limite, a esplorare i mondi, e ti fanno tornare in te stesso arricchito da una comprensione diversa delle cose e della loro vastità.

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 2 หลายเดือนก่อน

    Il concerto in cielo, la musica delle sfere celesti è una teoria filosofica antichissima, che risale a Pitagora e ai suoi seguaci, passa a Platone e Aristotele, giunge alla Divina Commedia di Dante e poi ancora al Mercante di Venezia di Shakespeare, e ispira Keplero e i suoi studi sull'armonia celeste. Non mancano ancora oggi ricostruzioni accurate dei suoni che i pianeti producono, impercettibili all'orecchio umano per la loro frequenza troppo bassa (th-cam.com/video/7l_o-i5GnRo/w-d-xo.html) Sembra che poesia da un lato e scienza dall'altro non possano fare a meno di alzare lo sguardo verso il cielo e misurare la nostra piccolezza con l'infinità dello spazio. A me viene sempre in mente Leopardi, con quel suo sguardo ostinato verso le nebulose celesti, rispetto alle quali terra e uomo sono solo un punto, un "punto di luce nebulosa": "E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch’a lor sembrano un punto, E sono immense, in guisa Che un punto a petto a lor son terra e mare Veracemente; a cui L’uomo non pur, ma questo Globo ove l’uomo è nulla, Sconosciuto è del tutto" ("La ginestra"). E' uno sguardo poetico, che porta con sé, come nelle canzoni dei Pink Floyd, la considerazione della piccolezza e precarietà della vita sulla terra, rispetto a quelle luci lontane e indistinte che trapuntano l'immensità dello spazio (tra i predecessori di Leopardi, Cicerone e Seneca che riflettono sulla infinita piccolezza dell'uomo nel cosmo). Poi c'è la scienza che dal canto suo arriva alle stesse considerazioni: negli anni '80 Carl Sagan ha iniziato la sua divulgazione scientifica sull'astronomia, con libri e trasmissioni televisive come Cosmos. Nel 1990, la straordinaria fotografia del "Pale Blue Dot" scattata dalla sonda Voyager diventa lo spunto per un nuovo saggio di Sagan, pubblicato nel 1994, a vent'anni di distanza da questo album: www.astrospace.it/2024/02/14/quel-pallido-puntino-blu-e-qui-e-la-nostra-casa-e-noi/ «Da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi. La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c'è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto.» Però mi piace pensare che lo spazio celeste sia ancora per altri scienziati non solo lo strumento indiretto per misurare la nostra risibile piccolezza, ma il luogo dove proiettare sogni amplificati, più grandiosi del nostro presente che sempre ci delude: là dove l'amore viene meno, i giorni passano tra delusioni, sogni infranti e piccoli o grandi tradimenti, lo spazio è uno scenario più grande del nostro presente, il luogo dove possiamo sempre guardare per far ripartire le nostre speranze: Stephen Hawking sulla porta del suo studio aveva affisso un motto che non si stancava mai di ripetere come primo e più importante consiglio a tutta l'umanità: "Uno, ricordatevi sempre di guardare le stelle, non i piedi." Forse anche a lui sarebbe piaciuta questa riflessione di oggi del prof. Meni sui Pink Floyd!

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 2 หลายเดือนก่อน

    Mi sono sempre chiesta chi è che pronuncia "Ascolta" all'inizio dell' "Ultimo spettacolo", chi è la voce narrante che chiede all'ascoltatore di seguire il suo racconto. La nave fenicia che porta via chi racconta, che si presenta come poeta e narratore con la sua voglia di cantare, mi ha sempre fatto pensare a una delle false etimologie di Omero: "Homeros", l'ostaggio. Ho creduto che la voce narrante fosse quella di Omero che giunge ostaggio a vedere l'infinita guerra di Troia e a narrare le storie degli eroi; ma poi si scopre che Omero viene incontrato dal protagonista della canzone "laggiù": il vecchio aedo che si accecò per rimaner nel sogno, così si torna all'altra etimologia di Omero, "colui che non vede". Quindi torniamo indietro: il primo personaggio chi è? Ci son dunque due Omeri, uno antico e uno moderno, trascinato ugualmente nello stesso scenario del cieco, come se tornasse non proprio all'origine della storia ma all'inizio del mondo occidentale, quando l'evento di una guerra catastrofica per tutti fa nascere il bisogno di ricordarla e di cantarla con le parole della poesia. La voce narrante dunque è Vecchioni stesso, che si presenta assumendo le vesti di Omero, l'ostaggio, e che si confronta come lui con il destino dell'uomo. Certo il sogno in cui Omero rimane si può plasmare meglio della realtà tagliente, che tante volte sarebbe meglio non conoscere, non vedere. Il sogno poetico è un territorio meno inquietante della vita, ecco perché Omero è rimasto in quel sogno, dove cose e persone si conoscono, non sono più imprevedibili e dolorose come nella vita vera. Forse a questo Omero che si é accecato si sovrappone l'Omero di Foscolo, il cieco mendicante che va a interrogare le urne degli eroi, che le abbraccia traendone ispirazione. Il momento in cui vita e poesia si allontanano non è l'ultima strofa (in cui Vecchioni dice di non poter concludere la storia come vorrebbe lui) ma è quello della quarta strofa: "Ero partito per cantare...e ho visto". E' lì che le intenzioni e i sogni si divaricano dalla realtà, dove nessuno è vincente o eroe. Invece non riesco a capire a chi si riferisca quando parla dell' "amico con due spade dentro il cuore": ho pensato ad Achille e Patroclo, ma non ci sono due spade in quel caso...

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 3 หลายเดือนก่อน

    A me sembra che Alessandro però non viva tanto di rimpianti del passato, che in questa figura non ci sia solo il ricordo di ciò che nell'infanzia non ha potuto fare: l'ho sempre inteso come chi è stato capace di orientare tutta la sua vita da adulto a realizzare il sogno proibito dell'infanzia. Ha sostituito la fontana del palazzo da bambino con l'infinità del mare, e non c'è davvero altra ragione alla sua conquista del mondo se non quella di tuffarsi nel mare, di annegarci dentro. Un racconto dice che rischiò di morire annegato nel fiume Cidno, ma qui è lui che annega volontariamente, gioioso come una donna che si va a sposare, tirandosi dietro tutto l'esercito, e lo fa per dare spazio e vita al suo sogno di bambino, per rendere il rimpianto e la malinconia un sogno realizzato nel presente. Questo doppio muoversi tra passato e presente, tra cose che si rimpiangono e cose che si vedono e si vivono è forse alla base di quel doppio colore degli occhi, uno azzurro e uno blu (le leggende dicevano che Alessandro ne avesse uno nero). Il doppio colore è anche nell'aedo dell' "Ultimo spettacolo", che poi si acceca come Omero, e con mia sorpresa anche nella canzone per il fratello: sembra un pregio, un segno distintivo di chi riesce a conciliare il passato e il presente, lo sguardo malinconico all'indietro e quello di chi costruisce la vita combattendo

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 3 หลายเดือนก่อน

    E' davvero particolare che in "Blu(e) notte" Vecchioni abbia incrociato il ricordo e le parole di Sandro Penna e il doppio ritornello del "X Agosto" di Pascoli; Deve avere un significato: forse vuole indicare che il turbamento di chi non è riuscito a costruirsi una famiglia è uguale a quello di chi la famiglia l'ha perduta? Le porte di Sandro Penna che scrive "Le porte del mondo son chiuse" (è per quello che son tutte uguali) a me fanno pensare alle porte chiuse di Pascoli ("Tintinni a invisibili porte/ che forse non s'aprono più..." ne "L'assiuolo"): in tutti e due i casi, non è quello che si costruisce a farsi poesia, ma quello che si perde.

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 3 หลายเดือนก่อน

    Ovidio racconta che c'è stata una interdizione anche per Eco, prima che incontrasse Narciso e se ne innamorasse: una punizione di Giunone irata perché con le sue lunghe chiacchiere l'aveva distratta impedendole di accorgersi dei tradimenti di Giove. Eco quindi avrebbe perso la voce prima di incontrare Narciso, e non a causa sua, potendo solo ripetere le ultime parole dei discorsi altrui, ma non potendo più intrattenere discorsi lei stessa. Questo comporta che lei non possa dichiararsi a Narciso, che lo osservi da lontano non potendo neppure farsi vedere per la sua timidezza, ripetendo a vuoto le domande di lui che chiede "Chi c'è?" ma non riuscendo a farsi vedere. Ciò significa dunque che l'amore non si può comunicare, che le parole per dirlo non esistono se non nei pensieri e nei desideri, ma che si sfanno prima di giungere alla realtà. Lei non può dire l'amore e lui non può intenderlo: tutti e due vittime di una interdizione che impedisce di incontrarsi e di conoscersi a fondo.

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 7 หลายเดือนก่อน

    "A Tomi, sul Mar Nero, una notte del 16 gennaio dopo Cristo, una notte di gelo e bufera, Publio Ovidio Nasone, poeta e cortigiano, sognò che era diventato un poeta amato dall’imperatore. E in quanto tale, per miracolo degli déi, si era trasformato in una grande farfalla. Era un’enorme farfalla, grande quanto un uomo, dalle maestose ali gialle e azzurre. E i suoi occhi, smisurati occhi sferici da farfalla, abbracciavano tutto l’orizzonte. Lo avevano issato su un cocchio d’oro, allestito appositamente per lui, e tre coppie di cavalli bianchi lo stavano portando a Roma. Lui cercava di tenersi in piedi, ma le sue esili zampe non riuscivano a reggere il peso delle ali, così che era obbligato ogni tanto a reclinarsi sui cuscini, con le zampe che sgambettavano in aria. Alle zampe portava monili e braccialetti orientali che mostrava con soddisfazione alla folla plaudente. Quando arrivarono alle porte di Roma, Ovidio si tirò su dai guanciali e con grande sforzo, aiutandosi con le zampe svettanti, si circondò il capo di una corona d’alloro. La folla era in visibilio e molti si prosternavano perché lo credevano una divinità dell’Asia. Allora Ovidio volle avvertirli che era Ovidio, e cominciò a parlare. Ma dalla sua bocca uscì uno strano sibilìo, un fischio acutissimo e insopportabile che obbligò la folla a mettersi le mani sugli orecchi. Non sentite il mio canto? gridava Ovidio, questo è il canto del poeta Ovidio, colui che ha insegnato l’arte di amare, che ha parlato di cortigiane e di belletti, di miracoli e di metamorfosi! Ma la sua voce era un fischio indistinto, e la folla si scostava davanti ai cavalli. Finalmente arrivarono al palazzo imperiale e Ovidio, reggendosi goffamente sulle zampe, salì la gradinata che lo portava dal Cesare. Ovidio aveva composto un poemetto di agili versi leziosi e lepidi che avrebbero rallegrato il Cesare. Ma come dirli?, pensò, se la sua voce era solo un sibilìo di un insetto? E allora pensò di comunicare i suoi versi al Cesare facendo dei gesti, e cominciò ad agitare mollemente le sue maestose ali colorate in un balletto meraviglioso ed esotico. Le tende del palazzo si agitarono, un vento fastidioso spazzò le stanze e il Cesare, con irritazione, scagliò il boccale sul pavimento. Il Cesare era un uomo burbero, che amava la frugalità e la virilità. Non poteva sopportare che quell’insetto indecente eseguisse davanti a lui quel femmineo balletto. Batté le mani e i pretoriani accorsero. Soldati, disse Cesare, tagliateli le ali. I pretoriani sguainarono il gladio e con perizia, come se potassero un albero, tagliarono le ali di Ovidio. Le ali caddero a terra come se fossero molli piume e Ovidio capì che la sua vita finiva in quel momento. Mosso da una forza che sentiva essere il suo destino, fece dietro-front e ondeggiando sulle sue atroci zampe ritornò sulla terrazza del palazzo. Sotto di lui c’era una folla inferocita che reclamava le sue spoglie, una folla avida che lo aspettava con le mani furiose. E allora, Ovidio, ballonzolante, scese le scale del palazzo." A. Tabucchi, Sogno di Publio Ovidio Nasone, poeta e cortigiano (Sogni di sogni)

    • @FabrizioMeni-jq3bi
      @FabrizioMeni-jq3bi 7 หลายเดือนก่อน

      grazie Rossana, un commento che vale più di molti pensieri del podcast e che comunque lo arricchisce come una fondamentale appendice

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 8 หลายเดือนก่อน

    Quante riflessioni ascoltando questo podcast! Quello che a me colpisce in De Gregori è la sua capacità di condensare riflessioni ed emozioni in frasi fulminanti, che una volta formulate valgono di per sé, senza bisogno di spiegazioni, come fossero consegnate in omaggio agli ascoltatori: "sarà che un giorno si presenta l'inverno e ti piega i ginocchi" ("Mimì sarà"), una frase sugli imprevisti della vita che arrivano a tradimento e ti presentano il conto da pagare, che mi ricorda certe drammatiche riflessioni della "Malora" di Fenoglio, quando il destino arriva di colpo e dà le sue manate sulle orecchie. Il non senso della vita, in cui non facciamo altro che camminare e perderci, talvolta ritrovarci ma più spesso perderci: "sarà che tutta la vita è una strada con molti tornanti" (ancora "Mimì sarà"), oppure "Ho visto gente andare, perdersi e tornare e perdersi ancora" ("Sempre e per sempre") L'attesa, il senso di attesa di tutti i personaggi di De Gregori, e la loro perenne, instancabile tensione verso l'amore: la sua permanenza, contro la precarietà di tutto il resto del nostro tempo: "La donna cannone", "Renoir": "Ma non è vero che io l'abbia perduta, dimenticata come dice la gente" La sospensione tra mille scelte possibili, non come essere davanti a un bivio ma come poter scegliere tra infinite possibilità, tutte ugualmente rischiose, forse allo stesso modo vincenti e perdenti. Giocare a carte: quanti mazzi di carte, barate o incerte, ci sono nelle canzoni di De Gregori? Quante volte giocare la propria carta è un invito, una speranza, una delle tante possibilità che si percorrono fino in fondo e poi magari ci fan tornare indietro? Lo spazio dei miracoli: quello non manca mai, a volte il rischio si spinge fino a sfiorare la vittoria, e qualche volta la agguanta. "Col mio ago ci attacco alla sera la notte" ("Mimì sarà"), sembra che l'ago sia come la penna del poeta De Gregori, che unisce mondi segreti, personaggi lontani, destini di persone conosciute o sconosciute, che traccia strade che magari anche noi percorreremo, grazie alla luce delle sue parole

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 9 หลายเดือนก่อน

    De Gregori ha davvero scritto le poesie più belle del nostro tempo. Poeta è colui che con poche essenziali parole ti trasporta nell'universo fuori dal tempo in cui la contraddizione e il dolore vanno a braccetto con il senso riposto delle cose e con la speranza; poeta chi riesce a tracciare la linea e l'orizzonte di un tempo e un luogo che non esistono realmente ma in cui tu vorresti vivere perché li riconosci come tuoi, fatti apposta per te. De Gregori per me è sempre stato capace di indicare le orme su cui rintracciare la speranza, la speranza dell'amore, come se mi avesse dato in mano un bussola che ho cercato di stringere forte tra le mani per non perdere la strada "Pioggia e sole abbaiano e mordono Ma lasciano Lasciano il tempo che trovano E il vero amore può Nascondersi Confondersi Ma non può perdersi mai". De Gregori è il poeta che mi ha mostrato che la strada ricomincia sempre e ti proietta nel futuro, che tu voglia o no "Dietro a un miraggio c'è sempre un miraggio da considerare Come del resto alla fine di un viaggio C'è sempre un viaggio da ricominciare". E' sempre lui il poeta che mi ha ricordato che " tutta la vita è una strada e la vedi tornare" e in mezzo al dolore e alla noia mi ha confortato sapere che ci deve essere al mondo un compagno di viaggio che conosce e possiede il "codice d'ingresso" al mio dolore. Chissà cosa avrebbe detto Pintor di Bellamore, per me sulla stessa linea della poesia stilnovista e della donna-angelo

  • @raltera
    @raltera 9 หลายเดือนก่อน

    😊

  • @rossanalevati7364
    @rossanalevati7364 9 หลายเดือนก่อน

    Mi è piaciuta particolarmente la riflessione sul tempo dell'attesa legato all'ascolto delle audiocassette o dei vinili: raramente si interrompeva l'ascolto di un CD in vinile per passare ai pezzi che piacevano maggiormente, perché era laborioso ma soprattutto perché c'era l'abitudine di ascoltare "tutto", come di leggere "tutto" un libro, anche le parti (del CD o del libro) che ci piacevano di meno; dopo un po' di tempo (due o tre ascolti) si imparava a memoria la sequenza delle canzoni, e faceva parte del tempo dell'ascolto anche il tempo impiegato nell'ascoltare brani che potevano piacere di meno, perché si sapeva esattamente dopo quanti pezzi sarebbe "finalmente" arrivato quello che ci piaceva così tanto. L'attesa serviva ad aumentare il piacere che si sarebbe provato quando fosse giunto il momento di ascoltarlo, quello era davvero il premio per la pazienza nutrita ad aspettare, fino a culminare nella gioia più grande del pensare "eccolo, finalmente", ascoltando il pezzo tanto atteso, quello che era o che giudicavamo "nostro" fino in fondo. L'attesa poteva essere fonte di grande gioia anche in altre situazioni (l'attesa di una cartolina, di una lettera...), sicché diventava quasi una filosofia di vita, combinata con la pazienza e la fede incrollabile che sarebbe giunto il momento: il momento di ascoltare il pezzo, di leggere una pagina, di ricevere una lettera o un dono lungamente desiderato. Oggi davvero abbiamo perduto in ogni cosa questo senso dell'aspettare, dell'attesa paziente, tutto è consumato velocemente e anche la gioia di cui godiamo finisce per sembrarci meno profonda

  • @EuseoBisaggio
    @EuseoBisaggio 9 หลายเดือนก่อน

    Bravo non sapevo che eri un appassionato e fan dei Beatles. Ho appezzato

  • @francosanti2861
    @francosanti2861 ปีที่แล้ว

    I sogni di un bambino messi su carta,uno scrittore che ti porta nel Suo mondo magico e anche se sei "Grande" puoi ancora sognare.

  • @francosanti2861
    @francosanti2861 ปีที่แล้ว

    Fabrizio è VERAMENTE BELLO ,GIUSTO e che non vada dimenticato...perso.

  • @Alexcursedsailor
    @Alexcursedsailor 2 ปีที่แล้ว

    Sicuramente c'è il fascino della decadenza ma sono linee dismesse causa poca utenza che le utilizzava. Non si possono far viaggiare i treni vuoti all'infinito. Semmai bisognava da parte di FS investire pubblicizzando e incentivando l'utilizzo ma figuriamoci se è stato fatto... risultato le linee sono morte.

  • @gianmariocostanzo119
    @gianmariocostanzo119 2 ปีที่แล้ว

    Bello

  • @francosanti2861
    @francosanti2861 2 ปีที่แล้ว

    Touche''....personaggi inutili nella rappresentazione della solita tragedia greca,quasi comici...

  • @augustolana1664
    @augustolana1664 2 ปีที่แล้ว

    bellissimo....da diffondere

  • @sarafavrin6063
    @sarafavrin6063 2 ปีที่แล้ว

    Bellissimo!🤗

  • @ignaziobonacossa1804
    @ignaziobonacossa1804 2 ปีที่แล้ว

    Un grandissimo spreco di soldi,anche nostri, e di storia

  • @johnpaulgeorgeringo4540
    @johnpaulgeorgeringo4540 2 ปีที่แล้ว

    bellissimo Fabrizio, non so davvero come fai a trasmetterci tutti questi messaggi e queste storie pazzesche, insomma sei davvero un grande pensatore, ti ammiro. ciao!!

  • @gianmariocostanzo119
    @gianmariocostanzo119 2 ปีที่แล้ว

    Grazie

  • @Marco_E
    @Marco_E 3 ปีที่แล้ว

    Essendo appassionato questo video mi fa venire da piangere 🥺🥺💔

  • @francescospaccamonte6042
    @francescospaccamonte6042 4 ปีที่แล้ว

    Per la serie distruggiamo tutto ciò che ci è stato tramandato e grazie al regresso più bus e meno treni😡

  • @johnnycatalano5099
    @johnnycatalano5099 4 ปีที่แล้ว

    No

  • @DefensorMusicae
    @DefensorMusicae 8 ปีที่แล้ว

    Trascrivo qui quanto già mi pubblicarono domenica 16 gennaio 2011 sul quotidiano "La Stampa" a pagina 60 LA LINEA ASTI - CASALE NON MERITA IL TAGLIO Su La Stampa dell’11 gennaio 2011 ho letto due articoli che confermano quanto, a dispetto di un gran parlare, l’Italia giaccia in balia della gomma e degli interessi economici, leciti e, purtroppo, illeciti a essa collegati. Grazie alle illuminate iniziative del Governo Cavour, il quale affermava, con un suggestivo paragone basato sulla forma del nostro bel Paese, che le ferrovie per l'Italia avrebbero dovuto assumere il ruolo del filo che cuce lo stivale, il Piemonte dispone, insieme alla Lombardia occidentale, della rete ferroviaria più capillare d’Italia, ancorché meno ricca rispetto ad un tempo. Da troppo tempo a questa parte, invece, si tenta di soffocare le linee cosiddette minori per sfinimento derivante dalla somma della mancanza di manutenzione e della sostituzione dei treni, che potrebbero tranquillamente circolare, con autoservizi, con tutti i problemi che questi comportano, tra cui: la soggezione al traffico veicolare, l’intrinseca pericolosità in caso di condizioni meteorologiche avverse, la bassa capienza, la velocità ridotta, l’induzione di cinetosi nei confronti di alcuni viaggiatori particolarmente sensibili; tutti inconvenienti cui la ferrovia può, almeno in una certa misura, ovviare. Nondimeno, intorno all’autoservizio ruota un mondo d’interessi, economici e non solo, duri da eliminare. Se, nel passato, si è creduto nel trasporto ferroviario, aiutati anche dal fatto che si trattava del sistema più all’avanguardia per l’epoca, l’avvento della motorizzazione individuale, aiutato da un clima di moralità non proprio cristallina ha portato, in Italia, all’affossamento delle ferrovie ed alla forte contrazione del trasporto merci, con soppressione quasi totale di quello diffuso ed a piccole partite. Paradossalmente, nemmeno la saturazione del sistema stradale ha fatto invertire questa tendenza nel nostro Paese, mentre all’estero, le ferrovie, che, peraltro, non hanno mai conosciuto il nostrano declino, sembrano godere di un rinnovato splendore, tanto da rivitalizzare linee credute, erroneamente, secondarie. Da noi, invece, eccettuato il sistema ad alta velocità, necessario, ma in essere per pure motivazioni di facciata e alcuni servizi merci a treno completo, la situazione non è affatto rosea. Innanzi tutto, per fare un paragone con il nostro corpo, puntare solo su poche linee principali, alta velocità compresa, equivale alla pretesa di vascolarizzare un intero organismo con i soli vasi di grosso calibro, affidando tutto il resto alla diffusione passiva: anche una persona non esperta di materia biologica o medica si avvede della materiale impossibilità di un siffatto processo; infatti, esistono i piccoli vasi ed i rami terminali, fino ai capillari per assicurare un adeguato servizio d’irrorazione sanguigna in tutto il corpo. Altro vantaggio che la Natura ha dato al nostro apparato circolatorio sono i circoli collaterali, ovvero delle vie attraverso le quali il sangue può scorrere in caso di ostruzione del percorso principale abituale o per far fronte ad aumentate esigenze metaboliche: un esempio è costituito dal sistema delle arterie coronarie di alcuni soggetti: coloro i quali sono provvidenzialmente forniti di rami collaterali sono nelle condizioni di evitare fenomeni ischemici potenzialmente fatali. Trasponendo il discorso all’ambito ferroviario, è facile comprendere che le linee considerate secondarie, in realtà sono i rami terminali necessari ad assicurare il servizio a quelle aree geografiche i cui abitanti, in caso contrario, sarebbero costretti a sobbarcarsi lunghi tragitti in auto o in pullman, mentre i percorsi alternativi, oltre ad essere l’unica via possibile in caso d’impedimento sul percorso principale abituale, rappresentano una via più breve per collegare località che, limitandosi ad usare il più possibile la cosiddetta rete principale, sarebbero connesse da un percorso di lunghezza maggiore, con tempi spesso non compensati dalle migliori potenzialità delle linee. Compito di chi programma i trasporti, ovviamente, prevedere l’istituzione di tali collegamenti, senza relegare queste linee al puro traffico regionale o suburbano. La linea Asti - Casale - Mortara rappresenta un tassello importante di un percorso che permette dalla Costa Azzurra di raggiungere Milano o la media Valle Padana attraverso Cuneo, senza impegnare il già congestionato nodo di Torino, per cui non merita assolutamente di essere falciata in favore di una tangenziale. In altre epoche, era la strada ad avere la priorità più bassa; oggi si tende, a torto, a ribaltare la visione, facendo in modo che le ferrovie non creino soggezione alle strade.

  • @dario.cangelli
    @dario.cangelli 9 ปีที่แล้ว

    grazie, una lezione eccellente, complimenti a Franco Castelli, a noi noto anche per la riscoperta del Galantone ;-)

  • @davidefs4998
    @davidefs4998 9 ปีที่แล้ว

    nessuna greenwai. basta con ste cazzate. ripristinare la ferrovia.basta sprecare e distruggere il patrimonio pubblico. basta.